La salute prima di tutto: il nesso tra inquinamento e malattie

A cura delle commissioni Ambiente di Camera e Senato e della Commissione Affari sociali della Camera


C’è un legame tra inquinamento atmosferico e Covid-19?

La domanda si è diffusa praticamente insieme al contagio in tutto il Pianeta. Tanti gli studi avviati monitorando i dati attuali e confrontandoli con i livelli di mortalità e le emissioni pre-pandemia sembrano riscontrare conseguenze più pesanti nelle aree più inquinate del Pianeta. “Non abbiamo ancora prove che colleghino direttamente alla mortalità, ma sappiamo che se si è esposti all’inquinamento atmosferico aumentano le possibilità di essere colpiti più gravemente”, ha affermato la dottoressa María Neira, direttrice della salute pubblica presso l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

C’è da sottolineare che è ancora presto per avere risultanze definitive e verificate: finora gli studi riportati dai media sono ancora in fase preliminare e necessitano dell’esame di altri scienziati e ricercatori prima di poter considerare “solidi” i loro esiti. Ciò non toglie però che alla luce di quanto emerso finora, l’Oms sta iniziando a suggerire ai diversi Paesi di tenersi pronti alla possibilità che nelle aree con livelli di inquinamento maggiori si possa verificare un tasso di mortalità da coronavirus più elevato. 

Uno dei sospetti sorti di recente ha inquietato molto l’opinione pubblica perché potrebbe riguardare i bambini. Il legame con il Covid-19 è tutto da accertare, ma in alcune zone più colpite dal coronavirus, come in provincia di Bergamo, nel Regno Unito, ma anche in Francia, Spagna e Stati Uniti, si sono verificati più casi del solito di sindrome di Kawasaki nei minori. “In un mese il numero dei casi di malattia di Kawasaki ha eguagliato quelli visti nei tre anni precedenti. Si è calcolato che l’incidenza di questa malattia, nell’ultimo mese, è stata di 30 volte superiore al passato”, ha spiegato Lucio Verdoni, reumatologo pediatra dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Questa sindrome ha genesi multifattoriale ma alcuni studi la correlano all’esposizione a inquinanti atmosferici. Molti altri studi e considerazioni fisiopatologiche sono concordi ed evidenziano che gli inquinanti a cui i bimbi sono maggiormente esposti all’aria aperta sono determinanti. Essendo una sindrome multifattoriale, non si può non ricordare fra i fattori considerati la genetica e i virus, ma è ovvio che evitare almeno uno dei fattori è fondamentale. Ridurre le emissioni in atmosfera in aree impattate a questo punto è ancora più importante.

Le valli di Bergamo, per esempio, sono fra le aree con l’aria più inquinate in Europa, così come Codogno, dove per primo è stato evidenziato il nuovo Coronavirus autoctono. La correlazione fra il nuovo Coronavirus e la sindrome di Kawasaki va studiata e dimostrata. Così come l’auspicio è che lo studio annunciato recentemente da Enea, Iss E Snpa, faccia definitivamente chiarezza sull’effettivo legame fra inquinamento e diffusione del coronavirus. 

Ma il particolato in atmosfera, che può essere un fattore aggravante o comunque una concausa, va in ogni caso ridotto. La stessa letteratura scientifica consolidata mostra come l’inquinamento atmosferico abbassi le difese immunitarie (in particolare le diossine emesse dagli inceneritori, ce ne sono 100 in Lombardia) e aumenti l’infiammazione polmonare (con l’interleuchina 6 che aumenta anche con l’infezione da nuovo coronavirus, con un meccanismo di amplificazione del danno infiammatorio), come incrementi il rischio di polmoniti e di molte altre patologie. Dopo il position paper della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima)del marzo scorso che ha ipotizzato una relazione fra particolato atmosferico in eccesso nei mesi precedenti alla pandemia e i casi del nuovo coronavirus, lo scorso 24 aprile la stessa Sima ha reso noto il ritrovamento di geni virali nel particolato dell’area industriale di Bergamo.

Il ruolo del particolato come aggravante di questa pandemia e come trasportatore del virus va ulteriormente studiato, ma non si può dimenticare che l’Agenzia Ambientale Europea stima per l’Italia oltre 76.200 decessi fra esposizione a particolato in eccesso, a ossidi di azoto e ozono. Dati concordi con i rilievi dell’Organizzazione mondiale della sanità. Se ne deduce che il particolato va ridotto e che in questa fase di ripartenza vanno tenute in considerazione le emissioni in atmosfera, altrimenti si continua ad alimentare a monte nuovi attacchi alla nostra salute e al nostro futuro. 

È anche importante che i dati epidemiologici territoriali vengano messi a disposizione della ricerca universitaria nazionale da parte delle Regioni, in linea con la legge 29 del 2019, sul referto epidemiologico della popolazione, fortemente voluta dal MoVimento 5 Stelle e approvata dal Parlamento, ma non ancora attuata. La via d’uscita da questo coacervo di situazioni pericolose è una sola, ed è rappresentata dall’insieme di diverse azioni: monitorare e pubblicare tutti i dati riguardanti le emissioni inquinanti, studiare tutti i possibili nessi con le patologie in aumento, pianificare la ripartenza puntando sulla riduzione di emissioni di CO2 e su un modello di società davvero sostenibile per la salute e per l’ambiente.