Fusione nucleare: quanto manca per l’energia del futuro? – INTERVISTA

La chiamano l’energia delle stelle, perché è quella che ‘accende’ il Sole e tutti gli astri dell’universo. E la sua materia prima è l’acqua. Per molti sarà l’energia del futuro, un’energia rinnovabile pulita, sicura, inesauribile e quindi economica, che sostituirà i combustibili fossili consentendo la decarbonizzazione e quindi la salvezza del nostro pianeta. Ne abbiamo parlato con Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile).


• Può spiegarci in parole semplici cos’è l’energia nucleare da fusione e quali vantaggi presenta rispetto a quella da fissione in termini di sicurezza, impatto ambientale e rendimento energetico?

Nella reazione di fusione nucleare, l’energia scaturisce dall’unione di due nuclei di elementi molto leggeri quali ad esempio l’idrogeno (più precisamente i suoi isotopi deuterio e trizio): i prodotti della reazione sono un neutrone (portatore dell’energia prodotta) e l’elio, un gas nobile chimicamente inerte. L’energia termica prodotta deve poi essere trasformata in energia elettrica con meccanismi analoghi a quelli utilizzati quando si utilizzano altre fonti energetiche.

Nella fissione, ovvero negli impianti nucleari attualmente in funzione in molti paesi industrializzati, il processo consiste nell’urto fra un neutrone e il nucleo di un atomo molto pesante (fissile, quale l’uranio) che si rompe in frammenti radioattivi, che restano tali per migliaia di anni, ed emette diversi neutroni (portatori di energia termica da trasformare in energia elettrica).

Dal punto di vista della sicurezza e dell’impatto sull’ambiente, le differenze fra i due processi sono notevoli: un incidente severo in un reattore a fissione della generazione attuale, anche se ha una bassissima probabilità di accadere, può provocare seri danni alla popolazione e all’ambiente a causa del rilascio nell’ambiente del materiale radioattivo prodotto e del combustibile esausto. 

Un ipotetico incidente in un reattore a fusione non avrebbe ricadute per la popolazione e per l’ambiente in virtù dell’assenza di residui radioattivi a lunga vita e per il semplice fatto che, per poter mantenere la reazione di fusione, occorre alimentare continuamente il plasma: in caso di guasto il reattore si spegnerebbe da solo.

Relativamente al rendimento energetico è ancora presto per fare conti precisi, ma già la disponibilità quasi infinita di combustibile e l’assenza di residui radioattivi a lunga vita, bastano a far pendere la bilancia verso la fusione.

• Un giorno potrebbe bastare una bottiglietta di acqua di mare per dare corrente a una casa per un anno?

L’esempio forse è un po’ ardito, anche perché andrebbe purificata… però si può affermare che con 1.6 grammi di deuterio (estratto da 50 litri di normalissima acqua) e 5 grammi di litio-6 (contenuto in alcune batterie) è possibile produrre 380.000 kilowattora (kWh), un quantitativo di energia sufficiente a soddisfare il fabbisogno di una persona per circa 10 anni.

Con le fonti fossili servirebbero 32 tonnellate di petrolio che produrrebbero oltre 76 tonnellate di emissioni di CO2.

• A che punto è la sperimentazione sulla fusione nucleare controllata? Ci può parlare del progetto internazionale ITER in corso nel sud della Francia e del progetto DEMO?

Qualche anno addietro è stata pubblicata la Road Map Europea per la fusione, un vero e proprio percorso a tappe per arrivare prima possibile a una centrale a fusione che possa immettere energia elettrica in rete.

ITER, in costruzione nel sud della Francia, è la prossima tappa: si tratta di un progetto internazionale di dimensioni colossali che vede la collaborazione di Unione Europea, Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti, con un budget complessivo di circa 20 miliardi di euro.

Da fine 2025, quando sarà pronto, inizierà a funzionare ma non genererà energia elettrica: fornirà le basi scientifiche e proverà le tecnologie necessarie per la realizzazione del reattore dimostrativo, che è la seconda tappa. Intorno alla metà del secolo, verrà realizzato il reattore DEMO che dovrà produrre alcune centinaia di MW di potenza elettrica e produrre in modo autosufficiente il trizio consumato durante il funzionamento del reattore.

• Come si colloca l’Italia in questo contesto? Può parlarci dei progetti italiani DTT, di ENEA, e IGNITOR?

L’Italia è fra Paesi leader nel campo della fusione, a livello tecnico-scientifico e per la presenza di un gruppo di imprese altamente specializzate che, ad oggi, hanno vinto bandi europei per oltre 1,3 miliardi di euro. L’ENEA in questo campo ha lunga tradizione scientifica ed è il coordinatore del programma nazionale di ricerca sulla fusione.

I nostri Centri di Ricerca sono un punto di riferimento internazionale. A Frascati è da poco stato avviato il progetto DTT (Divertor Tokamak Test) ideato dall’ENEA in collaborazione con INFN, Consorzio RFX, CREATE, CNR e alcune tra le più prestigiose università italiane. Si tratta di un progetto di frontiera del valore di circa 600 milioni di euro che mette insieme grande ricerca, innovazione tecnologica, sviluppo e nuova occupazione.

Nei sette anni di realizzazione è prevista la creazione di circa 1.500 nuovi posti di lavoro di cui 500 direttamente e altri 1.000 nell’indotto. Dovrà essere un polo scientifico internazionale per attrarre giovani scienziati italiani e arginare la fuga dei cervelli.

Il progetto DTT si colloca a fianco di ITER: di dimensioni ridotte rispetto al “cugino” francese, sarà la macchina per la ricerca sulla fusione più importante del nostro Paese. Gli obiettivi sono complementari a quelli di ITER e puntano a studiare un componente periferico, chiamato divertore, su cui sono convogliate le particelle che fuoriescono dal plasma (un po’ la funzione del tubo di scappamento in un’automobile): le altissime temperature in gioco in un reattore a fusione fanno sì che questo componente sia estremamente delicato e DTT dovrà dare le risposte tecnologiche idonee alla realizzazione di questo componente sui futuri reattori.

Riguardo al Progetto IGNITOR, basato sul concetto alti campi magnetici e dimensioni compatte, del tutto alternativo a quello perseguito per ITER e DEMO, si può dire che sia un progetto interessante da un punto di vista scientifico, ma presenta delle difficoltà realizzative che lentamente lo hanno allontanato dai programmi di ricerca europei: attualmente non è presente nella Road Map europea della fusione.

• Ci può dare una stima realistica sui tempi per un uso commerciale dell’energia da fusione? Quale impatto potrà avere sul mercato energetico globale? Un’economia dell’abbondanza energetica è utopia o realtà? 

Stime di questo tipo non sono molto gradite agli scienziati, che preferiscono basarsi su dati certi e dimostrabili.

Si può certamente immaginare che nella seconda metà del secolo l’energia da fusione diventerà realtà quotidiana, permettendo di abbandonare la gran parte delle fonti non rinnovabili, almeno per i Paesi tecnologicamente avanzati.

Il passaggio a un’abbondanza energetica globale sarà forse più lungo, ma avere una fonte energetica che usa un combustibile onnipresente come l’acqua è certamente un vantaggio che ne facilita l’accesso anche ai paesi meno industrializzati.