Lettera aperta al direttore di Repubblica

di Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio

Gentile Direttore,

lo scorso week-end, sabato 6 ottobre e domenica 7 ottobre, il Suo quotidiano, che sin dal giorno in cui ho ricevuto l’incarico di avviare questa nuova esperienza di governo mi ha riservato astiosi attacchi, sciorinando falsità e diffamazioni del più variopinto tenore, mi ha dedicato due articoli che mirano a persuadere il lettore circa la presunta illegittimità del concorso con cui sarei diventato professore “ordinario”.

I titoli, riportati anche in prima pagina sono di per sé eloquenti: sarei diventato professore ordinario perché “promosso dal mio maestro e socio [di studio]”, e perché “lavoravo … e avevo rapporti di affari con chi dopo pochi mesi fu mio commissario”.

Già in passato ho chiarito che non intendo rispondere alle diffamazioni del Suo giornale promuovendo azioni penali o anche solo civili di risarcimento dei danni fin quando rivestirò l’incarico di Presidente del Consiglio. Considerato questo alto ufficio, infatti, non ritengo opportuno avvalermi degli strumenti di tutela giudiziaria che pure sono posti a disposizione di tutti i cittadini. Sono cresciuto e mi sono formato nel culto del principio della libertà di stampa e anche adesso che ho la possibilità di constatare, sul piano personale, come di esso si possa fare un uso così insistentemente malaccorto, rimango fermo in questa mia convinzione.

All’inizio della mia esperienza di governo sono rimasto sorpreso di scoprire che quando questo giornale mi attaccò sulla mia esperienza di studio alla New York University non si premurò – eppure sarebbe bastato leggere le precisazioni riportate da altri giornali italiani – di pubblicare le complete e inequivoche dichiarazioni della portavoce della medesima Università, che attestavano i miei soggiorni di studio estivi dal 2008 al 2014 (addirittura due anni in più di quanto riportato nel mio curriculum).

Come pure sono rimasto sorpreso, in occasione degli attacchi ricevuti per la mia partecipazione al concorso dell’Università La Sapienza, di leggere sul suo giornale che il concorso sarebbe stato “confezionato a mia misura” senza che nessun elemento fosse fornito a supporto di questa gravissima affermazione. Per tutta risposta il Suo giornale mi ha perfino accusato di essermi ritirato dal concorso tramite una dichiarazione video-registrata diffusa via internet, priva di valore giuridico, fingendo di ignorare o non preoccupandosi di verificare – cosa è più grave? – che lo stesso giorno avevo inviato una comunicazione formale certificata (pec) alla segreteria amministrativa del concorso.

Anche gli articoli pubblicati lo scorso week-end circa la presunta illegittimità del mio concorso da ordinario sono privi di qualsiasi consistenza, e si affidano a consumati espedienti retorici al fine di suggestionare il lettore. Avrei lasciato perdere anche in questo caso, solo che pur di attaccare me, per fatti che risalgono al 2002, finite per scagliarvi contro il professor Alpa, una delle nostre riconosciute eccellenze in campo giuridico, giurista unanimemente apprezzato in Italia e all’estero. E questo non è giusto perché Alpa è fuori dalla contesa politica e in ogni caso non merita attacchi così palesemente strumentali e diffamatorii!

Chiarisco allora che il prof. Alpa non è, propriamente, il mio “maestro”. Sul piano accademico il mio maestro è il prof. Giovanni Battista Ferri, con il quale mi sono laureato alla Sapienza e sotto la cui guida ho iniziato a svolgere attività di ricerca scientifica e di assistente universitario. Il prof. Alpa l’ho conosciuto diversi anni dopo, quando ormai ero ricercatore all’Università di Firenze, derivandone sicuramente grande giovamento per l’affinamento della mia formazione di studioso.

A differenza di quanto riportato, io e il prof. Alpa non abbiamo mai avuto uno studio professionale associato né mai abbiamo costituito un’associazione tra professionisti. Sarebbe bastato ai suoi giornalisti chiedere in giro, senza profondersi in sofisticate investigazioni, per scoprire che Alpa, all’epoca dei fatti, aveva sì uno studio associato, ma a Genova, con altri professionisti. Mentre a Roma siamo stati “coinquilini” utilizzando una segreteria comune, che serviva anche altri studi professionali, tutti collocati nello stesso stabile, come spesso avviene nel mondo professionale, dove è frequente che diversi professionisti si ritrovino a condividere un medesimo indirizzo professionale, anche solo per economia organizzativa, mantenendo tuttavia distinte le rispettive attività professionali. Peraltro, a conferma della distinzione delle attività professionali vi è il fatto che io ho stipulato un contratto di locazione per l’appartamento sito al piano superiore e Alpa per l’appartamento sito al piano inferiore, entrambi a Roma, in piazza Benedetto Cairoli 6.

Nell’articolo di domenica si torna a rimestare sull’argomento tirando fuori un fatto “nuovo”: io e Alpa saremmo stati incaricati dal Garante Privacy, nel 2001, di difenderlo in un giudizio contro la Rai, quindi prima del concorso. Verissimo. Risulta per caso all’eminente articolista e al Suo giornale che nel caso due professionisti vengano incaricati da un cliente (peraltro istituzionale: Garante Privacy) di far parte del medesimo collegio difensivo si produca una qualche forma di conflitto di interessi tra loro in vista di futuri concorsi? Quale sarebbe la ragione di questa incompatibilità visto che sia io che Alpa abbiamo svolto la nostra attività quali professionisti autonomi e fatturato al nostro cliente ciascuno per proprio conto? Nell’articolo si richiama un parere dell’Anac reso in occasione di un recente concorso universitario che, però, non ha nulla a che vedere con le circostanze di cui sopra.

L’ulteriore elemento di conflitto di interessi, per il Suo giornale, sarebbe che alcune mie pubblicazioni presentate per il concorso sarebbero state ospitate in volumi curati dallo stesso Alpa e che avrei realizzato, prima del concorso e sotto la direzione di Alpa, un progetto pilota sull’insegnamento del diritto privato nelle scuole superiori. La tesi non è ardita. E’ talmente risibile che denuncia chiara malafede. Quindi d’ora in poi tutti i giovani studiosi dovrebbero evitare di pubblicare articoli in riviste o in volumi diretti o curati da autorevoli accademici; diversamente si produrrebbe una incompatibilità e dovrebbero ritirarsi dai concorsi in cui sono stati nominati commissari gli autorevoli curatori o direttori di riviste che hanno ospitato i loro scritti…

Una considerazione finale. Stiamo ragionando di un concorso svoltosi nel 2002. Di un concorso pubblico che si è concluso con l’unanime deliberazione favorevole di tutti i commissari. Nonostante la costante attenzione, anche mediatica, che accompagna da tempo lo svolgimento dei concorsi e nonostante anche la notorietà (non certo del candidato quanto) del commissario, nessuno ha mai denunciato alcunché né ha mai sollevato censure. Immagino, tuttavia, che la ragione per cui state svolgendo queste “inchieste” sia l’amore della verità e lo spirito di “servizio pubblico”, senza alcuna volontà di rimestare fatti noti, distorcendoli per mere ragioni “politiche”…

Torno alla considerazione iniziale. La libertà di stampa è un bene di primaria importanza sul piano assiologico, perché costituisce il fondamento di qualsivoglia sistema democratico.

Ma è legittimo suscitare alcuni interrogativi e promuovere una seria riflessione pubblica senza per questo essere accusati di ledere i princìpi democratici?

Si può sollecitare una discussione invitando Lei e i Suoi giornalisti a valutare se Voi stessi siate davvero consapevoli di quanto preziosa sia la libertà di espressione e di quali implicazioni l’amministrazione di questo “bene pubblico” comporti sul piano delle responsabilità ? Siamo sicuri che le difficoltà con cui attualmente si sta confrontando un po’ tutta la carta stampata siano da ricondurre ai nuovi strumenti info-telematici e non anche, quantomeno in parte, alla rinuncia a coltivare più rigorosamente il proprio mestiere, fidando nell’approfondimento critico delle notizie e nella verifica rigorosa delle fonti?

Vi è piena consapevolezza che anche un giornale è un’intrapresa culturale che deve rispondere ai propri stakeholders e deve “stare” sul mercato? Vi è piena consapevolezza che il rapporto di fiducia con i propri lettori, la credibilità di quello che viene scritto sono i “beni intangibili” che un’azienda giornalistica dovrebbe gelosamente preservare nel proprio esclusivo interesse, anche economico?

Nei mesi scorsi molti dei Suoi giornalisti mi hanno sollecitato a concedere interviste e a riferire notizie di “prima mano”.

Quanto alle notizie, mi darà atto che, nel corso delle varie conferenze stampa, ho sempre risposto in modo puntuale e cortese anche ai Suoi giornalisti. Ci mancherebbe altro. Quanto all’intervista confermo il diniego. Il Suo giornale sta esibendo nei miei personali confronti un’ostilità talmente preconcetta e denigratoria che non intendo rilasciarle interviste.

Considerato però il mio incarico e considerato altresì che Lei è il direttore di una testata giornalistica Le ho rivolto, ormai qualche tempo fa, un invito a venire a Palazzo Chigi. L’ho invitata per avere un confronto sul momento attuale che sta vivendo la carta stampata, sullo stato dell’informazione e su altre rilevanti questioni per il nostro sistema democratico. Ero e resto disponibile a riceverLa, come pure ho fatto con altri direttori di altrettante testate giornalistiche.

L’unica condizione che ho posto è che si possa video-registrare il nostro incontro in modo che avvenga in piena trasparenza e che di esso sia reso partecipe il più ampio pubblico. Lei ha sin qui declinato il mio invito. Che sia la volta buona?