Mercatone Uno è l’ultimo disastro del Partito Democratico e di Carlo Calenda

Il fallimento di Mercatone Uno è l’esempio perfetto del Paese in macerie che abbiamo ereditato dal Partito Democratico. Dopo un anno dalla conclusione del governo Gentiloni 1.800 lavoratori dell’azienda e circa 10.000 lavoratori dell’indotto pagano la scellerata gestione Calenda, Ministro dello Sviluppo Economico quando venne autorizzata la vendita di Mercatone Uno ad una holding oggi miseramente fallita.

La crisi del marchio italiano inizia nel 2015, in pieno governo Renzi con Federica Guidi al vertice del Ministero competente, ma è il suo successore Calenda che a inizio 2018 conclude l’istruttoria e sancisce l’acquisizione di 55 punti vendita da parte di Shernon, società con appena 10.000 euro di capitale. Calenda si fida di Valerio Rigoni, amministratore delegato di Shernon, e non pretende nemmeno la presentazione di uno straccio di piano industriale. Gli basta l’assicurazione che dietro la società acquirente ci siano partner pronti ad un aumento di capitale, i quali però quando capiscono la fragilità del progetto si tirano indietro lasciando Rigoni solo davanti ai creditori. Già dal 17 maggio, prima dell’insediamento del governo Conte, il Ministero guidato da Calenda chiude l’istruttoria e autorizza la vendita.

Ieri sera, a poche ore dal voto europeo, Calenda pensa bene di scaricare sul governo attuale tutte le sue enormi responsabilità con un tweet, a cui segue la giusta replica del giornalista Franco Bechis, che ricorda a Calenda chi guidava il Ministero al tempo dell’autorizzazione.

A questo punto Calenda si supera: secondo lui il problema non è stato affidare un nostro marchio storico ad una società senza capitale e senza garanzie, ma la successiva presunta mancanza di vigilanza, a giochi fatti.

In una ricerca disperata di vie di fuga dalle sue responsabilità Calenda sostiene addirittura che sarebbe spettato al Ministro Di Maio annullare l’autorizzazione dello stesso Calenda in presenza di gravi inadempienze della società acquirente. Ma la realtà è che spetta al tribunale dichiarare insolvenza, autorizzare lo scioglimento del contratto di vendita e la retrocessione degli asset e dei compendi aziendali alla procedura, non certo a Di Maio. E l’attuale governo ha convocato la società ad un tavolo del 18 aprile chiedendo a Rigoni di dimostrare le capacità finanziarie di Shernon presentando un piano industriale, in grado di portare il bilancio dell’azienda in pareggio.

In risposta Rigoni ha dichiarato di voler chiedere il concordato preventivo per garantire la continuità dei punti vendita, ma in realtà prima dell’incontro fissato da Di Maio per il 30 maggio lo stesso Rigoni ha dichiarato il fallimento.

Il Ministro Di Maio appena appresa la notizia del fallimento di Shernon ha anticipato urgentemente a domani il tavolo di crisi con i curatori fallimentari e con i sindacati previsto per il 30 maggio e farà tutto il possibile per salvaguardare le migliaia di lavoratori direttamente e indirettamente coinvolti, come ha sempre fatto nelle crisi aziendali affrontate fino ad ora.

Non lasceremo che la superficialità imbarazzante con la quale il governo Gentiloni e lo sprovveduto Carlo Calenda hanno affrontato il tavolo di crisi su Mercatone Uno sia pagata da famiglie che chiedono solo di arrivare a fine mese con il proprio lavoro.