Perché vogliamo l’acqua pubblica, spiegato con i numeri

L’acqua è un diritto umano universale, va garantita a tutti a giusto prezzo e senza che si speculi sulla sua gestione. Questo principio è alla base della proposta di legge del MoVimento 5 Stelle per la gestione pubblica e partecipata del ciclo integrale delle acque: una riforma radicale del settore che libera risorse a vantaggio dei cittadini. Qui di seguito proviamo a spiegare dati alla mano perché è importante che il Parlamento italiano approvi questa legge, frutto di un referendum votato da 27 milioni di italiani e di una proposta di legge di iniziativa popolare.

Enti di diritto privato per 45 milioni di italiani
Sono meno di 15 milioni gli italiani che possono dire di avere realmente l’acqua pubblica perché non ci sono privati nel loro sistema di gestione. Per gli altri 45 milioni di nostri concittadini la gestione è in mano a enti di diritto privato, ovvero società per azioni. Ciò vuol dire che, al di là di chi sia attualmente proprietario di queste azioni (soggetto pubblico o privato), esse possono passare di mano ed essere cedute potenzialmente anche a soggetti privati, fondi di investimento o società straniere.

La gestione da parte di un ente di diritto pubblico avviene, secondo del Blue Book di Utilitalia, per il 21% circa della popolazione italiana, con forme in economia o similari; la forma di gestione con società quotate in borsa risulta il 17%, con società miste 12%, a terzi 2%, società in house 48%.

Cosa possiamo fare eliminando i dividendi dei privati

Con i privati che si spartiscono i dividendi, gli investimenti non decollano. L’esperienza di questi anni di gestione con la partecipazione dei privati lo conferma: si preferisce spartirsi gli utili piuttosto che usare i soldi delle bollette per sistemare le condutture e migliorare il servizio.

Le quattro principali multiutility del Paese (Iren, A2a, Hera e Acea), dal 2010 al 2016 si sono spartite come dividendi la considerevole cifra di 2 miliardi e 983 milioni. Il reddito prodotto dalla gestione è passato, nello stesso lasso di tempo, dal 17,4% al 24,6% e di tutti questi utili ben il 91% è stato distribuito come dividendi. Mentre le tasche dei gestori privati si appesantivano gli investimenti si facevano sempre più leggeri, passando dal 58% del 2010 al 40% sei anni dopo.

Eppure con 2 miliardi e 983 milioni di euro se ne possono fare di opere utili: ad esempio, si sostituiscono 19.886 km di tubi (ogni km di tubi sostituito costa 150mila euro). In pratica, con quei soldi potremmo eliminare 1/5 dei tubi in amianto dalla rete idrica italiana.

In Europa si investe più del doppio rispetto all’Italia per migliorare la rete idrica. Nel nostro Paese in media il 40% dell’acqua immessa nelle tubazioni non arriva a destinazione, con punte del 60% in alcune regioni del Centro-Sud. Aumentare le somme destinate agli investimenti significa risolvere il problema delle reti colabrodo e, come è avvenuto dove si è tornato al pubblico, poter ridurre le bollette anche fino al 30%.

 

Dalle bollette pazze ai 50 litri garantiti a tutti

Con la gestione attuale i cittadini hanno visto salire l’importo della loro bolletta senza vedere però migliorare il servizio. Ma come viene calcolata la tariffa? Attraverso un algoritmo che non può certo dirsi di facile lettura, un calcolo che fa pagare al cittadino anche gli utili che i privati si mettono in tasca. Con il passaggio alla gestione pubblica le bollette saranno più trasparenti e più leggere, consentendo di evitare le storture e gli eccessi registrati in diverse parti d’Italia in questi anni. Ad Arezzo tra il 1999 e il 2016, con la gestione Nuove Acque, i cittadini hanno avuto un aumento in bolletta pari al 300%. A Frosinone tra il 2007 e il 2017, con la gestione Acea, i cittadini hanno visto aumentare la bolletta del 154%.

La gestione pubblica riduce le voci “incomprensibili” dalle bollette, produce una riduzione delle tariffe e garantisce il quantitativo minimo vitale – quantificato in 50 litri per persona al giorno – per riconoscere concretamente il diritto umano all’acqua sancito dall’Onu nel 2012 e ribadito dal Parlamento europeo. Ciascun cittadino, in pratica, ha diritto a 50 litri d’acqua al giorno a prescindere dalle condizioni economiche e sociali.

 

Il pesante business delle minerali

La nostra proposta di legge interviene anche sul mercato delle acque minerali. L’Italia è tra i maggiori consumatori di acqua in bottiglia: ne beviamo oltre 200 litri l’anno a testa per un totale di risorsa imbottigliata che si aggira tra i 14 e 16 miliardi di litri. Un affare per chi la imbottiglia e un grosso problema per il Paese! La legge sull’acqua pubblica mette ordine nel sistema delle concessioni aumentando i canoni e disincentivando l’uso della plastica e delle confezioni usa e getta. Inoltre le nuove concessioni seguiranno regole diverse: dovranno tenere conto della superficie di territorio e della quantità di acqua estratta.

Quello delle minerali è un giro di affari che vale 3 miliardi l’anno di cui appena 19 milione arrivano nelle casse regionali. I costi delle concessioni sono ridicoli: per loro ogni euro speso significa 200 euro guadagnati!

In Italia poi si producono 7 miliardi di bottiglie di plastica e una bottiglia d’acqua, tra produzione, traporto e rifiuti prodotti, emette tanta CO2 quanta ne emette una macchina per percorrere un chilometro. Aggiungiamoci il peso della plastica sull’ecosistema e sulla nostra salute ed è chiaro a tutti perché è urgente intervenire in questo settore.

 

Nel mondo è sempre più pubblica

Un’ultima considerazione riguarda la tendenza globale alla pubblicizzazione che, dopo i guasti di privatizzazione e finanziarizzazione https://www.ilblogdellestelle.it/2019/02/super-profitti-e-debiti-alle-stelle-quando-la-finanza-si-prende-lacqua.html, sta ridisegnando il panorama del settore idrico. L’esempio più noto è forse quello di Parigi che ha optato per il pubblico nel 2010: è stato trainante in Francia, dove le città che hanno optato per la gestione pubblica sono 63 tra il 2010 e gli inizi del 2015.

Nella capitale francese la gestione in mano alle multinazionali aveva fatto salire le tariffe del 174%, tariffe che sono poi calate dell’8% appena un anno dopo il ritorno al pubblico. A Berlino, invece, il costo in bolletta è sceso del 17% pochi anni dopo il passaggio al pubblico. Negli ultimi 15 anni i passaggi al pubblico sono stati 235 in 37 Paesi del mondo, 130 dei quali città europee.

Con la legge sulla gestione pubblica l’Italia può diventare avanguardia di questo movimento che attraversa il Pianeta e incrocia la battaglia globale per i beni comuni. Ma soprattutto abbiamo l’opportunità di gestire la risorsa più importante nell’interesse esclusivo dei cittadini.