Finalmente in Europa si parla dei problemi dell’Italia: disoccupazione e povertà

di MoVimento 5 Stelle Europa

Grazie al Movimento 5 Stelle in Europa finalmente si sono accorti dei problemi dell’Italia. In questo reportage a Pomigliano d’Arco, il quotidiano francese Le Figaro racconta le nostre battaglie e intervista i protagonisti dello straordinario successo alle elezioni politiche del 4 marzo: i cittadini! Ecco un estratto dell’articolo in francese. Sotto la traduzione integrale in italiano. Buona lettura.

REPORTAGE – Un mois après le scrutin qui a vu le mouvement antisystème devenir le premier parti d’Italie, l’euphorie est retombée dans la ville natale du numéro un du M5S.

De notre envoyée spéciale à Pomigliano d’Arco

En cette journée maussade, les bandierine, ces fanions tricolores de fête, sont chahutés par les rafales et la pluie dans les rues désertées de Pomigliano d’Arco. C’est là, dans cette cité industrielle de 40.000 habitants, que le 6 mars, Luigi Di Maio, le numéro un du M5S, avait lancé un triomphant: «Nous avons écrit l’Histoire», au surlendemain de l’élection qui a vu son parti remporter plus de 32 % des suffrages aux législatives. «Nous avons gagné cette élection, nous sommes les vainqueurs absolus!», avait-il ajouté, exalté, sous une nuée de ballons jaunes – la couleur du Mouvement 5 étoiles – devenu à la faveur de ce scrutin le premier parti d’Italie. Un mois plus tard, l’euphorie de cette victoire antisystème est retombée dans la ville qui se dévoile après une petite demi-heure de trajet au départ de Naples, dans les wagons éprouvés de la Circumvesuviana, la voie ferrée qui contourne le volcan enneigé.

Ici, Luigi Di Maio, qui revendique de diriger le Conseil italien, n’est pas un inconnu. Beaucoup l’appellent simplement «Giggino» et la ville a voté à 64,95 % pour lui. Huit ans plus tôt, quand le jeune Di Maio s’était présenté pour devenir conseiller …

Traduzione integrale del reportage del quotidiano Le Figaro.

In questa giornata uggiosa, le bandierine, questi stendardi tricolori a festa, sono strapazzate dalle raffiche e dalla pioggia nelle vie deserte di Pomigliano d’Arco. È là, in questa città industriale di 40.000 abitanti che il 6 marzo, Luigi Di Maio, il numero uno del M5S, aveva lanciato un trionfante: “Abbiamo scritto la storia”, all’indomani dell’elezione che ha visto il suo partito ottenere più del 32% dei suffragi alle elezioni legislative. “Abbiamo vinto le elezioni, siamo i vincitori assoluti!”, aveva aggiunto, euforico, sotto un nugolo di palloni gialli – il colore del Movimento 5 stelle – diventato grazie a questo scrutino il primo partito d’Italia. Un mese più tardi, l’euforia di questa vittoria antistema è ricaduta nella città che si affaccia dopo una mezz’oretta di tragitto da Napoli, nei vagoni provati della Circumvesuviana, la strada ferrata che aggira il vulcano innevato.

Qui, Luigi Di Maio che rivendica la Presidenza del Consiglio, non è uno sconosciuto. Molti lo chiamano semplicemente “Giggino” e in città il 64,95% ha votato per lui. Otto anni prima, quando il giovane Di Maio si era candidato per diventare consigliare comunale, non aveva raccolto che 59 voti…Persino suo padre, ha riferito in seguito, non l’aveva votato all’epoca. Eletto vicepresidente della Camera dei Deputati nel 2013 – il più giovane della storia italiana – Di Maio, 31 anni, vive ormai a Roma, ma resta un ragazzo di Pomigliano. I suoi genitori e suo fratello di 23 anni abitano ancora lì. Sua madre, Paola, insegna latino e greco al liceo, mentre suo padre, Antonio, – ex responsabile locale del Movimento sociale italiano, partito neofascista ormai disciolto – è un imprenditore.

Nei locali della chiesa San Felice, il parroco Giuseppe Gambardella, 76 anni – Don Peppino per i fedeli – ripone grande speranza nel “Movimento” e nel suo leader che ha conosciuto bene durante i suoi anni al liceo: i due uomini hanno in particolare messo in piedi un referendum contro la privatizzazione dell’acqua pubblica. “Il voto del 4 marzo resterà nella storia come una rivoluzione pacifica, un desiderio di cambiamento” spiega in maniera posata l’uomo di Chiesa. Il voto del campanile, per il candidato alla guida del Paese, ha pesato molto in queste terre di operai dove nessuno tiene in considerazione i suoi errori di grammatica e il congiuntivo approssimativo, deriso dai suoi detrattori.

Ho molta stima personale in Di Maio“, aggiunge il prete, circondato da qualche parrocchiano che annuisce al capo. “È capace di agire per cambiare la politica – confida, prima di evocare un’altra leva del voto al M5S – C’è una distanza troppo grande tra la classe politica e la vita reale. I politici vivono in palazzi lontani dalle vere persone che soffrono la crisi. E il M5S ha messo il dito nella piaga”, aggiunge riferendosi a uno dei principali cavalli di battaglia del Movimento fondato nel 2009: la lotta contro la corruzione e il “tutti a casa!” rivolto ai politici. “È stato un voto contro la vecchia nomenclatura e i suoi privilegi”, rincara Francesco Viscione, lavoratore metallurgico. “Di Maio va a lavoro in tram e il suo tenore di vita è molto simile a quello della gente qui”.

In questa area devastata dalla disoccupazione in cui gli stabilimenti Fiat contavano oltre 18.000 impiegati negli anni ’80 – contro i circa 4.000 di oggi – un’altra promessa elettorale ha fatto centro: il reddito di cittadinanza. Questo reddito mensile di cittadinanza di 780 euro (il 60% del reddito medio in Italia) è stato già sperimentato a Livorno, bastione della sinistra governato dal M5S. Ma le sue modalità e il finanziamento su scala nazionale restano poco chiari. “Pomigliano era il più grande centro industriale del sud Italia, ricorda Don Peppino. Le persone vogliono solo lavorare. Un dispositivo come questo permetterebbe di ridare dignità alle persone in attesa di un nuovo lavoro. Questo non è assistenzialismo come dicono quelli della Lega (ex Lega Nord, estrema destra)”.

Nell’ambiente operaio del gigante automobilistico, il voto al M5S si è imposto “come una evidenza assoluta”, constata Andrea Amendola, segretario generale della FIOM-Cgil (federazione metallurgica, primo sindacato del settore). “Mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato un dibattito più ampio su questo tema. Non è stato un voto di adesione, ma contro tutto il resto, l’espressione di una sfiducia, a causa di tutto quello che è successo negli ultimi anni in Italia”, aggiunge nel suo ufficio di Napoli, menzionando in particolare la “devastazione” del Jobs Act, la grande riforma strutturale di Renzi.

Attorno ai locali di Padre Gambardella, il piccolo gruppo di parrocchiani passa in rassegna i benefici di Legami di solidarietà, l’associazione di mutualità creata 3 anni fa per sopperire ai bisogni dei lavoratori poveri o senza impegno, in questa città in cui il tasso di disoccupazione è due volte più alto della media nazionale. Per loro, il suicidio di un dipendente licenziato qualche anno prima è stato uno choc, così come il fatto di vedere le manifestazioni per il lavoro scemare poco a poco. “Uno dei nostri beneficiari vive per esempio in un container senza elettricità”, spiega il prete. L’associazione gli fornisce le candele e, inoltre, paga le fatture della luce, l’affitto e la raccolta dei vestiti per circa 115 persone. “Questa associazione è un laboratorio per capire quello che sta succedendo là fuori”, assicura Maria Luango, dipendente comunale di 50 anni. “C’è una forte crisi di solidarietà”, ammonisce padre Gambardella. “Il mondo operaio sta scomparendo e la solidarietà anche. Si nota la stessa disaffezione verso i sindacati e i partiti”. Una argomentazione classica del M5S per il quale “i sindacati non sono stati all’altezza nel proteggere i giovani lavoratori precari, poiché sono stati sempre legati, di fatto, ai partiti che hanno votato le leggi che permettevano il precariato” spiega Christophe Bouillaud in una nota per la Fondazione Jean-Jaurés intitolata “La sinistra italiana all’epoca del renzismo”.

Mentre le trattative cominciano questo mercoledì per tentare di trovare un accordo di governo tra il M5S e la Lega Nord di Matteo Salvini, questi elettori militanti non vogliono troppo pensare ai compromessi possibili in caso di accordo con la Lega, invisa qui (1,49% di voti dentro il 17,73% preso dalla coalizione di centro destra). Ma Maria, che non ha votato Di Maio, riconosce una forma di apprensione. “Il M5S è nato come un partito populista. Parla alla pancia delle persone ma non ha un progetto politico né delle vere proposte, dice controcorrente rispetto al resto del piccolo gruppo. Ho paura che il M5S non si riveli molto diverso dalla Lega sui temi come l’immigrazione”.

Padre Gambardella ha fiducia nel fatto che “il M5S è l’unico strumento che possa scompaginare la situazione politica”. Ma in città, che ha già conosciuto un Presidente del Consiglio (1968) Giovanni Leone, diventato in seguito Presidente della Repubblica (1971-1978), destituito per corruzione, la fiducia nei grillini non equivale a un assegno in bianco. Con gli occhi riversati sul bloc notes sul quale ha minuziosamente ricopiato tutti i risultati elettorali in Campania, Andrea Amendola giudica che il M5S avrà in ogni caso il diritto a sbagliare perché “mai l’odio sarà tanto forte che quello verso i partiti tradizionali”. “Ma il movimento deve parlare con l’UE per arrivare a qualcosa in termini di investimento e di lavoro. Se chiude la porta all’Europa, non porterà a nulla”. Per Don Peppino una cosa è sicura: malgrado tutto l’affetto e fiducia riservata a Luigi Di Maio, “se non fa qualcosa per il lavoro e contro la disoccupazione, è tutto finito”.