AI, partecipazione politica e il futuro – Intervista a Davide Casaleggio

“La politica e il treno in corsa dell’intelligenza artificiale”, l’intervista di Laura Turini su Appunti – di Stefano Feltri.

Il 16 Febbraio 2024 alla Munich Security Conference, venti tra le più importanti aziende che operano nell’ambito dei social media e dell’intelligenza artificiale, tra cui Meta, OpenAI, Amazon, Google, TikTok e X, hanno siglato un accordo per contrastare la diffusione di notizie false, o artefatte, in vista delle prossime elezioni europee e americane, destinate a segnare un passo fondamentale dell’imminente futuro.

Il “Tech Accord to Combat Deceptive Use of AI in 2024 Elections” prevede l’impegno dei firmatari a collaborare per trovare strumenti idonei a individuare, e eventualmente impedire, la diffusione di notizie non veritiere create dall’intelligenza artificiale, tracciando l’origine dei contenuti di carattere elettorale che possono essere ritenuti ingannevoli e promuovendo campagne informative che stimolino la sensibilità degli elettori su questo tema. Il tempo a disposizione è molto poco, vedremo che cosa saranno in grado di mettere in campo e con quale risultato.

L’uso della tecnologia, anche in politica, continua però ad essere una “vox media” e può rappresentare anche uno strumento utile e vantaggioso per fare sentire la propria voce in un mondo che è stato sempre dominato dai media tradizionali, che non sempre si fregiano della massima trasparenza e obiettività.

Ne abbiamo voluto parlare con chi, da sempre, si occupa di quella che vorrei definire tecnologia partecipativa, proponendo soluzioni alternative e innovative a vecchi problemi.

Davide Casaleggio è stato un pioniere nell’uso delle nuove tecnologie per favorire la partecipazione nelle decisioni politiche e non solo. Ha ideato la piattaforma Rousseau, premiata nel 2021 con il Digital Democracy Impact Award come miglior piattaforma di democrazia digitale nella categoria impatto.

Come si legge nel sito camelot.vote, nel settembre 2019 la sua piattaforma ha conseguito il record mondiale per una votazione online in un singolo giorno consentendo a 79.634 cittadini di decidere se la propria forza politica dovesse o meno far nascere il Governo italiano.

Oggi, oltre a essere presidente di Casaleggio Associati e dell’Associazione Rousseau dal 2016, è socio fondatore e presidente del progetto Camelot, una Benefit Corporation fondata per promuovere la cittadinanza attiva e digitale e creare nuovo valore per la collettività.

 

Davide Casaleggio, la partecipazione sembra una sua missione di vita. È ancora importante? Non è un ostacolo per la rapida attuazione dei programmi di governo degli eletti?

Penso che tutte le decisioni debbano essere condivise. Il crescente astensionismo, che con ogni probabilità si confermerà anche alle prossime elezioni europee, dimostra che c’è un distacco tra la base sociale e chi governa. È una prerogativa di ogni potere politico pensare di assumere decisioni dall’alto senza coinvolgere i cittadini.

Già nell’antichità, ai tempi di Platone e ai tempi dell’invenzione dell’applauso, si riteneva che non fosse accettabile che il popolo potesse esprimere il proprio apprezzamento o disappunto su una rappresentazione teatrale, perché solo chi aveva un’adeguata cultura poteva valutarlo.

L’intellighenzia si è sempre arrogata il diritto di decidere per tutti, convinta di potere assumere le scelte migliori, ma la realtà è diversa.  Che ci sia il coinvolgimento di tutti è importante non solo perché è alla base della democrazia ma perché le decisioni assunte possano avere una stabilità.

Solo se il cittadino partecipa al processo decisionale, ed è in grado di discutere, può anche, magari, cambiare idea sulla propria posizione e accettare una decisione che inizialmente poteva non condividere, perché si convince che è quella migliore, avendone compreso le motivazioni sottese.

Se invece è fuori da questo processo, la subisce e quella decisione, non solo può essere cambiata in ogni momento, ma ha poca forza coercitiva e rischia di non essere rispettata.

 

Sembra che questa sia la filosofia di Camelot. Come funziona e a chi si rivolge?

Camelot ha lo scopo di favorire il processo decisionale a ogni livello. Serve per potere approvare un bilancio societario, piuttosto che per votare in un’assemblea o assumere decisioni all’interno di associazioni sportive o semplicemente nel corso di riunioni condominiali.

Abbiamo lavorato molto anche sulla parte precedente al voto per migliorare il processo decisionale. In particolare abbiamo sviluppato strumenti che supportano la   tecnica del “debate” che si fonda sull’aprire una discussione, attraverso una piattaforma tra i partecipanti, in modo che ognuno possa esprimere la sua opinione.

Tutte le idee vengono raccolte e esaminate dal sistema in modo oggettivo, scevro da coinvolgimenti emotivi, e vengono restituite ai partecipanti che possono guardarle come attraverso una lente di ingrandimento e ragionarci ulteriormente sopra. Non si tratta solo di esprimere un voto ma di raggiungere una scelta il più possibile condivisa. Ovviamente nulla toglie di potere usare Camelot solo per votare senza questo passaggio, ma è molto utile.

Camelot è in quattro lingue ed il suo mercato di riferimento  non è solo l’Italia ma anche l’estero. Potrebbe essere utilizzata anche per le decisioni e le votazioni politiche.

In molti Stati esiste il voto elettronico, che è oggettivamente più sicuro del voto per corrispondenza, ad esempio, in cui spesso c’è il rischio di perdita di voti, anche banalmente per disguidi postali, oltre ad essere molto più pratico, evitando gli spostamenti.

Ad esempio in Estonia il voto elettronico, all’inizio, è stato apprezzato dai giovani, mentre oggi è utilizzato soprattutto dalle persone anziane che hanno maggiori difficoltà a muoversi.

 

A proposito di fake news, non è spaventato dall’ingerenza dell’intelligenza artificiale nelle prossime elezioni?

Dipende tutto da come si usa. La tecnologia può manipolare né più né meno come per anni hanno potuto farlo la stampa e la televisione. Certo, riconoscere notizie vere da quelle false è importante, ma questo vale per qualsiasi mezzo di informazione.

Esistono già sistemi di intelligenza artificiale usati in ambito commerciale per convincere il consumatore a cambiare idea su un possibile acquisto. Funzionano bene e sono irriconoscibili, hanno una voce umana, per cui non capiamo con chi stiamo parlando. Sistemi analoghi potrebbero essere usati in ambito politico ed è sicuramente un aspetto su cui porre grande attenzione, in generale, e anche in vista delle elezioni.

Dall’altro lato, però, l’intelligenza artificiale può essere usata anche per esprimere il proprio pensiero, laddove un sistema politico oppressivo voglia impedirlo.

Si pensi a cosa è accaduto in Pakistan, dove l’ex primo ministro si trovava in carcere, escluso dal voto, ma ha potuto fare campagna elettorale attraverso un avatar con le sue sembianze che si mostrava nei video e parlava ai cittadini, come se fosse lui, e interpretava  i comunicati che l’oppositore riusciva a fare arrivare dal carcere.

Quindi va bene controllare, ma non censurare a priori.

 

In Italia è stato depositato un disegno di legge per una “Legge sulla Trasparenza dei Contenuti Generati da Intelligenza Artificiale”. Siamo dei precursori o ha poco senso regolamentare a livello nazionale?

Penso che una regolamentazione a livello locale non abbia alcun senso. Il fenomeno è globale e deve essere affrontato a livello sovranazionale. In generale, fissare delle regole, soprattutto in questa fase, rischia di ostacolare lo sviluppo di una tecnologia che rivestirà un ruolo fondamentale nel nostro futuro.

Si deve tenere ben presente che si tratta di una tecnologia che è in forte e costante evoluzione, per cui l’idea di regolamentarla è abbastanza critica, in quanto si rischia di imporre regole che possono risultare vecchie o sbagliate nell’arco di pochi mesi.

Forse l’unico approccio possibile sarebbe quello delle “sandbox law“, ovvero sperimentare nuove leggi in un ambito specifico e controllato, penso ad esempio all’uso dell’intelligenza artificiale nel settore delle armi comandate da AI che è uno dei più critici, per poi, solo dopo averle testate, valutare quale sia la normativa da adottare.

Adesso c’è troppa instabilità a livello tecnico per avere le idee chiare su cosa consentire e cosa vietare. Fissare norme per una tecnologia che si conosce poco, e che neppure sappiamo cosa sarà tra due mesi, significa rischiare di bloccarne lo sviluppo sul nascere e non ottenere in pratica i risultati che ci si propone di raggiungere.

 

La Camera dei Deputati ha lanciato una “call for ideas”? per raccogliere proposte per l’uso dell’intelligenza artificiale a supporto dei lavori parlamentari e per favorire l’accesso dei cittadini alla documentazione del Parlamento. Lei parteciperà?

Non so se parteciperò, di sicuro di idee ne ho molte e vedrò cosa fare. Uno dei problemi principali del Parlamento, da sempre, è la mancanza di trasparenza nei confronti dei cittadini su tanti aspetti, incluso il modo in cui vengono spesi i soldi di cui dispongono e sulla fine che fanno i fondi del 2 per mille.

Tutto ciò che può favorire la trasparenza è assolutamente da incentivare, ma alla base deve esserci la volontà politica di rendere disponibili i dati. L’intelligenza artificiale potrebbe essere utile, perché è in grado di elaborare informazioni e fornire evidenze chiare e oggettive.

Inoltre, l’intelligenza artificiale è già usata, ad esempio negli Stati Uniti, per favorire il processo legislativo sia nella predisposizione dei testi delle proposte di legge sia per esaminare le normative internazionali e consentire di elaborare norme che tengano conto di eventuali altre norme confliggenti e del contesto globale. È uno strumento molto utile se ben sviluppato e se ha alla base idee solide e innovative.

 

Secondo un sondaggio dell’European Tech Insight del 2020, il 25 per cento degli elettori europei preferirebbe che ad assumere decisioni politiche fosse un sistema di intelligenza artificiale. Cosa ne pensa?

In molti contesti potrebbe avere una visione più asettica e più chiara ed essere utile, anche perché non vengono date le spiegazioni sui disegni di legge che sono legate solo alla tifoseria delle diverse parti politiche. Stiamo già delegando decisioni quotidiane all’intelligenza artificiale, se potrà svolgere un ruolo anche in ambito politico sarà da vedere, è un punto critico.

Dal mio punto vista il più grosso problema dell’intelligenza artificiale resta l’impatto sul mondo del lavoro, a causa dell’assoluta rapidità con cui si sta affermando.

Se si considera una rivoluzione come quella dettata dall’elettricità, ha impiegato 48 anni ad imporsi, con picchi di aumento della produttività del 3 per cento all’anno, e la confrontiamo con quello che sta accadendo con l’intelligenza artificiale che sta trasformando interi settori in pochi mesi, si intuisce che cosa potrà accadere.

Avremo un impatto a doppia cifra che si tradurrà o in un aumento della produzione o in una diminuzione dei dipendenti, sempre a doppia cifra, e mentre in alcuni settori sarà possibile aumentare le vendite diminuendo i prezzi, in altri non sarà possibile, come già successo nel settore agroalimentare dove siamo passati dall’80% di impiego a meno del 2 per cento nel giro di un secolo, in quanto non si può mangiare cibo oltre un certo limite indipendentemente dal suo prezzo.

La politica dovrebbe tenere in grande considerazione lo sconvolgimento che ci attende sul piano economico e prepararsi a gestirlo, più che pensare a leggi che possono ricordare la Locomotive Act  del 1865 che per avvisare dell’arrivo di un’autovettura prevedeva che fosse preceduta da un uomo con una bandiera rossa che correva davanti alla macchina.

Cercare di fermare un treno in corsa, come l’intelligenza artificiale, è piuttosto difficile, per non dire impossibile. Meglio saperlo guidare.