I grandi evasori sono parassiti. Una svolta culturale prevedere il carcere

Intervista di Giovanni Bianconi al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per il Corriere della Sera

«È una svolta epocale» ripete soddisfatto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a proposito del decreto che prevede il carcere per i grandi evasori.


«Epocale» è un termine che aveva usato anche per la riforma del processo penale che dovevate approvare insieme alla Lega, e s’è visto com’è andata…

«La differenza è evidente, la Lega ha bloccato la riforma, questo governo invece fa norme coraggiose. Io rivendico che dal punto di vista anche solo culturale la norma che prevede pene da 4 a 8 anni per chi evade cifre superiori ai 100.000 euro rappresenti un grande cambiamento. La soglia minima di quattro anni fa sì che non si acceda automaticamente a misure alternative alla detenzione, anche se poi toccherà sempre ai magistrati valutare i singoli casi e decidere».

Il carcere una svolta culturale?

«Sì, perché questa riforma è uno dei tasselli della lotta all’evasione fiscale, fra i più importanti. I cittadini devono sapere che lo Stato fa pagare il dovuto a tutti, e ciò consentirà a tutti di pagare meno. I grandi evasori sono parassiti che camminano sulla testa dei cittadini onesti, un fenomeno che non può rimanere impunito. Governo e maggioranza compatti hanno dato un segnale chiarissimo e netto».

Ci sono magistrati che i Cinque Stelle hanno sempre guardato con rispetto e simpatia, come Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, che ritengono la riforma sostanzialmente inutile: rischia di ingolfare i tribunali con migliaia di nuove inchieste e processi, senza risultati concreti.

«Rispetto l’opinione di tutti, ma non condivido questa preoccupazione. Si parla di una soglia minima di 100.000 euro, non di tutte le evasioni fiscali. Secondo l’Agenzia delle Entrate, coloro che evadono oltre quel limite rappresentano l’82,3 per cento delle somme evase nel totale: di fronte a questa situazione è inaccettabile che lo Stato rinunci all’azione penale. Il problema dell’ingolfamento dei tribunali ci sarebbe stato senza la soglia minima, ma così mi pare che non si ponga».

Però, replica Davigo, l’entità dell’evasione si scopre alla fine del procedimento penale, non prima, quindi va fatto comunque.

«Ripeto che non si può rinunciare a misure drastiche. E poi ho sentito dire che sarebbe più utile la confisca di fronte alla sproporzione tra redditi dichiarati e beni posseduti; vorrei ricordare che questa misura è contenuta nel decreto: applicheremo la confisca, anche qui, sopra la soglia dei 100.000 euro. È un altro modo per cercare di recuperare le somme sottratte all’erario. Come fa la norma che allarga le responsabilità anche alle società: è paradossale che paghino per tanti illeciti ma non per i più gravi reati tributari di cui si avvantaggiano».

Lei parla di maggioranza compatta, ma avete dovuto superare ostacoli e resistenze politiche, soprattutto da parte del nuovo partito di Renzi. Non teme che possano riproporsi in Parlamento durante la conversione del decreto?

«Il decreto è stato votato nei suoi contenuti dopo un’attenta interlocuzione con tutte le forze politiche che sostengono il governo. Ho fatto parlare e ho ascoltato tutti, anche i rappresentanti di Italia viva, e alla fine questo è il testo concordato. È il risultato di un lavoro di squadra, perciò non mi aspetto ripensamenti né trappole in Parlamento».

Ma le divergenze c’erano oppure no?

«In materia di giustizia penale è normale che esistano sensibilità diverse, ma poi s’è trovato il punto d’incontro. In ogni caso abbiamo fatto slittare l’entrata in vigore a dopo la conversione in legge, per evitare problemi in caso di modifiche in Parlamento».

Che dunque possono arrivare?

«Io penso di no, l’impianto è quello e resterà intatto».

E le tensioni nella maggioranza? I veti incrociati e gli aut aut di Renzi e del Pd nei vostri confronti, e viceversa? Tutto normale?

«Se devo giudicare dall’atmosfera che c’era ieri nel vertice di maggioranza e poi in Consiglio dei ministri, le confermo che questa è una maggioranza nella quale si discute e ci si confronta, ma che poi al momento di prendere decisioni anche coraggiose, come quella contenuta nel mio pacchetto, si trova un accordo e si va avanti».

Nel dualismo interno al vostro mondo, tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, lei con chi si schiera?

«Non esiste dualismo, ci sono solo momenti di maggiore o minore convergenza su singoli punti che si risolvono nel giro di 24 ore».

Mentre lei esulta per le manette ai grandi evasori gli avvocati sono in sciopero per l’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado che entrerà in vigore a gennaio. Perché non concede un nuovo rinvio, in attesa della riforma che dovrebbe snellire i processi?

«Perché i cittadini ci chiedono di fare le riforme, non di prendere tempo o rinviarle. Ora si tratta di fare quelle necessarie per dimezzare i tempi dei processi, che la Lega ha bloccato nel precedente governo. Del resto gli effetti del blocco della prescrizione si vedranno non prima del 2024, e riguardano una minima parte dei processi».

Allora mantenere quella data è solo un’impuntatura?

«Non è un’impuntatura, è giusto non tornare indietro sulle cose fatte e impegnarsi per farne altre».