Super-profitti e debiti alle stelle: quando la finanza si prende l’acqua

Il tema della Giornata mondiale dell’acqua 2019, che si celebra il prossimo 22 marzo, è “Nessuno deve rimanere indietro”. Impegno che quando si parla di acqua significa garantire concretamente un diritto umano, fare in modo che sia disponibile per tutti nella quantità minima necessaria. Eppure sul Pianeta 2,1 miliardi di persone vivono senza acqua potabile in casa, circa 4 miliardi subiscono una grave carenza idrica almeno per un mese l’anno e gli sfollati a causa di un’intensa scarsità d’acqua entro il 2030 potrebbero 700 milioni.

Sono tanti e diversi i fattori che determinano la cattiva distribuzione delle risorse idriche: tra questi, il “super-prelievo” prodotto da agricoltura e industria, l’intensificarsi di siccità e fenomeni meteorologici estremi legati al cambiamento climatico. La sensazione è che mentre si lavora per raggiungerlo, l’obiettivo della sicurezza idrica per tutti gli abitanti per Pianeta si allontani sempre più. E alle ragioni ecologiche ed economiche nell’ultimo decennio se n’è aggiunta un’altra: sempre più spesso nel mondo è la finanza a determinare le sorti della gestione e della distribuzione dell’acqua.

Un’analisi pubblicata sul primo numero del 2019 della rivista Wires, specializzata in studi multidisciplinari, descrive proprio il fenomeno della “finanziarizzazione” in relazione alle infrastrutture idriche. Ripercorrendo il passaggio dalla gestione municipale o nazionale di inizio-metà Novecento alla gestione privata tra gli anni Ottanta e Novanta, gli autori dello studio arrivano ad analizzare il rinnovato interesse per la rimunicipalizzazione che si fa largo attualmente, in un contesto che però vede i grandi gruppi multinazionali realizzare super-profitti attraverso la gestione monopolistica di un bisogno di base.

Fornire un’infrastruttura per garantire bisogni reali, investire nel potenziamento della rete e nel garantire a tutti il diritto umano all’acqua sta diventando meno importante dell’attività finanziaria e questo rischia di dar vita a un sistema in cui il giro d’affari prodotto dalla gestione dei servizi idrici non è più rispondente al valore reale di impianti e know how. In pratica, dallo studio pubblicato da Wires emerge una speculazione generata dalla creazione di profitti slegati dalla produzione del servizio.

Con la corsa alla privatizzazione di fine XX secolo le reti idriche in molte località sono state cedute dal pubblico a privati che ottenevano concessioni per la costruzione, la gestione e la manutenzione delle reti. Parallelamente si è intensificata la presenza della finanza negli assetti proprietari di queste società. L’esempio lampante è quello di Londra. Thames Water, l’utility che serve la capitale britannica e la regione circostante, è ora di proprietà di fondi sovrani e fondi pensione. Dal 2007, gli investitori hanno ottenuto rendimenti insolitamente elevati sui loro investimenti e lo studio lega l’entità dei dividendi direttamente al carattere monopolistico dell’acqua. I flussi di entrate garantiti dalle bollette pagate dai cittadini, l’unica certezza di questo sistema, sono stati trasformati in prodotti finanziari attraverso la cosiddetta cartolarizzazione. Ciò ha dato vita a un meccanismo per cui chi mette sul mercato questi titoli ha interesse soprattutto ad espandere il proprio business e a realizzare super-profitti.

Dopo un passaggio alla società di servizi pubblici tedesca RWE, nel 2006, la proprietà della società londinese andò a Kemble Water Holdings Ltd, una società di private equity. Thames Water divenne così una delle quattro aziende di servizi idrici e fognari in Inghilterra e Galles ad essere posseduta da una società di private equity. Guidato dalla banca d’investimento australiana, il gruppo Macquarie, Kemble Water ha realizzato il modello finanziario appena descritto e la cartolarizzazione. “Successivamente – recita lo studio di Wires – è stata sviluppata una struttura societaria opaca in cui il debito aumenta in relazione ai flussi di reddito futuri”. Ciò ha consentito a Kemble Water di garantire alti dividendi agli azionisti, ma nel frattempo i livelli del indebitamento sono passati da 3,2 miliardi di sterline a 7,8 miliardi di sterline nel 2012. Dopo la privatizzazione e la successiva acquisizione da parte del private equity, nove società idriche (tra cui Thames Water) hanno visto un aumento medio del debito del 74% tra il 2003 e il 2013, mentre il patrimonio netto è sceso del 37%. E a volte i pagamenti dei dividendi hanno superato i profitti. Intanto, la proprietà di Kemble Water è stata gradualmente acquisita da fondi pensione e fondi sovrani.

Le sorti finanziarie dell’azienda e l’obiettivo di fare profitti – riconoscono gli autori – hanno dunque preso il sopravvento sia sull’effettivo stato di salute dell’azienda sia sull’attività “originaria” di captazione e vendita di acqua potabile. La cartolarizzazione delle entrate garantite dalla tariffa idrica consente di mettere sul mercato prodotti finanziari le cui sorti sono quasi del tutto slegate dalla necessità di garantire un diritto.

“Tuttavia, in una direzione parallela e opposta, all’inizio del secolo l’opposizione localizzata alla privatizzazione dell’acqua sembrò trasformarsi in un movimento globale” riprendono su Wires i ricercatori, che pure non esprimono una posizione di contrarietà preconcetta alla finanziarizzazione del servizio. E aggiungono: “Allo stesso tempo, i tassi di profitto attesi dalla privatizzazione dell’acqua non sono riusciti a raggiungere i livelli previsti, apparentemente precludendo le logiche di intrusione della finanziarizzazione. I contratti sono stati rinegoziati per beneficiare l’operatore privato o, in alcuni casi, sono stati annullati. Considerato quanto sopra, dai primi anni 2000 la tendenza globale verso la crescente privatizzazione è rallentata e dal 2010 ha iniziato a invertire tale tendenza, al punto che la rimunicipalizzazione supera ora la privatizzazione”.

Insomma, il destino della gestione delle risorse idriche nel mondo e in Italia è tutt’altro che segnato e chi si batte per la gestione pubblica ha un’idea molto chiara delle priorità: i bisogni delle persone – e in particolare il diritto umano all’acqua – non possono essere “cartolarizzati”. E rimettere la gestione in mano pubblica è il solo modo per garantire che chi se ne occupa non si concentri sul profitto a discapito della qualità del servizio e di ciò che è utile alle comunità.