L’Open Source al servizio dell’emergenza

Luca Ferroni, Riccardo Serafini, Francesco Coppola e Dawid Węglarz sono quattro professionisti del settore dellinformatica di Fabriano, ideatori di Iorestoacasa.work, un sito web con il quale hanno messo a disposizione di studenti, insegnanti, lavoratori, o semplicemente amici desiderosi di rimanere in contatto, Jitsi Meet, una piattaforma gratuita ed open source per fare videochiamate e Multiparty Meeting. I quattro marchigiani hanno impacchettato i programmi open source in modo da consentire facilmente ai tecnici di aggiungere altri server. Da lì hanno lanciato un appello alla loro rete di contatti e a diversi provider italiani per far conoscere la piattaforma e chiedere un contributo in risorse hardware e connettività. La risposta corale della community è stata entusiasmante: nel giro di poche ore sono arrivati i contributi di aziende, associazioni, istituzioni e privati. Ecco lintervista ai quattro creatori di Iorestoacasa.work.


• Come funziona la piattaforma Iorestoacasa.work?

È davvero semplice. Si visita il sito https://iorestoacasa.work, si sceglie il nome della videochiamata e si condivide l’URL con gli altri partecipanti via chat o email. Il sistema sceglierà in automatico il server che in quel momento ha meno utenti collegati per garantire il miglior funzionamento ed evitare congestioni. Chi riceve il link della chiamata deve semplicemente aprirlo con il browser: niente software da installare, niente registrazione. Il tutto nel pieno rispetto della privacy: non raccogliamo indirizzi email o password o nomi e cognomi. Il nostro sistema non profila gli utenti e non sfruttiamo i dati per scopi commerciali.

• In quanti hanno aderito finora alla vostra iniziativa e quali sono state le principali richieste arrivate dagli utenti?

Oggi la piattaforma si può utilizzare gratuitamente e senza vincoli per fare videochiamate con chiunque fino a 50 persone. Il picco di utenti che usano contemporaneamente la piattaforma è sempre di mattina: 1050 al momento. Abbiamo effettuato più di 25.000 videochiamate da quando è nato il progetto e abbiamo a disposizione 59 server. Nella nostra chat Telegram di supporto arrivano le richieste più disparate. Alcuni esempi: un professore che ha bisogno di capire come moderare gli studenti indisciplinati, un professore di musica che vuole ottimizzare i parametri audio per fare lezione di pianoforte, associazioni che vogliono organizzare assemblee dei soci.

Per quanto riguarda la didattica a distanza, che tipo di supporto siete riusciti a dare a studenti e docenti in questa fase?

Diversi insegnanti hanno iniziato ad usare la nostra piattaforma per fare lezione fin dai primi giorni con soddisfazione. Sulla chat di supporto spieghiamo loro come poter impostare delle password per evitare l’ingresso di intrusi nelle lezioni e come cacciare utenti indesiderati, il cosiddetto fenomeno dello “zoombombing”, che ci stiamo impegnando a contrastare.

La nostra piattaforma è comunque “open” anche nell’utilizzo ora, nel senso che per la scuola stiamo lavorando all’integrazione di altre piattaforme di software libero e nuove funzionalità. È un lavoro di squadra di tutti coloro che fanno parte della community, che camminano virtualmente con noi e che mettono a disposizione il loro knowhow per risolvere in modo semplice problemi che per i singoli potrebbero sembrare complessi.

• Avete avuto dei problemi che sarebbe necessario risolvere a livello generale per consentire a tutti di accedere alla didattica a distanza?

Tre sono i problemi, tutti risolvibili facilmente se li si riconosce: la banda nelle zone in digital divide, la sostenibilità del progetto, l’approccio culturale di chi si avvicina al progetto.

L’Italia è indietro con lo sviluppo della banda larga: le grandi città sono collegate, ma basta allontanarsi dai centri abitati di un paio di chilometri fare un tuffo nel passato. In quelle zone vivono famiglie collegate con tecnologie di 10 anni fa, sufficienti per leggere le notizie online, ma non per effettuare una videochiamata in maniera fluida e senza intoppi. A questo problema di infrastruttura si aggiunge una congestione della rete in questo particolare momento: tutti sono a casa e passano il tempo su Internet.

La sostenibilità del progetto è risolvibile facilmente se si pensa che da volontari (o meglio donando il tempo lavorativo ed extra di 4 + 150 persone) abbiamo offerto un valore difficilmente visto prima al Paese. Ci piacerebbe che le Istituzioni o chi ha potere di spesa riconoscessero l’importante valore dato e investissero in questo progetto anche solo per velocizzarci dato che comunque ogni giorno noi continuiamo a risolvere problemi e aggiungere nuovi server. Certo che il problema del supporto commerciale non rientra tra le nostre priorità se non c’è una logica di dare/avere. Il tempo è un limite per tutti e per tutte le nostre famiglie cui dobbiamo rispetto.

Il terzo problema è quello che ci preoccupa un po’ di più perché possiamo andare avanti solo fino ad un certo punto e ringraziamo tutti quelli che si stanno dando da fare nella comunicazione del progetto. Se ognuno di noi facesse felicemente il proprio mestiere, tutto si risolverebbe facilmente, con meno costi e più gioia. Questo è il modello che stiamo proponendo, non una piattaforma che ha i bottoni blu piuttosto che rossi. Questa considerazione, però, richiede di fare un percorso, cosa che ad ogni studente chiediamo di fare. Sono loro, infatti, a capire meglio questo messaggio. Noi adulti, noi lavoratori, noi istituzioni, siamo in grado di effettuare questa evoluzione nella nostra mentalità?

• Cosa ne pensate della proposta di fare dell’accesso a internet un diritto riconosciuto dalla Costituzione?

Internet è conoscenza e tutti devono poter avere accesso alla conoscenza. Ha favorito la circolazione dei saperi e ha aiutato anche nel processo di democratizzazione. È un bene comune, fondamentale anche per lo sviluppo e l’esercizio dei diritti umani. È sicuramente compito dello Stato permettere che tutti possano essere utenti attivi di una rete che sia neutrale, sempre nel rispetto della riservatezza, della sicurezza e del diritto d’autore, che noi preferiamo chiamare libertà intellettuale come ci ha insegnato il prof. Renzo Davoli dell’Università di Bologna.

• Voi avete puntato sull’open source. Perché questa scelta a fronte comunque di una richiesta di mercato molto forte? Qual è il valore aggiunto dell’open source?

Il software libero è una scelta vincente sotto tantissimi punti di vista, in particolare per la Pubblica Istruzione e la Pubblica Amministrazione. È un software potenzialmente più sicuro perché tutti possono contribuire ad analizzarne il funzionamento ed eventualmente a migliorarlo. Permette anche di evitare gli sprechi di risorse pubbliche, sfruttando la disponibilità del codice sorgente e le competenze dei professionisti più adatti allo sviluppo di una determinata funzionalità.

Questo non vuol dire: “approfittiamoci delle aziende che lo fanno perché ce lo danno gratis”, ma al contrario vuol dire “facciamo star bene le aziende in modo che lo possano sviluppare e potenziare, perché il valore che essi producono diventa valore comune, si consolida e possono goderne tutti”.

Ci sentiamo di parlare a nome della comunità del software libero e della cultura libera, poiché ci siamo dentro da anni se diciamo che come lo Stato provvede a creare le strade e autostrade, oggi può e deve, come mission, sostenere chi fa infrastrutture libere di servizi open. Sostenendo IoRestoACasa.work oggi questo è possibile, con costi irrisori rispetto alla percentuale dello speso in innovazioni o sedicenti innovazioni. Siamo disponibili a parlarne perché facciamo fatica a ritenere difendibili posizioni diverse e vorremmo veramente capire con chi governa quale aspetto ci sfugge, numeri alla mano.


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