Colletti digitali: il diritto di lavorare a distanza

L’Ufficio per lo smart working di Adriano Olivetti


Il diritto di lavorare a distanza deve diventare un nuovo diritto del lavoratore e della cittadinanza digitale. I colletti bianchi diventeranno colletti digitali.

Il lavoro da casa in Italia oggi è possibile per quasi la metà dei dipendenti. Lo dimostrano gli oltre 8 milioni di persone che oggi nonostante il lockdown possono lavorare a distanza. Un numero che non avremmo mai immaginato considerando che lo scorso gennaio erano solo 570 mila gli italiani ad aver già sperimentato il remote working. Non tutti i lavori si possono fare a distanza, ma molti sì, e saranno sempre di più in futuro con il processo di automazione delle fabbriche, dei magazzini e della mobilità.

La necessità che questo sia un diritto in un periodo di emergenza sanitaria è evidente a tutti. Così come lo sono gli innumerevoli vantaggi che questa grande e forzata sperimentazione generale del lavoro a distanza ha fatto emergere e di cui potremmo usufruire anche in tempi più tranquilli: per l’individuo che guadagna giorni di vita sottratti al pendolarismo, per l’ambiente che per la prima volta ci regala città senza smog e con tassi di CO2 al minimo da decenni, per i consumi importati come il petrolio che è arrivato ad avere un prezzo negativo, ma anche per molte aziende che hanno sperimentato come sarebbe possibile abbattere molti costi logistici del proprio personale ottenendo risultati anche migliori (¹).

Lo scorso anno appena il 5,9% dei lavoratori dell’Unione Europea aveva sperimentato il lavoro a distanza con Paesi leader in questo ambito, come Finlandia e Olanda, dove una persona su sei lavorava già abitualmente da casa, grazie a leggi per favorire questa transizione. Non è un caso che qualche giorno fa anche il ministro tedesco del lavoro abbia proposto che i lavoratori possano lavorare a distanza qualora lo vogliano. Anche in Gran Bretagna i lavoratori con oltre sei mesi di contratto possono richiedere il remote working e il datore di lavoro per poter rifiutare deve dimostrare (²) che non è possibile.

Oggi i lavoratori dovrebbero avere il diritto di lavorare a distanza se la loro mansione lo permette. Il limite è più culturale che effettivo. Con la distanza le aziende basate su un modello organizzativo incentrato sul controllo del tempo vedono svanire la possibilità di verificare in qualunque momento l’attività dei collaboratori, mentre le aziende che hanno incentrato la loro organizzazione attorno agli obiettivi ed erano già abituate a utilizzare strumenti collaborativi in remoto oggi ne risultano avvantaggiate. Ovviamente dovremo pensare anche ai nuovi doveri del lavoratore e nuove tutele per i datori di lavoro per permettere a imprenditori e pubblica amministrazione di prevenire eventuali comportamenti scorretti e di poter avere a disposizione nuovi strumenti per tutelarsi.

Ma come ogni grande innovazione nell’organizzazione aziendale non credo che sarà lo Stato ad avviare questa transizione, la potrà solo favorire. La transizione sarà probabilmente avviata dalle aziende e dagli imprenditori che vorranno dimostrare che è possibile e utile. Proprio come avvenne nel dopoguerra quando Olivetti decise di introdurre il sabato festivo e i nove mesi di maternità retribuita e venne poi copiato da altre aziende e istituzionalizzato da parte dello Stato.

Non possiamo pensare al concetto di ufficio come qualcosa di immutabile: si è sempre trasformato negli anni sin quando è nato a Londra nel 1729 con le Compagnie delle Indie e richiedeva ai suoi dipendenti di presentarsi al lavoro ben sei giorni a settimana per dieci ore al giorno.

Oggi è il tempo di un ulteriore cambiamento per un nuovo concetto di ufficio. Dovremo pensare a cosa questo comporti dal punto di vista delle necessità dei lavoratori, dei nuovi contratti che vadano a tutelare imprenditori e lavoratori e soprattutto a garantire una infrastruttura tecnologica per permettere a tutti di connettersi in modo adeguato ad Internet. Non tutti potranno essere attrezzati a casa con spazi e tecnologia, ma forse lo potrebbero essere le biblioteche e le librerie, che oggi è chiaro che debbano reinventarsi, a permettere a chi non può o non vuole lavorare da casa di poterlo fare comunque a distanza, ma tra i libri.

Il miglior modo per onorare questo primo maggio è pensare a come innovare, affinché i diritti che tutelano i lavoratori rispecchino sempre di più il tempo in cui viviamo.


¹. Secondo uno studio della Bocconi aumenta l’efficienza del 5% e si riducono le assenze di 6 giorni anno.
². I Paesi Bassi e la Finlandia sono in cima alla lista degli Stati membri dell’UE per il lavoro a distanza, con il 14,1% degli occupati che di solito lavora da casa nel 2019. Sono stati seguiti da Lussemburgo e Austria (dove rispettivamente l’11,6% e il 9,9% lavoravano da casa). Al contrario, i tassi più bassi di lavoratori a domicilio sono stati segnalati in Bulgaria (0,5%), Romania (0,8%), Ungheria (1,2%), Cipro (1,3%), Croazia e Grecia (entrambi 1,9%)