Università, ancora troppe disuguaglianze Nord-Sud: questo è il momento della svolta

Oggi, sul quotidiano Avvenire, un’analisi dell’attuale sistema universitario e delle prospettive future a firma di Alessandro Melicchio, deputato del MoVimento 5 Stelle in commissione Cultura, Scienza e Istruzione.


Da anni i nostri atenei si sono trasformati da fattori di mobilità sociale ad amplificatori di disuguaglianze e divari.

Nonostante le ultime due leggi di bilancio abbiano provato a invertire la tendenza, continuano a rimanere quei criteri di distribuzione delle somme e dei punti organico che svantaggiano in particolare le università del Sud.

Il sistema attuale di assunzione di professori e ricercatori, infatti, è ancora quello deciso con la riforma Gelmini, che tiene conto dell’impatto delle spese ordinarie (personale, oneri, fitti) sulle entrate fisse, rappresentate dal fondo di finanziamento statale e dalle tasse degli studenti. Ma quest’ultimo dato, ovviamente, è migliore negli atenei settentrionali, dove si incassa di più perché maggiore è il gettito fiscale.

ln pratica, le università che oggi hanno più punti organico sono quelle più “virtuose” dove con “virtù” si intende principalmente l’avere studenti più benestanti e tassarli il più possibile.

È una logica che porta il Sud a perdere il 26,4% dei propri diplomati, i quali conseguono la laurea in università del Centro Nord.

Nonostante negli ultimi anni vi sia stata una ripresa generale delle immatricolazioni (+ 11,2% nel 2018/2019 rispetto al 2013/2014), il Sud ha perso in quindici anni oltre 37mila matricole. Bene ha fatto il Governo ad ampliare quest’anno la “No tax area” e ridurre le tasse agli studenti con basso reddito in vista di un nuovo calo causato dall’emergenza sanitaria, ma chiaramente non può bastare.

Discorso simile vale per il reclutamento dei professori. Al Centro Nord, registra la Svimez, per un docente che esce ne entrano fino a cinque, al Sud meno di uno: qui le università perdono più di 100 professori ogni anno. Questa situazione è frutto di una scelta che risale al 2012 quando si è deciso, per motivi di bilancio, di ridurre il turn-over degli atenei, consentendo cioè un reclutamento inferiore ai pensionamenti.

Ma con meno docenti si riduce il contributo delle Università (fatto di didattica, ricerca e rapporti con il territorio) alle aree di insediamento. Avere molte Università meridionali con una possibilità di reclutamento inferiore alle persone che hanno cessato servizio e avere, invece, gran parte degli atenei settentrionali in grado di ampliare offerta didattica e qualità della ricerca, è deleterio se si vuol ragionare in ottica di Nazione.

Lo scenario di oggi caratterizzato da un protagonista inatteso, il coronavirus, presenta tutti i rischi di una ulteriore amplificazione di queste asimmetrie.

Recentemente il ministro Manfredi si è detto disponibile a una riforma dei meccanismi di assegnazione dei punti organico: mi auguro che si possa realizzare il prima possibile.

Alla Camera dei deputati, inoltre, si sta già lavorando a una modifica del sistema di reclutamento dei ricercatori all’insegna di merito e trasparenza: insieme, questi contributi potrebbero presto produrre effetti benefici per tutto il sistema Paese.

È questo è il momento di imprimere la svolta.