Il salario minimo orario per dire basta ai working poors

“La ragione di un salario minimo legale si poggia, fondamentalmente, sull’insufficiente protezione garantita dai contratti collettivi di diritto comune. Il problema deriverebbe da due fattori: in primo luogo, dal fatto che l’applicazione dei contratti collettivi non garantisce una copertura totale dei rapporti di lavoro in essere e, in secondo luogo, dal fatto che anche laddove v’è copertura contrattuale, spesso vigono contratti collettivi stipulati da parti sociali scarsamente rappresentative che legittimano salari minimi contrattuali troppo bassi”. Queste parole sono di Vincenzo Bavaro, Professore di Diritto del Lavoro all’Università di Bari, che ha recentemente commentato su Il diario del lavoro la nostra proposta per l’istituzione del salario minimo orario.

Bavaro coglie il punto: infatti oggi ci sono 884 contratti collettivi nazionali esistenti ma, come rivelato qualche giorno fa dall’Inps in audizione in Commissione Lavoro al Senato, il 22% dei lavoratori prende oggi un salario orario inferiore a 9 euro lordi, con un picco del 31% al Sud. Di più: il 15% non arriva a 8,5 euro lordi all’ora e – ancora – il 9% è sotto a 8 euro lordi. A pagare il prezzo più alto di questo dumping salariale, favorito dai cosiddetti “contratti pirata” (quelli sottoscritti da sindacati scarsamente rappresentativi), sono come capita spesso le donne e i giovani. Un circolo vizioso che va assolutamente spezzato e per farlo c’è un solo modo: approvare il prima possibile il nostro disegno di legge, a prima firma Nunzia Catalfo, per l’istituzione del salario minimo orario.

In questo modo, ha detto l’Istat sempre in Commissione Lavoro al Senato, quasi 3 milioni di persone (il 21% dei lavoratori dipendenti) avrebbero un incremento medio di retribuzione di 1.073 euro all’anno. Soldi che finirebbero nell’economia reale, dando più potere d’acquisto ai cittadini, favorendo i consumi e i profitti per le imprese. Infatti se, secondo l’Ocse, l’Italia è maglia nera tra i Paesi industrializzati per i livelli di produttività la colpa non è solo della crisi, ma anche dei salari troppo bassi. Non a caso, complice il menefreghismo dei vecchi governi che non hanno mai discusso né approvato una legge per l’istituzione del salario minimo, nel nostro Paese il fenomeno dei cosiddetti working poors (quei lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa) è letteralmente esploso facendo segnare tra il 2015 e il 2016 un aumento record del 23%.

Oltre a muoversi nel solco dell’articolo 36 della Costituzione, secondo cui “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, il nostro disegno di legge incentiva i sindacati – riconoscendo un ruolo di primissimo piano a quelli più rappresentativi – a contrattare salari realmente dignitosi. Infatti come ha spiegato sempre in audizione in Commissione Lavoro al Senato Patrizia Tullini, Professoressa di Diritto del Lavoro all’Università di Bologna, il ddl Catalfo non solo “non lede la libertà e il pluralismo sindacale” ma anzi “saranno le parti sociali e riferirsi eventualmente alla legge sul salario minimo per trovare un consenso più ampio e più solido sulle regole autonomamente poste delle relazioni sindacali”.

Insomma, non c’è veramente più tempo da perdere: con l’istituzione del salario minimo orario da una parte completeremo il percorso iniziato con il Reddito di Cittadinanza e dall’altra metteremo un freno alle distorsioni del sistema. Abbiamo iniziato per primi questa battaglia nel 2013 e adesso che siamo al Governo intendiamo mantenere l’impegno preso con i cittadini.


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