L’identità digitale non può essere di plastica

Ogni servizio privato o pubblico che deve riconoscerci ha attivato negli anni un servizio costoso di gestione della nostra identificazione. Banche, assicurazioni, hotel, INPS, anche la stessa raccolta firme per presentarsi alle elezioni o sottoporre un referendum.  Il processo è spesso costoso e farraginoso.

Per questo si stima che i Paesi che hanno un’identità digitale di Stato largamente utilizzata sia nel privato che nel pubblico hanno un impatto sul PIL del 3%, soprattutto in termini di risparmi di costi, ma anche per nuovi servizi che possono essere erogati con facilità.

Il problema che si ripresenta ogni volta è che se ci sono più tipologie di identità digitali, cade il senso stesso del risparmio dato dallo standard. In Italia abbiamo SPID, ma anche la carta d’identità elettronica, ma anche la tessera sanitaria con chip, ma anche la firma digitale, ma anche la chiavetta della camera di commercio, ma anche la PEC, ma anche la tessera del pullman, ecc… Questa frammentazione non ha ancora fatto partire il settore privato che si tiene il processo costoso e farraginoso per evitare di doversi integrare con tutte le diverse identità.

Per fortuna alcuni passi importanti sono stati fatti come quello dell’INPS che ha rinunciato alla sua ulteriore identità digitale fornita tramite user e password uniformandosi a SPID.

Ad aggiungere complessità a questo scenario è arrivata la notizia che le carte di identità elettroniche e le tessere sanitarie non saranno riprodotte con chip per via della mancanza di chip inibendo il loro utilizzo digitale. Una situazione che potrebbe estendersi a bancomat e altre carte dotate di chip. 

Forse questa situazione potrà portare alla decisione più naturale: avere una sola identità digitale senza plastica o chip, che in Italia esiste già e si chiama SPID.

P.S. Immagine generata dall’Intelligenza Artificiale