Scuola. Fioramonti: «Ricominciamo a investire contro le disuguaglianze»

Di seguito l’intervista al ministro Lorenzo Fioramonti apparsa su “Il Mattino”. A cura di Nando Santonastaso.


«Serve una scuola di qualità che torni a garantire l’ascensore sociale, dal Nord al Sud, e non un ammortizzatore sociale, perfino incompiuto. Al di là del giudizio sui test Ocse Pisa, a preoccuparmi è soprattutto il fatto che ormai da 20 anni sulla scuola italiana non si investe più». Il giorno dopo la bocciatura degli studenti, soprattutto meridionali, su lettura, matematica (un po’ meno) e scienze, il ministro 5 Stelle dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ribadisce che la scuola tende sempre più a replicare le disuguaglianze del Paese.

Nel senso che chi le subisce, soprattutto nel Mezzogiorno, è condannato senza appello sin dai banchi di scuola?
«Ci sono disuguaglianze storiche, come quella tra Nord e Sud, ma anche quella tra centro e periferie, che la scuola in passato riusciva a ridurre garantendo, ad esempio, che il figlio di un operaio potesse diventare un notaio o un medico. Oggi non sembra più in grado di farlo. E nel Mezzogiorno essa tende a riflettere le disuguaglianze esistenti, riproponendole in maniera proporzionale nello scenario complessivo del sistema scolastico nazionale».

Ma l’esito dei test Ocse o Invalsi sembra contraddire quello che poi accade agli stessi studenti alla maturità: al Sud molti 100 su 100, al Nord molti di meno. Chi ha ragione? Troppo facili le promozioni nel Mezzogiorno?
«La valutazione dei test offre comunque una fotografia di cui si deve tener conto. È pur vero però che le valutazioni delle scuole tengono conto di molte cose, ad esempio della capacità di recupero di uno studente che viene premiato in considerazione della performance realizzata, specie in un contesto sociale svantaggiato. Io non voglio entrare nello specifico perché ogni scuola sceglie come comportarsi ma la mappatura dei test Ocse resta comunque importante. Piuttosto mi chiedo che cosa facciamo adesso, visto che da 20 anni la situazione non migliora».

Appunto, che si fa?
«Sicuramente non dobbiamo stare qui ad aspettare questo bollettino di guerra dei dati Ocse Pisa, rassegnandoci a non fare nulla e ad accettare che da 20 anni sulla scuola non si investe, che la dispersione scolastica non è stata ridotta e così via. E quando parlo di investimento non mi riferisco solo ai soldi. Mi riferisco all’investimento sull’immagine del Paese, sulla valorizzazione dei docenti e dei dirigenti scolastici, ancora sottopagati, sul loro ruolo nel contesto sociale. Sono allarmato dalla supplentite e dalla sensazione che la società italiana non abbia più interesse alla formazione, e questo è gravissimo».

Poi però succede che quando si devono assegnare le risorse per i nuovi asili nido, al Sud – come ha dimostrato il Mattino – ne arrivano molte, troppe di meno: altro che fine delle disuguaglianze…
«È vero, è importante investire sugli asili nido esistenti, sulla costruzione di nuovi e sull’abbassamento delle rette per garantire una maggiore accessibilità. Ma se non partiamo dalla consapevolezza che l’Italia è diseguale, rischiamo che l’investimento per quanto giusto finirà per acuire il divario. Se non viene utilizzato cioè per perequare e sostenere una rete di servizi il più possibile equipollente sul territorio nazionale, potrà succederà proprio questo».

Ma la ripartizione delle risorse per i nuovi asili che danneggia ancora una volta il Mezzogiorno si potrà rivedere?
«Io spero di sì. Intanto credo che sia prioritario costruire nuovi asili nei Comuni che non hanno avuto la possibilità o le risorse per farlo e procedere in un secondo momento alla riduzione delle rette evitando che alla fine a beneficiarne siano solo gli asili che costano di più. In questa direzione si è mossa anche la mia iniziativa di aumentare di altri 40 milioni le risorse per il Sud che mi ha creato non poche polemiche anche all’interno della maggioranza. Abbiamo dovuto raddrizzare il tiro, per essere chiari. Mi auguro che in questa fase di dibattito parlamentare ci sia lo spazio per una ulteriore riconsiderazione dello strumento».

Ma alla fine questi test, Invalsi in primis, contano davvero?
«Il principio di valutazione io lo difendo. Ma devono essere oggettivi. Per questo ho deciso di farli anche io, per verificare se è vero ciò che viene detto a proposito ad esempio di domande trabocchetto che misurano solo un’attenzione e non il grado di apprendimento in modo chiaro e lineare. E poi non devono essere invasivi: non bisogna commettere lo stesso errore degli americani che dagli anni ’80 in poi hanno finito per creare un mercato dei libri di testo per prepararsi a queste prove, con gli stessi docenti che insegnano come prepararsi a superarli anziché le materie di competenza. Gli studenti non devono studiare per i test, ecco l’obiettivo».