Mai più tagli alla sanità italiana: garantire gli stessi servizi in tutte le regioni

Di seguito l’intervista rilasciata da Giulia Grillo a La Verità

Ministro, come sta, e quando nascerà suo figlio?

«Sto bene, manca un mese al parto e non posso lamentarmi delle mie condizioni. Certo i 15 kg si fanno sentire, però questa gravidanza l’ho desiderata e mi aiuta ad affrontare tutto: farlo per il mio bambino è la mia forza».

La preoccupa conciliare maternità e impegno politico?

«Ho scoperto di essere incinta dopo le elezioni del 4 marzo, mentre stavo festeggiando il successo elettorale del Movimento 5 stelle. Fare il ministro è un impegno totalizzante, ho tutta la determinazione e la voglia di portarlo avanti. Noi donne siamo brave a conciliare tutto, per cui lo dico a voce alta a chi vuole diventare madre: non fatevi scoraggiare. Se non ci sono problemi di salute particolari è possibile lavorare e portare avanti una
gravidanza, basta qualche piccola attenzione in più. Ho smesso di fumare, sono contenta di averlo fatto».

Alcuni la danno in uscita dal ministero: cosa risponde?

«Voci prive di fondamento. Vorrei dire a tutte le lettrici: difendiamo il diritto a essere madri e lavoratrici. Il rischio di fare passi indietro è sempre in agguato, e l’Italia non può permetterselo. E ringrazio il post su Facebook del vicepremier Luigi Di Maio, un grande esempio di difesa delle pari opportunità!».

Il suo programma dipende dalle assegnazioni finanziarie previste dalla legge di Bilancio per la sanità. Quali sono le priorità e qual è la soglia di finanziamenti al settore oltre il quale si riterrà soddisfatta?

«Abbiamo ereditato una situazione complessa. Ma vogliamo invertire la tendenza sulla sanità, già a partire dalla Nota di aggiornamento al Def. Abbiamo aumentato subito di oltre un miliardo le risorse previste per la sanità da chi ci ha preceduto, e scritto nero su bianco le percentuali di spesa sanitaria rispetto al Pil. Il mio impegno è di trovare ulteriori risorse. Finché ci sono io, tagli alla sanità non se ne fanno. Per il 2019 abbiamo calcolato 117,2 miliardi per i fabbisogni della Sanità a fronte dei 116,1 previsti da Gentiloni. Prima di noi si prometteva l’aumento delle risorse senza realizzarlo e la sanità pubblica ci ha rimesso miliardi: questo si è tradotto in tagli ai servizi. Io ho blindato l’impegno di queste risorse aggiuntive e lotto per portare un risultato ancora migliore. La sanità ha pagato un conto salatissimo in questi anni. Quanto alle priorità, abbiamo l’imperativo di garantire l’erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza in modo equo su tutto il territorio. Oggi non è cosi».

E poi?

«Gli investimenti nelle infrastrutture. Stiamo predisponendo un piano Marshall per la sanità. II ministero ha calcolato in 32 miliardi le risorse necessarie per riorganizzare il patrimonio edilizio, per l’adeguamento sismico, per la riqualificazione degli edifici e per l’adeguamento tecnologico delle attrezzature. Importanti novità sono previste già in questa legge di Bilancio. La novità è mettere a sistema le risorse provenienti dai vari soggetti istituzionali. Si parte da circa 5 miliardi che il ministero della Salute ha già a disposizione. Ma ovviamente è un piano pluriennale».

L’intersindacale medica si prepara a uno sciopero per il rinnovo del contratto. Qual è la sua posizione in merito?

«È un diritto garantito costituzionalmente e come tale va rispettato nell’ambito delle leggi che lo regolano. Cerchiamo di individuare le soluzioni adeguate a un problema che, non dimentichiamolo, viene da lontano».

Mancano all’appello 47.000 medici, e lei ha proposto di abolire il numero chiuso.

«In Italia non mancano i dottori, ma gli specialisti e ¡ medici di famiglia, ed un problema che riguarda proprio i giovani laureati. Stiamo preparando un provvedimento che darà garanzie a una serie di lavoratori a oggi “invisibili” ma che stanno reggendo il nostro servizio sanitario. Migliaia di professionisti che vanno avanti con contratti atipici senza tutele né prospettive. Sull’abolizione del
numero chiuso, la mia idea è di aggiornare la modalità di selezione con criteri più legati al merito e alla reale volontà dello studente di diventare medico».

Per recuperare le risorse lei ha accennato anche alla necessità di ridurre gli sprechi: quali, e come?

«Uno dei primi atti è stata la creazione di un tavolo di esperti per una nuova governance del farmaco e dei dispositivi medici. Sulla spesa per beni e servizi ci sono margini per rendere sempre più efficiente il sistema, soprattutto in alcune Regioni, e dare cosi ai cittadini migliori farmaci, servizi e trattamenti».

Di recente lei ha evidenziato come altamente problematico l’eccesso di spesa « out of pocket» degli italiani per la sanità. Perché è un problema, e come porri rimedio?

«La Costituzione garantisce a tutti il diritto alla salute. Troppi italiani rinunciano alle cure per ragioni economiche. Penso sia un dovere del ministro rimuovere gli ostacoli che danneggiano i concittadini
più in difficoltà. Per questo il Movimento si è sempre battuto contro l’eccesso di «out of pocket». Chi non può ha diritto a curarsi».

Il ministro degli Affari regionali, Erika Stefani, presenterà una proposta di legge per una sorta di «secessione » della sanità veneta. Il federalismo non rischia di accentuare le disuguaglianze?

«Le istanze di autonomia di alcune Regioni meritano attenzione, ma ancor più merita attenzione la necessità di non accentuare ulteriormente le diseguaglianze territoriali a scapito dei pazienti.
Il mio impegno va nella direzione della riduzione del gap territoriale, garantendo a tutti i cittadini le stesse possibilità. Sono siciliana e vivo da qualche anno a Roma, tocco ogni giorno con mano la differenza tra la sanità delle due Regioni».

L’Ue è intervenuta sul morbillo accusando l’Italia di essere la «causa» della sua diffusione considerandoci un Paese «untore»: è credibile?

«Il morbillo è stato eliminato in molti Paesi europei mentre in Italia la malattia è ancora endemica. Le epidemie si susseguono da oltre dieci anni e interessano soprattutto adolescenti e giovani adulti. La ragione è molto semplice: le campagne vaccinali, avviate alla fine degli anni Ottanta, non hanno mai raggiunto la copertura necessaria per bloccare la circolazione del virus e si sono accumulate intere generazioni di soggetti suscettibili. Per eliminare il morbillo anche da noi occorre rapidamente immunizzare questi soggetti, offrendo la vaccinazione in tutte le sedi e in tutte le occasioni in cui è possibile. Bisogna pensare poi a come proteggere il personale sanitario e quello scolastico, per questo coinvolgerò anche i miei colleghi di governo. Serve un’azione congiunta, una strategia che va comunicata efficacemente. Per questo presto partiranno degli spot televisivi che ho voluto e che stiamo realizzando in tempi record. II piano straordinario di eliminazione del morbillo, di cui l’Italia era dotata, era stato trascurato da molti anni. Per rispondere adeguatamente alle preoccupazioni dell’Europa, l’obbligo della vaccinazione nei nuovi nati e in età scolare – di cui stiamo discutendo da mesi – è certamente necessario per raggiungere e mantenere le coperture previste dall’Oms, ma non e assolutamente sufficiente».

Nel settembre 2014 l’Italia ha partecipato alla Global health security agenda, sottoscrivendo alla Casa Bianca un accordo sulle politiche sanitarie. Tali impegni vincolano l’attuale governo, ad esempio sui vaccini? In che modo?

«L’Italia negli anni passati si è dotata di un Piano di prevenzione vaccinale molto articolato sia in termini di popolazione interessata sia di vaccini offerti. Purtroppo non sono state stanziate adeguate risorse. Ne è un esempio l’assenza di un’anagrafe vaccinale nazionale cui ho cercato di porre rimedio con uno dei nostri primi decreti. L’accordo internazionale prevedeva anche, e soprattutto, interventi di tipo formativo e culturale che in impegnavano gli atenei e il mondo scientifico. Finora nessuno di questi impegni è stato onorato da chi suo tempo li aveva sottoscritti».

Ma così non sorpassate la rigidità del governo, che molti elettori avevano criticato?

«La prevenzione vaccinale è una attività complessa e, come sappiamo, il nostro Paese non raggiunge pienamente i numeri che l’Oms ci richiede. Aver concentralo tutta l’attenzione solo sull’obbligatorietà ha fatto trascurare le altre azioni indispensabili per l’efficacia delle campagne vaccinali: i sistemi informativi (le anagrafi); l’adeguata dotazione dei servizi vaccinali, la comunicazione sociale, ecc. Negli ultimi tre anni l’avvio del nuovo Piano di prevenzione vaccinale e la legge sull’obbligo hanno messo a dura prova la capacità organizzativa dei nostri servizi presso le Asl, che negli anni hanno visto ridurre il personale. Serve una legge quadro completa e moderna, che dia al Servizio sanitario tutti gli strumenti normativi e le risorse organizzative necessarie, e il nostro ddl, che è in discussione da martedì in Senato, aiuta a fornire le risposte adeguate».