Reddito di cittadinanza e trasformazioni del lavoro

di Claudio Cominardi

All’International Training Center dell’ILO di Torino è in corso il XXII Congresso Mondiale della Società Internazionale di Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale (ISLSSL). Accademici e non di sessanta Paesi del mondo si susseguono per quattro giorni discutendo un tema che il MoVimento 5 Stelle ha sempre definito strategico: le trasformazioni del lavoro e le sfide che queste comportano sia per i sistemi nazionali di diritto del lavoro, sia per la sicurezza sociale.

Lieto di seguire i lavori in veste di sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro, nel mio intervento inaugurale ho spiegato perché il reddito di cittadinanza è uno strumento non più rinviabile. Ecco i dati e i fatti per andare oltre i banali pregiudizi.

Fatto numero uno. Per effetto dello sviluppo tecnologico e dell’intelligenza artificiale il mondo delle professioni e del lavoro si sta trasformando radicalmente. Alcuni tra i maggiori studi certificano questo processo su scala mondiale. Il World Economic Forum nel 2016 ha ipotizzato per le quindici maggiori economie nazionali del mondo una potenziale perdita posti di lavoro entro il 2020 in assenza di un adeguamento del mercato. L’Oxford Martin School prevede entro dieci-vent’anni la radicale trasformazione del 50% delle professioni in Europa. La società di consulenza strategica Mc Kinsey ha evidenziato che il processo di automazione potrà riguardare il 45% delle attuali attività lavorative.

Fatto numero due. Il passaggio da una società industriale a una società “digitale” è sotto gli occhi di tutti. Ieri grandi industrie realizzavano enormi profitti impiegando svariate migliaia di lavoratori per produrre beni e servizi materiali, “pesanti” (labour intensive). Oggi le grandi aziende producono beni immateriali, “leggeri” (capital intensive), sfruttando le potenzialità della tecnologia e dell’automazione. Tra le società più potenti al mondo troviamo, non a caso, Google, Facebook, Microsoft, Amazon, Apple. Quest’ultima ad agosto ha superato come capitalizzazione di mercato la soglia dei mille miliardi di dollari e la stessa è stata oltrepassata in queste ore da Amazon. Morale: profitti strabilianti e indice di occupazione ridotto.

Fatto numero tre. Per effetto dei cambiamenti che abbiamo esposto, il rischio che la disuguaglianza cresca ancora di più è alto. Secondo il Rapporto Oxfam il mondo è sempre più diseguale. Nel 2017 le 8 persone più ricche al mondo detenevano l’equivalente della ricchezza posseduta dalla metà più povera della popolazione mondiale, ovvero 3,6 miliardi di persone! Forse abbiamo un problema di redistribuzione?

Sintetizzando: il progresso tecnologico è in corso, le aziende sfruttano sempre di più l’automazione, dall’industria pesante all’economia “leggera”, mentre la geografia delle professioni sta subendo un vero terremoto. Il risultato più evidente è che la classe media (che negli USA sostiene il 70% della spesa al consumo) va scomparendo. La rapidità di questa rivoluzione rende impreparate milioni di persone, vittime anche di una politica inerme che non sa cosa fare. Appunto: da dove si riparte?

Cambiamo il punto di vista da cui osserviamo il problema e troveremo la risposta a questa domanda (e al quesito sul reddito di cittadinanza). Anche se forse spaventa, la quarta rivoluzione industriale rappresenta l’occasione di produrre più beni e più servizi con maggiore velocità ed efficienza, il tutto con meno ore lavorate. A patto però che sia ben governata e accompagnata da investimenti in ricerca, in sviluppo tecnologico, in infrastrutture intelligenti, in politiche attive e formazione privata e pubblica. Occorrerà inoltre incentivare la conciliazione tra vita e lavoro, ed è chiaro che, poiché il lavoro certo verrà sempre meno, si dovranno anche garantire forme reali di sostegno al reddito.

Rispetto alla piaga della disoccupazione si vuole semplicemente invertire la tendenza rimettendo al centro l’individuo. Persino l’OCSE ammonisce l’Italia poiché i disoccupati supportati con forme di sostegno al reddito e con programmi di riqualificazione sono solo l’8,4%, quando altrove abbiamo percentuali da capogiro: 63,7% in Finlandia, 60% in Belgio, 42% in Francia. Persino negli USA, tradizionalmente meno inclini a forme di sostegno pubblico, la percentuale è superiore (12,4%).

Sono temi che il Governo del Cambiamento vuole assumere come priorità.

A chi descrive questa misura come impraticabile andrebbe ricordato un ultimo fatto: da tempo nel mondo si parla di reddito di base incondizionato. Ci sono state sperimentazioni da parte di Paesi lungimiranti, ma lo stesso stanno facendo alcuni soggetti privati, guarda caso proprio nella Silicon Valley. È notizia di pochi giorni fa che l’incubatore di startup “Y Combinator” sperimenterà il reddito di base incondizionato su 3000 persone quale “rimedio” alle conseguenze che la trasformazione tecnologica avrà sull’occupazione. Il progetto durerà dai 3 ai 5 anni e a mille di loro verrà erogato un reddito di base di 1000 dollari al mese per valutarne gli effetti sociali.

Il futuro è già arrivato e non perderemo altro tempo per prenderne atto.