L’economia ai tempi del Coronavirus – Intervista a Jean Paul Fitoussi

Di seguito pubblichiamo nuovamente l’intervista realizzata nel 2020 dal presidente dell’Associazione Rousseau Davide Casaleggio all’economista francese Jean-Paul Fitoussi, scomparso recentemente, già presidente dell’osservatorio francese alle congiunture economiche (OFCE) e già docente all’istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po) e alla Luiss di Roma.

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D.C.: Buongiorno, sono Davide Casaleggio, come sta?

J.P.F: Io bene, sono confinato “in prigione”, agli arresti domiciliari. Che possiamo fare…

D.C.: Avendo lei vissuto molto della vita politica economica della Francia negli ultimi anni da protagonista mi interessava ascoltare un po’ il suo punto di vista: ci sono stati a suo avviso dei momenti nella storia che assomigliano dal punto di vista economico a quello che sta succedendo oggi?

J.P.F: Abbiamo la memoria corta, ma abbiamo vissuto degli shock che sono stati molto forti e che hanno avuto degli effetti molto lunghi. Questa è la prima volta che viviamo uno shock sanitario, gli altri erano degli shock economici, penso allo shock petrolifero per esempio, del ’73 e del ’79. E quello del ’79 ha avuto un effetto molto più grande che la sua materialità implicava, perché ha fatto cambiare totalmente di policy l’insieme del mondo e ha reso possibile la rivoluzione conservatrice, quella che è stata condotta da Reagan e Thatcher e che gli europei hanno imitato. Abbiamo avuto anche una crisi finanziaria molto forte nell’87, credo che fosse più forte la caduta delle borse [allora] che nella grande crisi finanziaria del 2008. Poi abbiamo vissuto un cambiamento epocale anche dopo la caduta del muro di Berlino.

D.C.: Dunque ci sono stati altri episodi nella storia in cui abbiamo dovuto cambiare il paradigma economico o comunque affrontare un problema di liquidità. Oggi sembra esserci un problema di liquidità e probabilmente ci sarà sempre di più nelle prossime settimane. In che modo dovremmo affrontarlo?

J.P.F: Nessun problema di liquidità, a condizione che i Governi non vogliano avere un problema di liquidità. Abbiamo le banche centrali che esistono proprio per produrre della liquidità.

D.C.: Quindi basta stampare denaro, è questa la sostanza?

J.P.F: Ci sono dei periodi dove non basta stampare denaro e dei periodi dove si deve stampare denaro. È per salvare il mondo. Altrimenti il mondo affoga. Siamo in un mondo dove dobbiamo creare della liquidità per investire. È la verità, il problema non viene dalla politica monetaria ma dalla politica budgetaria. Lo vediamo negli Stati Uniti, ma qui sta cambiando. Lo vediamo in Europa ma con scarse speranze di cambiamento. Si farà del finanziamento monetario della spesa pubblica, senza ma e senza sì negli Stati Uniti, ma con un sacco di condizioni in Europa. 

D.C.: In Francia si stanno attuando delle politiche economiche particolari in questo periodo?

J.P.F: Il problema è che siamo come gli italiani e gli spagnoli. Se ci teniamo alle regole esistenti allora niente è possibile. Se invece mettiamo da parte le regole o almeno le sospendiamo, come ha detto la Commissione, allora ci sarebbe tanto da fare, perché abbiamo per la prima volta dagli anni ‘80 la possibilità di avere una politica Budgetaria espansiva. Dunque possiamo fare tante cose e sappiamo esattamente cosa fare. 

D.C.: Quali dovrebbero essere le priorità economiche?

J.P.F: È ovvio che c’è un problema sanitario. Il primo grosso investimento deve essere fatto per il sistema sanitario, negli ospedali, per la ricerca medica. A causa degli investimenti non fatti in passato, oggi abbiamo lasciato morire tante persone. Dobbiamo accettare che il numero di morti sia più elevato a causa delle politiche restrittive? Per soddisfare i paesi del Nord?

D.C.: Dunque la priorità è sicuramente quella sanitaria, dopodichè quali sono a suo parere le altre priorità da affrontare?

J.P.F: Ma anche la scuola, l’università, la ricerca come il sistema sanitario non hanno ricevuto i giusti investimenti. Abbiamo distrutto del capitale umano come mai nella nostra storia. I giovani lasciano i nostri Paesi perché il lavoro che trovano è poco dignitoso. Per questo vanno altrove, dove hanno maggiori opportunità. 

Abbiamo dato priorità alla contabilità, invece che alla salute, al benessere, alla ricerca, alla cultura ecc. Questo perché costavano troppo, ma questi investimenti sono necessari per avere un futuro. 

E vale lo stesso discorso per le infrastrutture che sono dei beni pubblici proprio come la sanità e l’educazione. Infrastrutture che non sono state tutelate veramente perché costava troppo fare gli investimenti necessari e dunque abbiamo ridotto la capacità delle nostre economie di poter crescere perdendo un capitale enorme. Adesso in termini di infrastrutture pubbliche abbiamo un capitale inferiore rispetto a quello che avevamo tanti anni fa. Abbiamo perso una cosa strepitosa in termini di capitale pubblico ed economico. Quello che con Stiglitz chiamiamo “Missing capital” è tutto quel capitale che è stato distrutto dalle crisi e non è stato rinnovato con gli investimenti. Dall’inizio della crisi finanziaria equivale a un anno di PIL, parecchi triliardi di euro!

D.C.: Questo è un capitale perso perché non abbiamo mantenuto gli investimenti?

J.P.F: Si, non abbiamo conservato lo stesso livello di investimenti. Non abbiamo fatto né abbastanza ammortamento nè nuovi investimenti.

In questi giorni si sta parlando molto dell’intervento europeo tra creare nuovo debito e stampare moneta o fare QE aggiuntivi. Qual è la differenza tra questi due approcci?

Il QE (Quantitative Easing n.d.r.) serve a comprare i titoli di stati sul mercato secondario, dunque a calmare lo spread. Non serve da solo. Sappiamo che i periodi di grandi crisi economica sono periodi dove la politica monetaria non è efficace. Mettiamo della liquidità nell’economia, ma se poi la gente non investe, non investe. L’imprenditore con la situazione attuale investe anche se ha il denaro? C’è bisogno di creare i bisogni di investimento dalla moneta creata. Quindi una politica monetaria espansiva serve a soddisfare i bisogni reali della società. Se non ci si prende cura degli ospedali chi lo farà e con quali finanziamenti lo faremo? Lo faremo solo quando il finanziamento andrà sul mercato e facendo prestiti a tasso 0 o anche negativi perché la Banca Centrale avrà già fatto QE. Dunque, tutto questo sforzo d’investimento non è possibile se la BCE smette di attuare questo tipo di politica. Questo non risolve totalmente il problema: ma tramite l’occasione di investimento, abbiamo una occasione di andare verso il futuro investendo nelle nuove tecnologie, nell’ambiente e nell’energia rinnovabile, innovazione urbana ecc. un sacco di investimenti molto produttivi.

D.C.: Ne cito un altro, il digitale: un investimento di cui ora vediamo potenzialità in tutti i settori.

J.P.F: C’è questa fonte di creazione di valuta creando nuove tecnologie e occupandoci di ambiente. Siamo in una buona posizione in Europa per fare questo. Avevamo il primato nelle tecniche per l’energia e per l’ambiente: non so se è ancora vero perchè la Cina ha fatto progressi enormi. Ma abbiamo tra i migliori matematici del mondo.

D.C.: Qual è la differenza tra le misure che oggi sono state adottate o che si stanno adottando e le misure della Cina o degli Stati Uniti rispetto a quelle dell’Europa? Esistono differenze di intervento?

J.P.F: Hanno fatto quello che dovevano fare, non sono mai stati vincolati a regole da seguire. Ed hanno messo nell’economia quello che si deve mettere. Hanno fatto di tutto: miliardi e miliardi. Con Obama hanno fatto la nazionalizzazione del settore automobilistico, hanno un approccio molto pragmatico. “Se l’economia ha bisogno di denaro, diamo del denaro. Se ha bisogno di investimenti, facciamo investimenti”. L’atteggiamento ideologico è diverso, questo è sicuro. Ma a livello macroeconomico delle grandi masse, si è fatto quello che si deve fare. Solamente in Europa non si faceva questo, perché avevamo delle regole per tutto, per il tasso d’interesse, per il tasso d’inflazione, per il disavanzo pubblico, per il debito pubblico, per il surplus delle partite correnti, per tutto. Perché mancava la fiducia. Avevamo delle regole per tutto, per la politica industriale, e dunque non avevamo dei governi ma dei governatori di provincia. I capi di Stato europei sono dei governatori di provincia. Io credo che si possa fare un paese in Europa in modo collettivo ma c’è una questione di sovranità e, a proposito, è questo che rischia di essere l’impedimento alla messa in moto di un piano di rilancio a livello europeo. Perché dico questo? Semplice. Si parla adesso di coronabond. Provare è meglio che non provare, ma si sa bene che non risolverà veramente il nostro problema, perché non risolverà il problema costituzionale dell’Europa, ossia che gli stati europei fanno prestiti in una moneta sulla quale non hanno nessun controllo, l’euro. Tutto si basa sul dominio dei mercati.

Per esempio: supponiamo che abbiamo i coronabond, se un mercato decidesse di non dare fiducia alla Spagna, alla Francia o all’Italia, lo spread aumenterebbe, non avremmo risolto la questione dello spread e dunque non avremmo risolto la vera questione europea che riguarda l’economia che, invece di essere gestita dagli Stati, è gestita dai mercati; questo perché abbiamo pensato che questo modo costringerà i diversi Paesi a seguire le regole. Se un Paese non segue la regola del 3%, o 4%, o 60% di debito, allora andrà a pagare uno spread, un tasso d’interesse più alto degli altri Paesi. Dunque la sorveglianza dei mercati sugli Stati è il metodo europeo per implementare le regole. Il solo metodo che consentirebbe di togliere totalmente questo potere ai mercati è avere un eurobond, un titolo di debito unico in Europa. Questo significa che non ci sarebbe più la possibilità di speculare sulla valuta dei titoli secondo la nazionalità del rimettente del debito.

D.C.: Certo, quindi mettere a fattor comune i debiti europei.

J.P.F: Esattamente. O, se non facciamo questo, allora diciamo che la Banca Centrale Europea deve essere, per tutti gli Stati, senza avere diritto di discriminare tra gli Stati, il prestatore di ultima istanza. Ma è molto meglio avere tutti e due, gli eurobond e il prestatore di ultima istanza. È logico, perché quando c’è un titolo unico il prestatore di ultima istanza esiste, è quello che crea la moneta (come è per gli Stati Uniti la FED che non ha nessun vincolo per comprare dei titoli di Stato, sul primo mercato o sul mercato secondario).

Io avevo proposto tanti anni fa di fare un servizio pubblico di garanzia alle imprese per avere prestiti a tassi di interesse calmierati. Un modo di aumentare l’espansività delle misure. Si farà in Francia e ho sentito che si farà anche in Italia. Ma il diavolo è nei dettagli. Se sarà complicato attivarlo non funzionerà, deve essere semplice accedervi. La priorità in questo momento non sono le entrate fiscali, è la liquidità. Oggi c’è la possibilità di dare garanzie pubbliche per calmierare i tassi. 

D.C.: Quindi, per riassumere, alla fine se gli Stati vogliono possono trovare le soluzioni finanziarie alla crisi, non è un problema di liquidità, non è un problema di soldi. È un problema di volontà politica.

J.P.F: Esatto. Due punti per terminare: non abbiamo problemi di inflazione. Oggi abbiamo un problema di tasso di inflazione troppo basso. Secondo: sappiamo esattamente quello che si deve fare, perché stiamo soffrendo a causa di quello che non è stato fatto per anni in passato e che ci manca in modo tremendo oggi. Manca la volontà e/o il coraggio politico. 

Certo, la libertà degli Stati. La libertà della politica sul mercato.

J.P.F: Esatto.