Alle origini della schiavitù italiana dalla plastica

Si fa presto a dire plastica. Come il ferro, o l’acciaio, in altre epoche e in altri luoghi, la plastica ha segnato la storia della cultura e della società italiana.

Siamo negli anni ’50. L’Italia è un paese fiaccato dalla guerra, che ha bisogno di ritrovare l’ottimismo per preparare il boom economico che sta per esplodere. L’etica del risparmio, che fino a quel momento aveva caratterizzato gli italiani da Nord a Sud, doveva essere convertita per agevolare la capacità produttiva del paese verso la creazione di prodotti per il periodo di pace. Valori come sobrietà, parsimonia, risparmio vengono considerati un ostacolo allo sviluppo della società. Il consumo non è più visto negativamente, come esempio di sfrenatezza o immoralità, ma come mezzo di emancipazione sociale.

Un articolo di Edmondo Berselli apparso su Repubblica nel 2004, ci descrive bene quegli anni. E ci descrive l’Italia come “una Nazione che ha imboccato la via verso la modernizzazione. Un po’ a casaccio, ma l’ha imboccata. (…) E il 1954, pur scontando tutto il grigiore provinciale dell’Italietta del centrismo, è un anno seminale, in cui cominciano le trasmissioni televisive, nasce un programma come La domenica sportiva (…). E di un regista vicino al Pci come Luchino Visconti esce uno dei capolavori, il decadentissimo Senso, mentre Federico Fellini si impone con La strada, Pier Paolo Pasolini pubblica La meglio gioventù, Moravia i Racconti romani, e Einaudi traduce i Minima Moralia di Adorno. Insomma, c’è una certa esuberanza mentale e psicologia, per essere un Paese che non aveva ancora compiuto il primo decennio dalla fine della guerra“.

Fu in questo contesto che arrivò la plastica.

Il Polipropilene, cioè la plastica come la conosciamo oggi, sarà prodotto industrialmente dal 1957 col marchio “Moplen”, rivoluzionando le case di tutto il mondo ma entrando soprattutto nella mitologia italiana del “boom economico”.

Scrive ancora Berselli: “il brevetto del polipropilene avrebbe dato una spinta formidabile al cambiamento delle abitudini quotidiane, creando di fatto i nuovi oggetti della vita comune, le nuove “cose della casa”. È il mondo dei consumi che entra nelle case, modifica i comportamenti e soprattutto altera le aspettative. È come se una pulsione sotterranea si facesse sentire dentro una società compressa, mettendola in tensione e preparandola alle straordinarie novità che si sarebbero manifestate poco più tardi: con la motorizzazione di massa, l’Autostrada del Sole e naturalmente Mike Bongiorno”. “Da questo punto di vista, il Moplen è un prodotto perfetto. Serve per fare tutto, stoviglie e giocattoli, componentistica per le automobili, bacinelle per l’acqua, in case che avevano magari appena ricevuto l’acqua corrente”.

Guardate questo spot apparso a Carosello in quegli anni con l’indimenticato Gino Bramieri.

Un simile universo cognitivo, la galassia in espansione di informazione, pubblicità, spettacolo e intrattenimento collettivo, aveva bisogno di una politica adeguata. (…) Le famiglie andavano in vacanza, la riviera si affollava. Stavano finendo gli anni d’acciaio e di ghisa, modellati dalla contrapposizione rigida fra lavoro e capitale. Adesso tutto diventava più fluido, «trasparente e flessibile».

“Nel regno della plastica, avremmo visto di lì a poco i primi giochi “globali”, come l’hula hoop. (…) Ma per qualcuno dei ragazzi cresciuti nelle strade degli anni Cinquanta, il miracolo, lo sviluppo, il progresso avranno sempre la tinta artificiale delle Cinquecento e la trasparenza di una bacinella colorata, un Moplen capace di far diventare rosa shocking o ultra-celeste il colore dell’Italia”.

L’arrivo dell’usa-e-getta avrebbe “liberato” gli italiani dalla fatica di lavare i piatti. Nessuno poteva sapere, all’epoca, che quella libertà artificiale sarebbe diventata la schiavitù del nuovo secolo. La plastica avrebbe invaso nei decenni successivi l’intero habitat umano, i mari, e i fiumi e gli oceani.

Il sogno si sarebbe trasformato in un incubo, con cui adesso dobbiamo fare i conti.