#ProgrammaSviluppoEconomico: innovazione e industria

di Eleonora Rizzuto, presidente Associazione Italiana Sviluppo Economia Circolare, AISEC

L’economia circolare è un concetto che ha origini anche piuttosto antiche. Le nostre nonne usavano riciclare tutto quello che avevano in casa. Per noi oggi come modello economico vincente per un’economia sana, per un’economia del futuro soprattutto per il nostro paese, cioè differentemente da quello che avviene nell’economia lineare a cui noi siamo tutti abituati, dal recupero delle materie prime alla produzione del prodotto, alla messa in circolazione del prodotto stesso, alla creazione di rifiuto che poi viene incenerito, si passa invece alla creazione di valore anche della parte che oggi mettiamo in rifiuto, quindi il riutilizzo dove possibile della materia prima che si è utilizzata nella produzione affinché diventi materiale secondo per una seconda vita.

Tutto questo rappresenta una rivoluzione nell’ambito proprio del ciclo produttivo e ha bisogno più che mai della risituazione del prodotto stesso in fase di design, quindi le imprese che vogliono oggi attuare un modello di economia circolare devono pensare il prodotto che producono dall’inizio, quindi quello che si chiama in terminologia tecnica il ciclo di vita di un prodotto nasce proprio dall’esigenza di disegnare, mappare, dalla risorsa al prodotto finale al rifiuto e quindi alla rimessa in funzione del materiale di scarto la vita di un prodotto. Ci crediamo, siamo interessati a far si che questo modello venga assolutamente diffuso, fatto conoscere in vari modi, assolutamente fatto conoscere attraverso i mezzi di comunicazione, i movimenti politici, le università, al livello del cittadino consumatore, che rappresenta il primo volano vero per realizzare gli obiettivi di economia circolare attraverso un acquisto consapevole, ma anche attraverso quella che è la divulgazione e la promozione del modello delle imprese.

Oggi in Italia viviamo un momento veramente interessante da questo punto di vista, perché almeno a nostro avviso c’è un pullulare di interesse, sia nella piccola, sia nella media, e sta iniziando anche nella grande impresa nei confronti del modello di economia circolare. E questo per due motivi che ci sembra importante sottolineare: il primo è un motivo che per noi che ci occupiamo di piano di sviluppo sostenibile è assolutamente rivoluzionario, finalmente riusciamo a parlare di progetti che rispondono a criteri di economicità, quindi lo sviluppo sostenibile per la prima volta con l’economia circolare risponde ad un obiettivo di risparmio di costi, sia in termini di costi di materie prime per le aziende che producono prodotti, che per il risparmio della parte che si vede meno, che conosciamo di meno, cioè un po’ anche antipatica, che è la parte finale del prodotto, quindi il rifiuto, che cosa si fa con il rifiuto prodotto. Vorremmo appunto intervenire e facilitare questo cammino nei confronti delle imprese, sia nel settore primario, che secondario e anche terziario, poi vedremo come, attraverso una serie di attività e di progettazione che le aiutano a veicolare il modello in modo assolutamente naturale e all’interno dei processi produttivi.

Il secondo settore è appunto quello della risposta del consumatore al prodotto che viene immesso da un’impresa sul mercato, quindi poi vedremo anche a livello di costi e di prezzo finale quale può essere l’impatto e l’interesse per i consumatori, ma per far questo occorre l’aiuto di pubblicità, di promozione, di divulgazione, di formazione su quello che significa oggi la differenziazione di un prodotto che vien fuori da un modello lineare rispetto a un modello circolare. Esempi ne abbiamo parecchi, in Italia abbiamo degli esempi virtuosi che possiamo anche portare avanti per replicare il modello, perché il modello ha bisogno di progetti pilota che possano poi essere replicati dove sia possibile. Nel tessile esistono diverse realtà che oggi sono per di più guidate da associazioni non profit, o Ong, che vanno proprio a intaccare i modelli produttivi di grandi brand tessili piuttosto che di società che producono tessuti che vanno poi nei mercati internazionali, e vanno a recuperare il non venduto, il non utilizzato, quello che oggi rappresenta un rifiuto che non abbiamo idea di dove vada a confluire, come venga riutilizzato.

Per la maggior parte dei casi questo viene incenerito, invece con questi primi assaggi di economia circolare il tessuto viene preso, riutilizzato e a volte viene anche donato a economie che insomma, anche al di là dei nostri perimetri territoriali, fuori dall’Italia, ad economie in sviluppo per poter creare lavoro. E questo è il terzo grande argomento che impatta l’economia circolare, cioè ci sono studi recenti sia italiani che internazionali di primissimo livello che dimostrano come l’implementazione di questo modello in effetti crei dei posti di lavoro. E questo è facilmente spiegabile, innanzitutto è un filone che ancora oggi in Italia è da sperimentare, ed è legato al mondo dei poli universitari, della ricerca, dell’innovazione. C’è bisogno di avere innovazione tecnologica perché questo esempio che ho fatto banale del tessile possa essere riprodotto in tutte le materie prime che possano diventare seconde. Oggi siamo ancora carenti di innovazione in questo senso, e dall’altro riguarda appunto il crederci, il contributo sia da parte delle imprese che lo mettano in pratica, e suggeriamo sempre con progetti a tempo, che lo pilota in maniera tale che si possa fare sviluppo economico di quello che si fa, e la presenza importante del mondo politico che incentivi tutto questo.

L’esempio fra tutti, ciò che avviene nei paesi scandinavi, ciò che avviene in Francia in certe situazioni, avere la possibilità di un incentivo fiscale ad esempio intaccando l’iva sulle imprese che vogliono fare economia circolare, questo rappresenta sicuramente una leva importante anche per i più timidi, per coloro che non hanno ancora ben chiara quale sia la portata rivoluzionaria di questo modello. Oggi le aziende, soprattutto nell’industria, che utilizzano e si avvicinano al modello lo fanno su basi volontaristiche, che però hanno dei limiti importanti, il primo è quello appunto quello del profitto. Il limite per poter avanzare progetti di questo genere mantenendo l’azienda in situazione di benessere sia come produzione che come forza lavoro oggi ancora è molto difficile. Ma cerchiamo appunto di arrivare a questo obiettivo.

La reportistica aziendale non finanziaria, che è un altro argomento su cui noi insistiamo molto, cioè la misurazione annuale di quello che l’azienda fa come indice di sostenibilità oggi ancora è carente per la parte che riguarda l’economia circolare, soprattutto sulla misurazione di indici che vanno ad intaccare le risorse utilizzate e quelle legate alla parte dello smaltimento, del non venduto, del messo al di fuori dei circuiti produttivi. E questo è un altro argomento su cui insistiamo, ecco, dobbiamo cercare di renderlo operativo. Ora c’è l’obbligatorietà anche in Italia di pubblicare i bilanci non finanziari, di sostenibilità; cerchiamo di introdurre anche due tre indici dedicati esclusivamente all’economia circolare. Un altro settore dove è importante insistere è quello della formazione scolastica sul concetto di economia circolare. Quello che si diceva all’inizio della nostra chiaccherata sulla potenza del consumatore in questo modello è naturalmente spendibile se sin dalle nuove generazioni si capisca e appunto si investa in questo tipo di mentalità.

Oggi sempre di più ascoltiamo dai nostri giovani il piacere della riparabilità, di avere degli oggetti che possano poi vivere una seconda e terza vita, e questo non avviene casualmente, ma da una cultura, sia a livello famigliare che di strutture scolastiche. Vorremmo insistere su questa parte per avere poi un consumatore che si avvicini ad un acquisto che sia responsabile, e citiamo appunto gold12, che è uno degli gold che sostengono degli open course promossi dall’Onu, quindi a cui anche l’Italia deve conformarsi. E quindi è anche un modo immediato per poter parlare di economia circolare anche sui banchi di scuola. L’economia circolare applicata sul nostro territorio è una peculiarità che in pochi paesi hanno.

L’Italia è un paese diversificato e nel bene e nel male ha bisogno di progetti che insistano in aree geografiche organizzate. Quindi è importante creare infrastrutture e reti di incontro tra aziende che producono in una determinata area geografica; faccio un esempio appunto del Brenta, dove c’è un alto tasso di originalità per quanto riguarda le calzature, dove è importante pensare alla messa in funzione di reti tra aziende in cui lo scarto di una diventi la risorsa dell’altra.