Coronavirus, ciò che le Regioni non dicono (e non hanno fatto)

di Maria Domenica Castellone e Barbara Floridia

Non è questo il momento di puntare il dito. Non è questo il momento della propaganda alla ricerca del consenso elettorale. L’emergenza sanitaria da Covid-19 è ancora drammaticamente in corso. Abbiamo accolto ogni appello del presidente Mattarella a una leale collaborazione tra tutti i livelli istituzionali eppure alcuni politici hanno scelto di non fermarsi e di utilizzare questa emergenza per il proprio tornaconto personale. Come se davvero il costante attacco a chi, in queste settimane, lavora senza sosta per potenziare la sanità e sostenere famiglie, imprese e lavoratori, fosse un atto irrinunciabile.

Abbiamo assistito alle incoerenze di Salvini (“apriamo tutto, Milano deve ripartire“. E subito dopo: “chiudiamo tutto“); alle durissime accuse di alcuni governatori regionali; a emendamenti vergognosi presentati dalla Lega per tutelare i direttori generali delle strutture sanitarie, nominati secondo logiche dettate dalla politica e non dalla reale competenza di settore. Ma a tutto c’è un limite. E allora ribadiamo che questo non è il momento di puntare il dito, ma è sicuramente il momento di provare a dare delle spiegazioni e rispondere a chi cerca di confondere i cittadini, impauriti e preoccupati, addossando al governo ed al parlamento qualsiasi responsabilità ed ogni mancanza.

Per chiarire come veramente stanno le cose, bisogna partire da un documento, reperibile on line, che detta le linee nazionali della risposta ad epidemie: si tratta del “Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale”.

Un documento, aggiornato al 2010, a cui TUTTE le Regioni avevano l’obbligo di adeguarsi per ottemperare gli adempimenti in esso previsti; tanto che il Ministero aveva inserito il rispetto del piano pandemico all’interno dei LEA (livelli essenziali di assistenza).

La gestione di una epidemia prevede infatti più livelli di azione: uno nazionale, uno regionale, uno locale a livello di Asl ed ospedali.

Il piano nazionale di cui sopra, che rappresenta il punto di riferimento dei piani operativi regionali, detta quindi le linee di indirizzo mentre quello regionale mette in atto le direttive nazionali, adeguando la rete sanitaria regionale alla gestione dell’emergenza epidemica e prevedendo il rifornimento delle strutture sanitarie di strumenti e dispositivi necessari a mettere in atto le misure sanitarie previste.

Questo piano indica chiaramente cosa fare non solo durante ma anche in previsione di una pandemia. Si parla dell’approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI) per il personale sanitario, del controllo del funzionamento dei sistemi di sanificazione e disinfezione, dell’individuazione di appropriati percorsi per malati o sospetti tali, del censimento della disponibilità di posti letto in isolamento e di stanze a pressione negativa, del censimento dei dispositivi meccanici per l’assistenza ai pazienti.

In sintesi tutto quello che è mancato in questa emergenza: attrezzature, mascherine, ventilatori, posti letto.

Dopo la riforma del Titolo V, sono le Regioni, attraverso le aziende sanitarie a rappresentare il livello di governo chiamato ad assicurare in via “ordinaria” le prestazioni sanitarie alle persone.

Cosa avviene quindi in caso di emergenza pandemica?

Lo Stato può intervenire ed attivare la Protezione Civile, la quale però non si sostituisce alle strutture sanitarie regionali, ma costituisce un organo di supporto, provvedendo ad aiutare le singole regioni per gli approvvigionamenti di medicinali e dispositivi medici, per l’allestimento di nuove strutture ospedaliere, per l’apporto di personale sanitario.

Le Regioni quindi gestiscono l’emergenza sanitaria e lo Stato si affianca per aiutarle.

La triste verità in questa emergenza è che nessuna delle Regioni italiane era adempiente né pronta ad affrontare una pandemia, tanto meno questa, che ha messo in ginocchio i sistemi sanitari di tutto il mondo. Quando parliamo di incapacità di programmazione intendiamo proprio questo: non aver saputo, per decenni, utilizzare le risorse in modo oculato e non aver saputo programmare gli interventi da attuare in base ai reali fabbisogni di salute della popolazione. Ecco perchè non si possono adesso scaricare le colpe del ritardo nella risposta all’emergenza allo Stato centrale né tantomeno alla Protezione Civile.

Già dal 22 Gennaio è stata istituita, presso il Ministero della Salute, una task force dedicata alla gestione dell’emergenza che chiedeva alle Regioni di verificare la disponibilità di attrezzature, dispositivi e risorse necessarie secondo il piano pandemico vigente. Peraltro, proprio per l’eccezionalità di questo evento epidemico, al fine di accelerare e semplificare le procedure organizzative delle Regioni,

il Governo ha concesso alle stesse il potere di emanare ordinanze restrittive per affrontare specifiche esigenze locali, insieme a poteri in deroga per gli acquisti di DPI e materiale sanitario e con ordinanze della Protezione Civile, a partire dal 23 febbraio per il Piemonte e per la Lombardia, sono stati indicati nei presidenti di Regioni i soggetti attuatori della gestione dell’emergenza.

Lo Stato quindi si è affiancato alle Regioni, attraverso la protezione Civile, aiutandole a reperire DPI ed attrezzature, distribuite su tutto il Paese in base alle esigenze. Eppure anche questa azione di supporto è stata strumentalizzata da diversi governatori che lamentavano “mancate consegne”, poi in realtà smentiti dai dati reali, visionabili quotidianamente sul sito della Protezione Civile, alla voce “Ada” (Analisi distribuzione aiuti), dove si elenca la tipologia ed il numero delle attrezzature consegnate in ogni Regione.

Questa emergenza di sicuro ci ha insegnato una cosa: non si può risolvere uno stesso problema, con tante risposte, frammentate e tutte diverse tra loro. Serve coordinamento e serve una gestione unitaria per garantire ai cittadini su tutto il territorio nazionale lo stesso diritto alle cure.

Da Nord a Sud, ci sono migliaia di persone in prima linea che stanno combattendo col virus corpo a corpo. Da Nord a Sud ci dovrebbe unire la volontà di rimettere insieme il Paese. Eppure, da Nord a Sud, si intravedono personaggi in preda ad un delirio da narrazione colorita, alla ricerca dei voti perduti.

Eppure questi stessi personaggi dovrebbero spiegare ai cittadini perché hanno trascurato gli adempimenti previsti nel piano pandemico nazionale. Da tutti i governi regionali. Ecco cosa significa saper programmare. Ecco perché dopo questa crisi sanitaria bisognerà invertire la rotta e fare scelte coraggiose, affinché il sacrificio di tanti non sia vano.