Diritto alla disconnessione: primi passi di civiltà in Europa

Il diritto alla disconnessione si fa strada in Europa. La Commissione Occupazione e Affari sociali del Parlamento europeo ha infatti approvato un testo che prevede il riconoscimento del diritto alla disconnessione dei lavoratori che svolgono la prestazione lavorativa da remoto.

ll teleworking è un fenomeno in costante crescita nei ultimi anni ma è letteralmente esploso a seguito delle misure restrittive prese dai governi per limitare la diffusione del Coronavirus. Secondo uno studio dell’agenzia Eurofound un terzo di tutti i lavoratori europei ha iniziato a lavorare in smart working durante il lockdown, mentre prima la percentuale non superava il 5%. Inoltre, sempre secondo la stessa ricerca ben il 27% di questi ha regolarmente lavorato ben oltre il normale orario per far fronte ai carichi di lavoro, con un incremento di ore lavorate superiore alle 48h/settimana. Un lavoratore a distanza su tre ha sistematicamente lavorato anche durante i giorni di riposo.

Il telelavoro pone dunque una serie di svantaggi e problematiche di tipo etico, legale e occupazionale che vanno risolte. L’intensificazione dell’orario e dei carichi di lavoro, l’abbattimento delle barriere tra lavoro e vita lavorativa, fenomeni come i lavoratori “sempre connessi” o la “costante reperibilità” violano i diritti fondamentali dei lavoratori perché influiscono sulle condizioni, sul salario, sull’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, il diritto al benessere oltre alla tutela salute e sicurezza sul lavoro.

Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che l’uso eccessivo degli strumenti digitali può avere conseguenza sulla psiche e sul fisico e portare a isolamento, tecno-dipendenza, riduzione delle ore di sonno, esaurimento, ansietà e burnout. Si stima che il 38,2% dell’intera popolazione europea soffra di disturbi mentali ogni anno.

Le donne sono le più colpite da questa nuova condizione e sono  spesso costrette a pagare un prezzo enorme per la loro impossibilità di essere sempre reperibili. Altra categoria particolarmente danneggiata è quella dei lavoratori transfrontalieri, per i quali raramente sono garantire pari condizioni rispetto agli altri lavoratori dello Stato in cui prestano la propria attività.

È arrivato il momento di intervenire. Per questa ragione abbiamo sostenuto al Parlamento europeo l’avvio di un iter legislativo ad hoc per richiedere alla Commissione di fissare a livello europeo un quadro normativo. Si tratta di un passaggio fondamentale per garantire la piena tutela dei lavoratori nella nuova era digitale.

Con questo atto legislativo si chiede alla Commissione di presentare una direttiva che stabilisca i requisiti minimi per il lavoro da remoto per tutta l’UE, in modo da garantire che il telelavoro non danneggi le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori. La direttiva dovrà chiarire le condizioni di lavoro, inclusa la fornitura, utilizzo e responsabilità dell’attrezzatura digitale, dovrà affermare la volontarietà del telelavoro e che i diritti, i carichi di lavoro e gli standard di rendimento siano equivalenti a quelli di altri lavoratori comparabili. La distinzione tra orario di lavoro, eventuale reperibilità e tempo di riposo va regolamentata per legge.

La nuova direttiva dovrà definire in modo chiaro le responsabilità dei datori di lavoro, gli strumenti di monitoraggio del lavoro saranno usati solo se necessario e dovranno essere proporzionati per assicurare il diritto alla privacy degli impiegati e la loro autonomia. I lavoratori dovranno ricevere adeguata formazione per svolgere la propria attività da remoto.

Tuttavia, per entrare in vigore questo testo dovrà essere approvato con la maggioranza assoluta degli eurodeputati durante la seduta plenaria, solo così si potrà impegnare formalmente la Commissione europea nella presentazione in tempi brevi di una proposta legislativa tanto attesa da milioni di lavoratori. Il MoVimento 5 Stelle si batterà per raggiungere questo traguardo di civiltà.


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