L’Australia lancia i reef credits per la qualità delle acque. Un esempio per l’Italia

La salute del Pianeta dipende dalle condizioni degli ecosistemi, primi fra tutti gli oceani. Se i mari soffrono, la terra soffre. La Grande Barriera Corallina australiana soffre, in quanto colpita da un ennesimo fenomeno di sbiancamento dei coralli dovuto alle elevate temperature dell’acqua registrate negli ultimi tempi.

Il fenomeno sta distruggendo i coralli delle aree più lontane a nord del Queensland e della parte centrale della barriera, già provati dai precedenti eventi. L’allarme è stato lanciato dai ricercatori del Centro di eccellenza per gli studi sulla barriera corallina della James Cook University, a conclusione di uno studio condotto mediante attraversamento in volo su circa di mille tratti di barriera. La ricerca ha registrato danni maggiori sui coralli più vicini alla costa.

Si tratta di un fenomeno conseguente ai devastanti incendi che hanno interessato l’Australia nei mesi estivi, a cui si aggiunge l’aumento dei gas serra in atmosfera, dovuto all’uso di petrolio, gas e carbone, e il ben noto riscaldamento globale. Cambiamenti climatici drastici che stanno costantemente minacciando il Pianeta, a cominciare, per l’appunto, dalle barriere coralline che, negli ultimi 25 anni, a causa dello stress termico e del fenomeno dello sbiancamento, sono in buona parte morte.

Lo stato del Queensland, ponendosi come obiettivo la salvaguardia della barriera corallina, insieme alla banca HSBC, ha previsto l’emissione di “reef credits”, crediti che quantificano e valorizzano il lavoro svolto dai proprietari terrieri per migliorare la qualità dell’acqua che scorre sulla Grande Barriera Corallina. Lavorando in collaborazione con agricoltori e allevatori, Green Collar (uno dei maggiori investitori australiani sui mercati ambientali) crea progetti che migliorano la qualità dell’acqua dei bacini della Grande Barriera Corallina e che generano reef credits.

Questi crediti possono quindi essere venduti, pagando i proprietari terrieri per una migliore qualità dell’acqua derivante dalle loro azioni in azienda, il tutto senza compromettere la produttività della loro terra. La compravendita di tali crediti determina la nascita di un mercato, analogamente a quanto successo nel caso degli “emission trading schemes”, per il mercato delle emissioni dei gas ad effetto serra.

Si tratta di un meccanismo che ha, dunque, lo scopo di incentivare il miglioramento della qualità delle acque, per cui chi inquina o svolge attività che hanno impatti negativi sulle acque, è tenuto ad acquistare delle quote, i crediti, che hanno il valore di permessi.

L’andamento dei prezzi sul mercato dovrebbe essere tale per cui, ad un certo punto, per le aziende diventa più conveniente spendere in nuove tecnologie, più pulite e sostenibili, piuttosto che continuare ad acquistare tanti crediti.

Si tratta di un sistema mutuabile in Italia? Probabilmente sì, e proprio con riferimento alle acque, anche alla luce dei risultati che emergono dal Report di Legambiente sullo stato di salute dei corpi idrici italiani, ricco di storie di inquinamento e di cattiva gestione dei corpi idrici.