Un’Europa del popolo, dal popolo, per il popolo

In video, e nel testo che segue, l’intervento del Presidente Conte al World Economic Forum di Davos.

Signore e signori,

grazie per l’opportunità di parlare ad una platea così illustre.

Le molte sfide internazionali di fronte a noi, come il protezionismo, i flussi migratori, il cambiamento climatico, le persistenti crisi internazionali, ci spingono a concentrarci sulle complesse dinamiche che coinvolgono le relazioni fra i principali attori globali.

L’opinione pubblica europea ha considerato per anni il progetto europeo come uno strumento per affrontare queste sfide e come uno scudo contro i loro effetti avversi, ma oggi si interroga sulla sua validità e credibilità. Senza ignorare i meriti storici di quest’ultimo, l’opinione pubblica si aspetta che esso diventi più appropriato per fronteggiare le sfide presenti e future.

Oggi ho l’opportunità di mostrare come daremo attuazione a questa istanza di cambiamento. Mi concentrerò principalmente su aspetti economici e sociali interni al nostro Paese, ma sono sicuro che sarà di interesse per voi, in quanto la nostra esperienza può essere un precursore dell’aspetto che assumerà l’Europa domani.

C’è una parola chiave attorno alla quale abbiamo costruito la nostra visione politica e la nostra attività quotidiana: questa parola è POPOLO.

Il popolo italiano è stato paziente e disciplinato per molti anni. Ha avuto fiducia nelle istituzioni italiane ed europee, politiche e tecniche.

Per anni, gli italiani hanno fatto propri i principi economici fondamentali predicati dal cosiddetto ordine liberal-democratico: l’integrazione nel mercato globale, la libera circolazione di persone e capitali, la disciplina di bilancio, l’adozione incontrollata di nuove tecnologie e la crescita senza limiti della finanza globale.

Hanno creduto che l’euro sarebbe stato in grado di risolvere tutti i loro problemi cronici: l’alta inflazione, una moneta debole, il debito pubblico. Così, hanno adottato in maniera entusiasta la nuova moneta.

Ma la realtà si è rivelata molto diversa.

Il prezzo da pagare per avere una moneta stabile e una bassa inflazione è stato un debito pubblico crescente, nonostante si richiedesse continuamente di stringere la cinghia per mantenere la spesa pubblica primaria (al netto della spesa per interessi) costantemente al di sotto delle entrate fiscali.

La disciplina di bilancio ha frenato la crescita del PIL. Nel terzo trimestre del 2018, il PIL è ancora 5 punti percentuali al di sotto del picco massimo di questi anni, registrato nel 2008.

L’apertura globale dei mercati, la libera circolazione dei capitali e la rivoluzione tecnologica hanno prodotto grandi risultati come promesso, ma di questi benefici hanno goduto in pochi, e non in molti.

Perciò, l’entusiasmo sul futuro è stato rimpiazzato da una visione più cupa. Si è diffuso un sentimento di disperazione; persino la classe media, che si sentiva emancipata dalle necessità economiche di base, ora teme la povertà. Tutti, con poche eccezioni, tendono a ritenere che il domani sarà peggiore dell’oggi. Chi può permetterselo incoraggia i propri figli a trasferirsi e cercare migliori opportunità altrove.

La storia ci insegna che può accadere di tutto quando le persone si sentono ingannate e trattate ingiustamente.

Nonostante questi pericoli, i miei concittadini italiani si sono dimostrati molto maturi e profondamente legati alle loro istituzioni democratiche; non hanno occupato le piazze né hanno espresso il loro malcontento e la loro rabbia in maniera violenta.

Al contrario, hanno utilizzato il voto democratico per sconfiggere le vecchie élite e sostenere coloro i quali suggeriscono strade alternative per tornare su un sentiero di prosperità.

Il mio governo costituisce la risposta istituzionale al desiderio degli italiani di trovare una nuova prospettiva per il futuro.

Il mio compito e la mia priorità come Presidente del Consiglio è preservare questo prezioso patrimonio di fiducia che mi è stato affidato, mettendo in campo soluzioni immediate per le necessità più urgenti del mio popolo.

Solo continuando ad occuparmi delle necessità dei miei cittadini, sarò in grado di fare affidamento sulla loro fiducia per affrontare i problemi di lungo termine che hanno frenato la nostra economia per così tanto tempo.

Lo ritengo un tema politico cruciale. Per troppi anni, i politici italiani hanno interpretato questa sequenza al contrario: dando priorità all’utilizzo della fiducia di cui disponevano invece che al mantenimento della stessa.

Nel passato, hanno chiesto al popolo di fare sacrifici in nome di un futuro brillante. Hanno smantellato la regolamentazione del mercato del lavoro nel nome di una maggiore e migliore occupazione. Hanno accettato una ritirata dello Stato dal suo ruolo di produttore diretto di beni e servizi, in cambio di una presunta migliore qualità dei servizi, di prezzi inferiori e una maggiore soddisfazione dei consumatori. Temendo i “fallimenti dello Stato”, hanno chiesto al popolo di tollerare i “fallimenti del mercato”. La cura degli interessi di lungo termine è stata rimpiazzata dalla dipendenza dal breve termine.

Le persone hanno già pagato il costo di questi cambiamenti, mentre i benefici si devono ancora vedere.

I cittadini sono ora consapevoli del fatto che tutti i cambiamenti che hanno dovuto sopportare abbiano prodotto una società peggiore in termini di opportunità, distribuzione del reddito, giustizia sociale, condizioni del welfare, sicurezza del lavoro e prospettive di crescita per loro e i propri figli.

Dobbiamo dare risposte a tutto questo. Non sarà facile e non succederà tutto domani. Ciononostante, mentre progettiamo e implementiamo le soluzioni, dobbiamo alleviare i problemi.

Le due principali misure contenute nella nostra Legge di Bilancio, il Reddito di Cittadinanza e la cosiddetta Quota 100, sono le nostre risposte immediate alle urgenze del Paese.

Il Reddito di Cittadinanza fornisce un sostegno al reddito a circa 1,7 milioni di famiglie povere, che corrispondono a 5 milioni di persone, in cambio della loro disponibilità a lavorare o ad acquisire le competenze necessarie per essere in grado di farlo in futuro. Le imprese hanno un incentivo ad offrire un lavoro alle persone coinvolte nel programma perché beneficeranno di sgravi sui contributi previdenziali e assistenziali.

Il programma è orientato alle persone più povere, ma al contempo fornisce un meccanismo di assicurazione implicito per le famiglie della classe lavoratrice vulnerabili rispetto a shock inaspettati a causa della loro fragile situazione finanziaria.

È opportuno chiarire alcune errate convinzioni riguardo alle nuove regole che si applicano all’età pensionabile. Questa misura rappresenta una soluzione riparatrice per un’intera generazione che, dall’oggi al domani, si è vista aumentare l’età pensionabile di molti anni. Crediamo che questa sia stata una seria violazione del patto sociale, alla quale si doveva porre rimedio.

Inoltre, vorrei rassicurare tutti coloro che sono preoccupati della sostenibilità di lungo periodo del nostro sistema pensionistico. Il sistema rimane completamente sostenibile perché coloro che scelgono di andare in pensione prima finiranno per ricevere una somma inferiore e perché questa riforma si applica solo per tre anni.

Lasciatemi inoltre sottolineare che chi sceglie di andare in pensione prima lascerà posti di lavoro vacanti che saranno occupati dai giovani. Nel settore pubblico, questo potrebbe innescare inoltre un ringiovanimento indispensabile del personale ed un aumento significativo della produttività.

Siamo orgogliosi di essere riusciti a trovare il modo di introdurre questo programma nonostante lo stretto spazio disponibile per le nostre finanze pubbliche.

Si tratta di interventi estremamente importanti e urgenti, necessari a guarire delle gravi ferite sociali. In ogni caso, difficilmente essi possono fornire di per sé una soluzione a problemi profondamente radicati nella nostra società, che è percepita come disuguale nelle opportunità che offre, ingiusta nella distribuzione della ricchezza prodotta, e incapace di generarne abbastanza per tutti.

Per affrontare questi problemi, abbiamo bisogno di ampi correttivi alle regole che governano la nostra economia e la nostra società.

Dobbiamo predisporre delle regole del gioco capaci di sostenere le persone comuni; di generare una redistribuzione del reddito più equa, migliori opportunità per ognuno, condizioni di lavoro dignitose, sicure e stabili per tutti e non soltanto per una minoranza fortunata;

In una parola, abbiamo bisogno di regole che mettano al centro gli esseri umani, le famiglie e la comunità. Dobbiamo smetterla di confondere i mezzi con i fini, come abbiamo fatto per tanti anni. Abbiamo bisogno di un nuovo “umanesimo”.

Questa visione è radicalmente nuova.

È una visione nuova perché non è costruita in termini di una contrapposizione tra statalismo e liberismo, come ha fatto la tradizionale divisione tra sinistra e destra per più di un secolo. Piuttosto, pensiamo che la vera divisione risieda tra coloro che hanno e coloro che non hanno il potere di cambiare le sorti della propria nazione. Pensiamo che questo diritto non possa essere concesso solo a una piccola minoranza di cittadini.

Siamo radicali perché vogliamo riportare questo potere dove fin dall’inizio lo aveva collocato la nostra Carta Costituzionale: al popolo, che lo esercita nelle forme e nei limiti della legge.

Si tratta di un programma vasto e multiforme, guidato da un concetto semplice: sostenere il merito mentre si combattono i monopoli e le rendite di posizione.

Una sequenza infinita di riforme può scaturire dal perseguimento di questa idea fondamentale.

Il sostegno del merito porterà la nostra attenzione sull’istruzione, e in particolare su quella della prima infanzia, che molti scienziati sociali ora considerano come la fase cruciale della vita in cui si decide il destino di una persona. La qualità dell’istruzione primaria per tutti, sebbene questa sia relativamente economica, è uno degli strumenti più potenti per creare uguaglianza nelle opportunità e uno degli investimenti di maggior rendimento a disposizione di una società.

La lotta alle rendite di posizione e al comportamento monopolistico implica una revisione radicale delle regole per accedere ai mercati, per entrare negli ordini professionali; più in generale, una revisione di tutte le norme burocratiche che non perseguono altri obiettivi se non proteggere gli insider.

Combattere le rendite di posizione significa essere inflessibili con la corruzione, perché si tratta dell’abuso di potere più vergognoso, volto a estorcere un beneficio da coloro che stanno solo chiedendo di esercitare un legittimo diritto.

Il mio governo su questo fronte non ha avuto esitazioni. Abbiamo adottato una legge anticorruzione che al momento è tra le più severe al mondo. Abbiamo iniziato a rivedere la regolamentazione economica praticamente in qualsiasi materia: dalla normativa sulla crisi d’impresa, al codice degli appalti, alla riforma del codice e del processo civile.

La nostra ambizione è dimostrare che non ci sono scelte mutuamente esclusive da fare tra una società più eguale, inclusiva (e direi gentile) e un’economia robusta che genera più ricchezza per tutti in maniera sostenibile.

Quando l’equità è percepita da un ampio numero di persone, e la fiducia prevale sui comportamenti opportunistici, le persone tendono a guardare con maggiore speranza al futuro, e a rinunciare a qualcosa oggi per ottenere qualcosa di meglio domani.

Quando gli sforzi e i sacrifici vengono ricompensati, invece di essere sfruttati dai percettori di rendite e dai loro comportamenti predatori, è razionale per le persone investire di più nel capitale umano e nel capitale fisico, perché avranno rendimenti maggiori.

Quando il senso di inclusività è in grado di cementare le comunità, è razionale per le persone investire nel “capitale pubblico” e avere più fiducia nelle istituzioni, perché il frutto di questo investimento sarà condiviso equamente piuttosto che essere indirizzato esclusivamente ai più benestanti.

Infine, una società più giusta ed equa è più forte perché le persone hanno fiducia reciproca, ed è più efficiente perché meno risorse vengono sprecate nella difesa di privilegi ingiusti.

L’Italia oggi sta percorrendo questa strada. Noi vogliamo andare molto lontano, non so dire quanto tempo ci vorrà. Quello che so è che senz’altro la nostra battaglia per una società migliore sarebbe più facile se non fossimo soli lungo questo percorso.

Ogni comunità, se lasciata sola, faticherà a fronteggiare i venti contrari che provengono da chi mette una Nazione contro l’altra solo per il proprio vantaggio.

Se noi, come europei, fossimo più uniti in questi sforzi, saremmo molto più forti nel sostenere la visione che ha ispirato il sogno originario di un’Europa che protegge i suoi cittadini e i valori a noi cari: la libertà, la giustizia sociale, un trattamento equo per ciascuno, la solidarietà fra popoli e nazioni, lo Stato di diritto.

Questa è l’Europa che noi italiani sogniamo. Un’Europa del popolo, dal popolo, per il popolo.