Pd-Mpd: verso il ‘tana libera tutti’

di MoVimento 5 Stelle

Occhio perché potremmo assistere a un do ut des non dichiarato nel centrosinistra (tra Pd e Mdp) che coinvolge da una parte la legge elettorale (in discussione alla Camera) e dall’altra il “tana libera tutti” contenuto nella riforma delle agenzie fiscali (che si vota al Senato).

Queste ultime rappresentano il core business degli scissionisti Bersani e D’Alema che storicamente le controllano attraverso i “Visco-boys” (uomini molto vicini all’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, bersaniano di ferro). In pratica, con la riforma si preparano a mettere il lupo a sorvegliare il gregge.

Avete presente, infatti, i dirigenti del Fisco? Quelli che esigono e riscuotono le tasse dei cittadini, che li vessano con esosi interessi, sanzioni e odiosi aggi? Coloro che ci massacrano con la vecchia Equitalia mascherata dietro le nuove insegne di Agenzia delle entrate riscossione?

Ebbene, i ministri Padoan (anche lui un tempo molto vicino a D’Alema) e Madia hanno stabilito poco prima dell’estate che alle prove concorsuali per la dirigenza delle strategiche agenzie fiscali, Entrate e Dogane in testa, potranno partecipare “coloro che abbiano riportato sentenze penali di condanna ancorché non passate in giudicato o di patteggiamento, diverse da quelle per le quali è ammesso il beneficio della sospensione condizionale della pena”.

Via libera a chi si è macchiato di reati contro il patrimonio, condotte corruttive, peculato o malversazioni di varia natura. Un premio per chi insabbia le cartelle o rallenta gli accertamenti in favore dei soliti amichetti. Ma un sostanziale via libera anche per chi è colpevole di gravi crimini diversi da quelli tipici dei colletti bianchi, la rapina ad esempio.

In tutti questi casi l’agenzia che bandisce il concorso può escludere il candidato condannato per reati contro la Pa, ma rimane una facoltà del tutto discrezionale. Mentre restano fuori solo coloro che abbiano ricevuto la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

Il passaggio citato, scovato dal MoVimento 5 Stelle, è l’articolo 2 comma 6 del decreto interministeriale del Tesoro e della Funzione pubblica del 6 giugno scorso. Testo che prepara il terreno, se l’operazione dovesse andare in porto, all’occupazione, alla grande spartizione dei partiti, al controllo clientelare delle agenzie fiscali. Strutture strategiche che nel frattempo, con la riforma in discussione al Senato e su cui si accelera in queste ultime ore, rischiano di uscire dal perimetro della Pubblica amministrazione.

La politica ha infatti deciso di distorcere le raccomandazioni arrivate nel luglio 2016 da parte di Ocse e Fmi che chiedono soltanto più autonomia per questi enti. Mentre i partiti puntano a trasformarli in un far west fatto apposta per le scorribande dei potenti di turno. La nostra Carta fondamentale e l’obbligo di bandire concorsi equi per reclutare risorse nel settore pubblico rappresentano un intralcio. Non a caso, dopo la sentenza della Corte costituzionale del marzo 2015 che dichiarò illegittime le nomine di circa 800 dirigenti delle Entrate perché stabilite senza alcun concorso, i vertici delle agenzie le hanno tentate tutte per salvare le posizioni dei funzionari che in modo surrettizio facevano le veci dei dirigenti mancanti.

Stiamo ancora aspettando che venga celebrato un vero concorso, la manovra correttiva della primavera scorsa ha di nuovo prorogato al 30 giugno 2018 sia il termine per bandirlo sia la scadenza delle deleghe assegnate provvisoriamente ai funzionari. Ma intanto, sullo sfondo, si staglia la riforma che separerebbe definitivamente le agenzie fiscali dalla Pa e che, abbinata al decreto Padoan-Madia, consentirebbe alla politica di fare quello che le pare, senza più la scocciatura di dover rispettare la Costituzione.

Anche perché si prevede che possano aumentare fino al 20% i dirigenti nominati dall’esterno per la seconda fascia e fino al 15% quelli di prima fascia. Senza dimenticare che il testo interministeriale del giugno scorso riserva il 30% dei posti dei concorsi a chi è già in organico dentro le Entrate o le Dogane e prevede che l’esperienza lavorativa interna abbia un peso prevalente rispetto ai titoli.

Insomma, mentre i dirigenti che si sono macchiati di gravi reati aspettano di incassare il premio e con loro i funzionari promossi illecitamente (che continuano a fare il bello e cattivo tempo), la politica non molla la presa su articolazioni strategiche dello Stato, la cui efficienza nel frattempo cola a picco.

Il governo conta di coprire la prossima legge di bilancio con 5,1 miliardi di recupero di evasione, ma quest’ultima sottrae allo Stato una cifra che oscilla tra i 110 e i 180 miliardi e la Corte dei conti ci racconta che in Agenzia delle entrate gli accertamenti sono calati di oltre il 6% in sei anni, mentre le indagini finanziarie sono crollate dell’85% in quattro anni. Nel frattempo, il governo Renzi ha depenalizzato i reati tributari e le sanatorie si sono susseguite a ritmo incessante (due procedure di voluntary, rottamazione delle cartelle, etc…). Non solo: è grazie a una interpellanza del M5S che abbiamo scoperto il numero “monstre” di indagati alle Entrate soprattutto per reati legati alla corruzione. Parliamo di ben 340 persone dal primo gennaio 2014 al primo settembre 2017. Tutta gente a cui, scommettiamo, la riforma per l’autonomia degli enti fiscali non potrà che far piacere.

Mentre rischiamo di consegnare definitivamente (più di quanto già non accada) ai corrotti il nostro sistema tributario, lo stesso che manda sul lastrico anche tanti cittadini onesti, si consuma quindi lo scontro politico senza quartiere all’ombra del poltronificio delle agenzie fiscali.

Gli scissionisti del duo Bersani-D’Alema si nascondono dietro grandi battaglie ideali sulla povertà, sul lavoro precario o sugli investimenti. Ma in realtà contano su ben altre leve per mettere alle corde Renzi e il giglio magico. Tra i “Visco boys” c’è tanta gente che fa riferimento all’ex direttore delle Entrate, Massimo Romano. Persino Rossella Orlandi, pur nominata nell’era Renzi, viene da quel mondo lì. E infatti il segretario Pd l’ha fatta fuori per metterci un fedelissimo della prima ora come Ernesto Maria Ruffini. Dell’area politica di provenienza del ministro Padoan abbiamo detto. E il decreto sul via libera ai condannati nei concorsi porta in primis la sua firma.

Cosa ha da dire il premier Gentiloni? Vuole farsi passare sotto il naso questo scandalo come se nulla fosse? Oppure il via libera alla riforma delle agenzie fiscali che piace a Mdp serve ad ammorbidirli in vista dell’arrivo del Rosatellum bis in Senato?