La vera storia della proposta di legge sul salario minimo orario

Dopo 5 anni al governo, passati attraverso la fallimentare Buona Scuola e un Decreto Salva-Banche che ha mandato in fumo i risparmi di centinaia di migliaia di cittadini, adesso il Pd, sferzato sul punto da Luigi Di Maio, agita la bandiera del salario minimo orario provando addirittura ad intestarsi quella che è invece una storica battaglia del MoVimento 5 Stelle.

Viene da sorridere, per non dire di peggio.

Evidentemente al Nazareno gli eccessivi festeggiamenti per l’elezione a segretario di Nicola Zingaretti hanno provocato un vuoto di memoria collettivo. Ma non è distorcendo la realtà e raccontando favole ai cittadini che si riscrive la storia. E la storia in questo caso dice che nella scorsa legislatura siamo stati proprio noi del M5s a mettere per primi sul tavolo il tema del salario minimo orario a 9 euro lordi all’ora inserendolo nel disegno di legge sul Reddito di Cittadinanza depositato il 29 ottobre 2013 a prima firma Nunzia Catalfo. Ma non solo. Infatti circa un anno dopo, il 27 novembre 2014, lo abbiamo presentato anche come ddl autonomo, sempre a prima firma Catalfo. Abbiamo combattuto per anni dentro e fuori dal Parlamento affinché le nostre proposte fossero discusse e approvate.

Non ce lo hanno permesso, hanno preferito togliere diritti ai cittadini con il Jobs Act e veder aumentare a dismisura il numero di persone in povertà assoluta piuttosto che darci ascolto.

Del resto, loro sono i “competenti”…

Come se non bastasse, il governo Renzi ha addirittura fatto scadere la delega al Jobs Act per introdurre, “eventualmente in via sperimentale” (proprio così c’era scritto), un compenso minimo orario che comunque, nel modo in cui era stato pensato, sarebbe stato nient’altro che un pannicello caldo visto che si riferiva a quei settori non regolati da contratti collettivi. Cosa ben diversa da ciò che invece prevede la nostra proposta, ripresentata all’inizio della XVIII legislatura e già incardinata in Commissione Lavoro al Senato, riferita a tutti i contratti di lavoro subordinato e para subordinato, comprese le collaborazioni coordinate e continuative etero-organizzate.

Perciò con che faccia adesso quelli del Pd si ergono a paladini dei diritti dei cittadini? Se quasi il 12% dei lavoratori dipendenti oggi riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali ed è costretto ad accettare una paga di 3 o 4 euro all’ora e ben 5,7 milioni di giovani rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà, il “merito” è tutto del lassismo di un partito che ha cancellato dal suo vocabolario parole come dignità e Costituzione, ignorando quello che c’è scritto all’articolo 36, motore del nostro ddl: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Un partito da cui non accettiamo lezioni. Né ora, né mai.