Reddito di cittadinanza, se al Pd non sanno fare i conti

articolo tratto da lavoce.info

Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle dichiarazioni di Yoram Gutgeld sul reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle.

I partiti e la lotta alla povertà

Siamo ormai nel pieno della campagna elettorale e il primo fact-checking del 2018 non poteva non prendere spunto da un tema trasversale alle proposte delle diverse forze politiche, ossia quello della lotta alla povertà. Sono tre le misure principali di cui si discute: il reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle (di cui abbiamo già scritto in un fact-checking su Luigi Di Maio), il reddito di dignità proposto da Silvio Berlusconi (il cui costo per le casse pubbliche è stato stimato da Francesco Daveri e Massimo Baldini) e il reddito di inclusione ideato dal Partito democratico, che è già operativo.

Benché la lotta alla povertà sia l’obiettivo comune, le forze politiche pensano di raggiungerlo attraverso strumenti assai diversi tra loro e che inevitabilmente vengono criticati da parte degli avversari, soprattutto per i costi e le coperture.

Per esempio, Yoram Gutgeld, deputato Pd e commissario alla spending review, con una serie di tweet ha snocciolato conti piuttosto fantasiosi sul reddito di cittadinanza.

Il commissario alla spending review questa volta fa un po’ di confusione sui numeri, ma soprattutto sulla platea degli eventuali beneficiari della misura. Confusione a dir la verità comune nel Partito democratico, se perfino il suo segretario ed ex presidente del Consiglio suggerisce una spesa ancora diversa (84 miliardi), sbagliando a sua volta.

Prima di capire dove sbaglia Gutgeld, è forse utile ricapitolare brevemente il funzionamento del reddito di cittadinanza, visto che è scritto in un disegno di legge depositato, a differenza della proposta sul reddito di dignità che per il momento non è ancora chiara.

Come funziona il reddito di cittadinanza

La proposta del Movimento 5 Stelle (Ddl n. 1148/2013) prevede un trasferimento pari alla differenza tra la soglia di povertà e il reddito familiare effettivamente percepito. La misura usa l’indice di povertà monetaria individuato dall’Unione Europea nel 2014, corrispondente al 60 per cento del reddito mediano netto (in Italia 780 euro mensili, 9.360 all’anno, per un adulto single), ponderato per la composizione del nucleo familiare. In sostanza, si individuano redditi minimi per tutte le diverse composizioni familiari. Se un particolare nucleo familiare non arrivasse a quella soglia, lo stato verserebbe un contributo pari alla differenza tra i due valori (il cosiddetto poverty gap).

Secondo l’audizione dell’Istat sul Ddl, in base ai dati 2015, le famiglie beneficiarie sarebbero 2 milioni e 759 mila, per un totale di circa 8,3 milioni di persone. Il costo stimato dall’Istituto nazionale di statistica è di 14,9 miliardi. Mentre per l’Inps sarebbe di 30 miliardi (audizione del presidente Tito Boeri alla commissione Lavoro del Senato). Un’altra stima è stata data su lavoce.info da Francesco Daveri e Massimo Baldini, secondo cui le famiglie beneficiarie della misura sarebbero 4,9 milioni con un costo per lo stato di circa 29 miliardi di euro.

Vediamo allora qual è l’errore in cui è incappato Yoram Gutgeld.

Un errore di fondo

L’errore principale commesso dal commissario alla spending review è quello di considerare quale destinatario del reddito di cittadinanza il singolo individuo e non il nucleo familiare. La proposta pentastellata, però, è di integrare il reddito della famiglia (e non quello dei singoli soggetti) quando questo sia inferiore a una determinata soglia, che varia in base alla composizione del nucleo familiare.

Dal primo errore, derivano le altre inesattezze. Dal momento che l’unità rilevante è la famiglia, non si può determinare la platea dei destinatari attraverso le dichiarazioni dei redditi, che sono individuali.

Veniamo poi ai calcoli che Gutgeld ha fatto nel secondo tweet. Ha preso come platea di riferimento tutti i contribuenti con un reddito inferiore ai 10 mila euro, che sono 12,8 milioni. Perché proprio questa cifra? Pensiamo che il motivo sia che la proposta del M5S comporterebbe l’erogazione fino a 9.360 euro all’anno per un adulto single (780 euro al mese), quindi ipotizziamo un arrotondamento per eccesso a 10 mila. Ma si tratta solo di un possibile ammontare di integrazione di reddito perché le soglie variano in base a quanto percepito dalla famiglia e alla sua composizione. Quindi, è come se Gutgeld avesse ipotizzato che tutti i 12,8 milioni con reddito minore di 10 mila euro siano esclusivamente adulti single. Una volta individuati i beneficiari, ne ha moltiplicato il numero per l’integrazione media di reddito, secondo lui di 5.550 euro, di cui non conosciamo l’origine (nonostante il commissario inviti tutti alla trasparenza).

Il costo stimato da Gutgeld è quindi per forza di cose in eccesso rispetto alle altre stime, perché individua beneficiari individuali e non interi nuclei familiari.

Il verdetto

La stima di Gutgeld ha un vizio di fondo perché non riflette il reale funzionamento del reddito di cittadinanza indicato nel Ddl depositato. Un disegno di legge di cui si parla da anni e sul quale sarebbero necessarie chiarezza e trasparenza, sia da parte dei proponenti che dei detrattori. Tanto più quando i commenti sono del commissario del governo alla spending review, che dovrebbe fondare la propria credibilità sulla correttezza dei numeri, e che invece sbaglia in modo elementare la quantificazione della spesa richiesta. Perché la dichiarazione di Gutgeld non può essere altro che FALSA.