Dalla parte degli agricoltori italiani

L’intervento di Luigi Di Maio all’Assemblea nazionale Coldiretti

di Luigi Di Maio

Prima di tutto grazie a tutti, mi perdonerete se non ho molta voce stamattina, ma la colpa è dei vitalizi perché ieri quando è stata votata la delibera definitiva alla Camera dei Deputati, che li taglia a decine e decine di ex parlamentari, per me è stata una svolta dal punto di vista politico. Credo sia capitato tante volte anche a voi, per anni, di sentire che certe cose non si possono fare, che fanno male alle istituzioni, che sono incostituzionali. Quante volte avete provato a difendere i nostri prodotti e vi hanno detto, no ma questa cosa non è conforme ai Regolamenti e alle Direttive europee. Quante volte è successo? Invece è da circa un mese che sto scoprendo che tante cose si potevano e si possono fare. In realtà quegli stessi funzionari che mi dicevano che non si potevano fare quando stavo all’opposizione, adesso mi portano le proposte per farlo. Quindi, vedo che qualcosa sta cambiando. E prima di tutto cambia, secondo me, un atteggiamento. Io non sono venuto qui per autocelebrare il Governo, anche perché questa è stata la strada sbagliata intrapresa in passato.

Come diceva il presidente Moncalvo, il vero grande problema è la percezione dei fenomeni che abbiamo sui migranti, sulla disoccupazione , sulla burocrazia e sul Made in Italy. A volte bastano tre, quattro errori fatti in serie da parte dello Stato nei confronti del made in Italy e la percezione che se ne ha diventa devastante, terribile e cominciano a girare dei luoghi comuni. Ne abbiamo attraversato tanti in questi anni, di problemi. Adesso è il momento di fare i conti con queste percezioni e, quindi. io non sarò mai uno di quelli che viene qui e dice: ma questo problema l’abbiamo risolto, abbiamo fatto la legge. Poi, chissà quante volte vi siete ritrovati con leggi inattuate, attuate male o con conclusioni fatte nei Consigli Europei dell’Agricoltura nelle quali si dice: ma è nelle conclusioni. Poi però quel Paese ha fatto il contrario e ci sta danneggiando. Non sarò mai uno di quelli che vi porta le carte bollate e vi dice: è tutto in ordine. Questo perché sono stato io, prima di tutto, in questi anni da parlamentare dell’opposizione, a rendermi conto che una cosa è quello che c’è scritto nelle leggi, altra cosa è quello che poi veramente dobbiamo far accadere: dalle leggi alla realtà, ai fatti.

Mi fa molto piacere essere qui con lo spirito di una persona che oggi è al Governo mentre prima si trovava all’opposizione ma che continua il suo percorso con una realtà importantissima come Coldiretti e l’agricoltura italiana, con i suoi 132 miliardi di fatturato. Riconosco a Coldiretti la progettualità perché ogni volta che si parla con voi si parla di progetti a lungo e medio termine. Non ho mai avuto la richiesta di qualcosa di imminente, quando ne abbiamo parlato, ma abbiamo sempre discusso, sia con Gismundo che con Moncalvo e gli altri, di grandi progettualità. Lo riconosco a Coldiretti e, per questo, è un piacere stare qui ad ascoltarvi stamattina. Essere qui significa anche fare un’altra cosa, rivendicare un po’ di sano sovranismo perché qui siamo in un momento dell’Europa e del Paese in cui sembra che preoccuparci degli affari nostri come Paese sia una brutta cosa. Ormai c’è una narrazione per la quale se ti occupi del prodotto italiano sul mercato e cerchi di difendere un settore economico con le sue eccellenze, allora sei populista, antieuropeista, antioccidentale. In realtà cosa è successo in questi anni? Proprio coloro che hanno portato avanti queste teorie, alla fine ne hanno pagato le conseguenze, perché prima siamo passati per il TTIP, adesso stiamo passando per il CETA e poi chissà quanti altri tentativi faranno altri Paesi di entrare con i loro prodotti nella nostra economia.

Su questo vorrei chiarire una cosa:
gli altri Paesi fanno il loro lavoro, siamo invece noi che dobbiamo difendere l’Italia e l’economia italiana. Per questo voglio dirvi con molta franchezza che se anche uno solo dei funzionari italiani che rappresentano l’Italia all’estero continuerà a difendere trattati scellerati come il CETA sarà rimosso. Voglio dirvi anche un’altra cosa, che a breve il CETA dovrà arrivare in aula in Parlamento per la ratifica e questa maggioranza lo respingerà, non lo ratificherà. Ovviamente non mi illudo che con questo atto parlamentare risolveremo il problema ma dovrà essere chiaro che cambierà l’atteggiamento di un Paese che adesso comincia a difendere i propri interessi a livello nazionale e internazionale.

Sul tema dei dazi ho detto che non bisogna avere paura di parlarne, non ho detto che voglio metterli su uno specifico settore, però respingo al mittente quello storytelling per cui questi temi sono diventati un tabù del quale non si può più parlare. Sono diventati così tabù che adesso la moda europea, la moda degli eurocrati è proprio quella di fare il contrario, cioè dire che ci andiamo a buttare dove abbiamo delle economie che ci possono danneggiare. Pensiamo all’olio tunisino, pensiamo a quello che si è fatto con altri settori del nordafrica. Sono d’accordo a tenere vicino alla Ue alcuni Paesi che possono, nell’ambito delle dinamiche africane, finire nelle cosiddette dinamiche filoislamiche.

Si sostiene che bisogna tenere queste economie vicino a noi favorendone l’ingresso, cosa che va benissimo, ma non a costo di danneggiare i nostri settori. Se dobbiamo aiutare quelle economie facciamo invece gli investimenti in quei settori e propongo che l’ammontare del danno economico causato da un trattato determinato settore e che ci sta facendo per esempio tanto come il CETA ma anche come quello che è stato fatto a tanti agricoltori del Sud e non solo con Trattati Ue-Marocco, Ue-Tunisia e quello che stanno provocando anche le sanzioni alla Russia. Credo che siamo in un momento in cui quelli lì che diceva Gismundo, quelli a cui ogni tanto bisognerebbe stracciare qualche pagina dei libri da cui studiano, siano diventati più realisti perché quando ho parlato con il Dipartimento di Stato americano del Re un anno fa delle sanzioni alla Russia, loro mi hanno detto che sono uno strumento e se non sta funzionando possiamo trovare un altro strumento per sanzionare la Russia. Qui invece noi che siamo danneggiati abbiamo avuto, non solo una classe politica ma una classe dirigente dello Stato che appena toccavi questo tema dovevi essere messo al rogo. E così è valso per tutto e così ci siamo fatti del male perché con questa idea mondialista e aperturista a tutti i mercati a tutti i costi abbiamo cominciato ad arretrare ne brand. Perché l’Italia oltre ad essere un Paese straordinario è un brand nel Mondo.

Da un po’ di tempo, quando incontro i nostri italiani all’estero di terza e quarta generazione, mi dicono che stanno percependo un ritorno della moda dell’Italia, soprattutto della lingua italiana, a tal punto che danno lezioni di italiano agli americani. Questo perché l’Italia è diventata sempre di più sinonimo di cose fatte bene, di cultura. Grazie al grande lavoro fatto dalla magistratura e dalle forze dell’ordine contro la mafia, ci siamo un po’ scrollati di dosso questo problema, anche se continua ad essere un grande problema del nostro Paese. Ma noi ci dobbiamo preoccupare di quel brand, perché basta poco che si danneggi nuovamente agli occhi del mondo, perché intaccato da un cattivo storytelling. Per difendere il Made in Italy dobbiamo prima di tutto proteggerlo qui, in modo tale che quando diventerà, e lo diventerà sempre di più, il nostro ambasciatore vero all’estero, non avrà alcun alone, nessuna patina di dubbio intorno a sé sull’origine dei prodotti, sul come e dove vengono prodotti, nel rispetto della trasparenza e della tracciabilità.

Sono d’accordo sul fatto che questa storia dei semafori è una follia. A chi ha progettato i semafori credo sia capitato spesso di mangiare italiano, quindi, credo che chi si è messo in testa questa idea sappia bene che cos’è la dieta mediterranea, cosa mangiamo ogni giorno e quanto è buono quello che mangiamo. Ma abbiamo un grande problema, che molto spesso non facciamo lobby come Paese, e su questo dobbiamo essere più forti! Non dico che sarà semplice, però dobbiamo essere coscienti del fatto che, per esempio, in Europa dovremo raddoppiare il numero di componenti della nostra rappresentanza presso le sedi dell’Unione Europea quando si contratta. Sono stato al Consiglio Europeo dei ministri del lavoro in Lussemburgo qualche settimana fa e, praticamente, anche un Paese con la metà dei nostri cittadini ha il doppio dei nostri membri della rappresentanza. Questo ha un solo significato: cominciare a progettare. Non per colpa loro, ma per dimensioni e organico, noi molto spesso gestiamo la questione europea sempre in difesa e sull’ordinaria amministrazione e non facciamo lobby nel progettare provvedimenti che ci diano una forza all’interno della nostra economia. Anche sul tema dell’etichettatura, per cui si è fatta una grande battaglia.

Riconosco quello che voi avete fatto in tutti questi anni. Noi svolgiamo il nostro lavoro esecutivo di Governo ma sappiamo bene che senza i vostri feedback, i vostri consigli, i vostri centri studi, è difficile riuscire ad arrivare all’obiettivo per la categoria. Quindi, dobbiamo portare la questione dell’etichettatura fino alla fine, a compimento, e lo dobbiamo fare cominciando a farci rispettare di più in Europa, perché ogni volta che si è trattato questo tema, si doveva sempre trovare un’escamotage per non fare arrabbiare la Commissione Europea, il Consiglio Europeo e il Parlamento, in una parola per non fare arrabbiare le Istituzioni. Siamo un contributore netto dell’Unione Europea, siamo un Paese fondatore e siamo la seconda forza manifatturiera d’Europa, non ci dobbiamo vergognare di voler cambiare le regole. Sono qui da Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro. Uno dei motivi per cui ho voluto il Ministero dello Sviluppo Economico è il suo impegno nella lotta alla contraffazione. La lotta alla contraffazione va fatta a 360°, combattendo l’italian sounding e tutti i fenomeni che si stanno sviluppando. C’è un altro tema, quello del commercio online, dei market place, che dobbiamo monitorare e seguire, ma non potremo mai farlo se non abbiamo uno strumento flessibile per gestire la lotta alla contraffazione. Che cosa intendo per flessibile? Ogni volta che noi mettiamo un argine ad un tipo di prodotto contraffatto, fatto quell’argine si trova l’inganno per produrne altri, quindi dobbiamo stare attentissimi e creare degli osservatori permanenti, su tutti i tipi di prodotti e farlo non noi qui in Italia, lo dobbiamo fare con le nostre ambasciate nel mondo, in tutti i Paesi, per fargli monitorare quello che sta accadendo.

Poi c’è il problema della contraffazione del Made in Italy in Italia e su questo dobbiamo essere molto chiari: se ci sarà bisogno di più norme penali le aumenteremo e se ci sarà bisogno di più ispettori e più controllo lo aumenteremo, utilizzando tutta una pletora di funzionari e di dipendenti che abbiamo presso gli istituti dello Stato e che dobbiamo mettere al lavoro su questo fronte. So che ci sono tante questioni che vi stanno a cuore, ma una di cui si è parlato moltoè quella dei voucher per l’agricoltura. Ora, mi permettano i giornalisti questa battuta, non perché non stia loro a cuore questo tema, ma bisognava trovare un modo per dire che il Governo stava litigando. Io vorrei ricostruire un attimo il tema dei voucher. I voucher sono stati del tutto eliminati, prima di tutto, con un modo di pensare malsano, una ratio malsana, che era la paura di perdere un altro referendum. Per la paura di perdere il referendum sui voucher, da quando si usavano anche per pagare gli avvocati e gli ingegneri, si è passato al farli scomparire del tutto. Questo lo abbiamo visto nell’ultimo anno.

Quando si fanno le cose così, si fanno da anni, perché non c’è un’intenzione sana di normare ma c’è un’intenzione malsana che è quella di difendersi, per paura. Quando si fanno le cose per paura non si fanno mai bene. Noi, come forza politica, allora già abbiamo detto in Parlamento, che il motivo per cui erano nati i voucher, era un motivo giusto. Il problema è che, poi, tra Decreto Poletti, Jobs Act ed altro, i voucher sono stati utilizzati per tutto, e, a un certo punto, è iniziato lo sfruttamento dei nostri giovani e meno giovani in tanti ambiti di questo Paese, proprio utilizzando i voucher. Che i voucher siano importanti in questo settore sono importanti, lo affermate voi ma anche tanti osservatori del settore agricolo. L’unica cosa che chiedo è scrivere la norma insieme, perché voi conoscete bene questo settore e sapete come fare in modo che non si sfrutti neanche un giovane o meno giovane in questo Paese. E’ l’unica cosa che chiedo. Così ci diciamo onestamente a cosa servono, per cosa li vogliamo utilizzare e per cosa non devono essere utilizzati. Sono qui a parlare con voi proprio perché so che voi siete la filiera che resta sul territorio. Quella che non delocalizza, quella che fa crescere la comunità, e soprattutto che fa sempre un gioco di squadra, proprio di filiera.

Nel decreto che ieri il Presidente della Repubblica ha firmato, ci sono le norme sulle delocalizzazioni che riguardano le multinazionali che vengono in Italia, prendono i soldi pubblici ma poi se ne vanno all’estero lasciando tanti lavoratori in mezzo alla strada. Quella norma l’ho scritta perché è una questione di rispetto per tutti gli imprenditori italiani che pagano le tasse, danno i soldi a queste aziende, li fanno insediare sul nostro territorio, magari facendogli anche concorrenza e, dopo aver comprato i macchinari, gli investitori li impacchettano e li portano in Romania. Questa norma sancisce un nuovo principio in base al quale, non solo non ci riprendiamo gli incentivi dello Stato che partono dal Mise ma, per ogni genere di finanziamento pubblico erogato da un ente dello Stato verso un’azienda, se poi quell’azienda delocalizza ci riprendiamo il finanziamento con gli interessi e gli diamo anche una sanzione pecuniaria, pari a 4 volte i soldi che si sono presi. Ora, qualcuno afferma che questo tema sia pericoloso perché nessuno verrà in Italia a fare gli investimenti. Io voglio chiedervi una cosa: ma se uno viene in Italia, gli do i soldi, e lui dopo cinque anni già mi dice che se ne vuole andare, a noi cosa interessa che venga a investire in Italia?

Lo dico anche perché non vale solo per le delocalizzazioni. C’è un’altra norma nel decreto che dice che se lo Stato dà soldi per ristrutturazione del personale, che significa incremento del personale, il piano dell’organico. Io ti dò dei soldi: strumenti di ammortizzatori sociali o strumenti di incentivo. Tu aumenti il numero di dipendenti. Benissimo. Ma se poi fai il furbo e li cominci a licenziare dopo che ti sei preso quei soldi io comincio a riprendermeli in maniera proporzionale a come li stai licenziando. Ed è un principio che secondo me mette al sicuro un concetto che si chiama merito, perché il merito in Italia è diventato la persona onesta che si sente un fesso perché si vede sempre superato dal disonesto che è chiamato furbo. Ora noi stiamo facendo un po’ di guerra ai furbi in questo momento.

E lo faccio con questo strumento ma lo faremo anche con tanti altri strumenti. Io voglio dirvi qui, poi avrete modo anche di confrontarvi con il Ministro dell’agricoltura e con altri membri del Governo, io voglio dirvi: contate su di noi se si tratta di difendere l’Italia e le sue eccellenze. Contate su di noi. Contate su di noi se si tratta di cambiare atteggiamento a quei tavoli fino all’ONU, tra l’altro oggi discuteremo di questo nel pomeriggio su quel tema lì, sull’allarme che è stato lanciato. Contate su di noi per un atteggiamento differente. E la politica estera è atteggiamento e parole prima di tutto… Qualcuno dice: bisogna fare i fatti e non le parole. A livello internazionale l’atteggiamento di un Paese cambia l’effetto delle contrattazioni attorno a un trattato, intorno a un accordo. È il modo in cui ti poni a quei tavoli che cambia l’atteggiamento degli altri Paesi che sono lì.

Se noi continuiamo ad andare lì a fare quelli che vabbè l’Italia protesta ma tanto un modo lo troviamo sempre per accontentarli, si staranno zitti e diranno di sì, alla fine saremo sempre quelli “comprabili”. Noi invece dobbiamo far capire che quando una cosa non ci sta bene, sia a livello europeo che a livello internazionale, abbiamo tutti gli strumenti per rivedere quello che non ci va bene. Ad esempio a livello europeo io non posso assolutamente pensare che si voglia tagliare dalla programmazione economica europea oltre due miliardi di euro di finanziamento a questo settore, ma voglio dirvi una cosa. Vale per questo come per tutti gli altri settori: se la programmazione economica del prossimo settennato deve togliere fondi al sociale, all’agricoltura, alle imprese perché dicono: “c’è stata la Brexit”…. Tu stai dicendo ai Paesi che sono rimasti nell’Unione europea che siccome sono rimasti nell’Unione europea e ci vogliono restare devono pagare lo scotto di quello che se ne è andato che magari non lo so se starà meglio, questi sono affari suoi.

Ma sia chiaro questo: se ci vogliono tagliare fondi all’agricoltura – e ce li vogliono tagliare -, se ci vogliono tagliare fondi al sociale con una escamotage che è fantastico, che devono avere imparato da qualche ingegneria politica italiana: il Fondo sociale europea si chiamerà FSE+ (“plus”), oggi si chiama FSE, si chiama “plus” perché raccoglie altri due o tre fondi sul sociale, però la somma dei soldi nell’FSE+ è più bassa della somma dei soldi dei fondi separati che c’erano prima. Quando l’abbiamo posto all’ultimo Consiglio europeo del Lussemburgo, mi hanno detto: “no, ma in verità, noi li abbiamo accorpati proprio per mettere tutte le risorse rimanenti meglio a sistema”. Cioè li abbiamo accorpati per non far capire che tagliavamo da tutte le parti, per questo ci abbiamo messo un “plus”. Metteteci un meno non un più vicino a questo fondo.

Se questo sarà l’andazzo io vi prometto – e credo di trovare nel Governo la massima disponibilità – che se veramente ci vogliono tagliare miliardi noi gliene daremo di meno nel bilancio europeo. Perché se gliene diamo 20 miliardi all’anno e ne rientrano soltanto poco più di 12, allora vorrà dire che di quei 20 miliardi tratteniamo qualcosa perché quelli sono soldi nostri e ci spettano, sia per l’agricoltura, che per tutti gli altri settori.