Un piano nazionale per le nuove competenze farà ripartire il lavoro

L’arma competitiva del ventunesimo secolo sarà la formazione accompagnata dalle competenze della nostra forza lavoro”. Questa celebre frase dell’economista americano Lester Thurow, scomparso nel 2016, torna prepotentemente d’attualità oggi, con il mercato del lavoro – nazionale e globale – che si trova a fare i conti con gli effetti della pandemia e che deve progettare il proprio futuro. 

Il Governo, grazie anche al grande lavoro svolto dal mio Ministero, in questi mesi ha messo in campo misure che, come recentemente riconosciuto dalla Banca centrale europea e dalla Uil, hanno evitato che la disoccupazione schizzasse al 25% salvaguardando 5 milioni di posti di lavoro. Ora, pur consapevoli che il Coronavirus c’è ancora, dobbiamo costruire la ripartenza puntando proprio sui due concetti chiave espressi da Thurow: formazione e competenze. 

Il mio obiettivo come Ministro del Lavoro è quello di creare un grande Piano nazionale per le nuove competenze, che poggi le proprie basi su alcuni interventi e riforme chiave. Il primo è il “Fondo nuove competenze”, già istituito con il Decreto Rilancio. Si tratta di uno strumento che ho pensato per riqualificare i lavoratori i quali, invece di andare in cassa integrazione, rientrano in azienda potendo rimodulare i l proprio orario di lavoro. Cosa significa, in concreto? Che una parte dell’orario viene retribuito dallo Stato e dedicato a corsi di formazione che consentono all’interessato di accrescere le proprie competenze. In questo modo, si avrà un duplice effetto benefico per tutti i soggetti interessati: da un lato, l’azienda avrà un lavoratore più formato (che potrà garantirgli una maggiore competitività) e un minor costo del lavoro; dall’altro, il lavoratore stesso non avrà alcuna perdita di salario. 

Un altro punto fondamentale è rappresentato dalla riforma degli ammortizzatori sociali, visto che la pandemia ha evidenziato chiaramente i limiti e le fragilità dell’attuale assetto. Lo sforzo che è stato fatto in questi mesi dal mio Ministero è stato quello di assicurare a tutti i lavoratori dipendenti una tutela, aprendo la strada a un sistema di copertura pressoché generalizzata. Nella riforma che voglio realizzare, improntata sul principio dell’universalità, gli ammortizzatori sociali opereranno da un lato per garantire una rete di protezione temporanea ai lavoratori di quelle imprese che intendono sospendere – per un breve periodo – una parte della produzione per ristrutturazioni aziendali o riconversioni produttive o tecnologiche; dall’altro, quali strumenti di accompagnamento e sostegno finalizzati alle transizioni occupazionali, dunque in un’ottica di tutela nel mercato del lavoro. 

Formazione nel primo caso e politiche attive e condizionalità nel secondo costituiscono gli assi portanti del mio progetto. Ultimo, ma certamente non meno importante, è il tema che riguarda il rafforzamento delle politiche attive del lavoro. Prima del nostro arrivo al Governo, i centri per l’impiego italiani scontavano un enorme ritardo in termini di personale (8mila addetti in tutto nei 552 Centri per l’impiego) rispetto a quelli degli altri Paesi Ue, per esempio Germania e Francia dove lavorano – rispettivamente – 100mila e 54mila unità. Per questo abbiamo deciso di assumere 11.600 nuovi operatori nei centri per l’impiego entro il 2021, che saranno a disposizione di tutti, non solo dei percettori di Reddito di cittadinanza. Seguendo queste direttrici l’Italia potrà ripartire dopo il Covid. Come Ministro del Lavoro ce la metterò tutta.