di Claudio Mario Grossi, docente di Finanza d’impresa all’Università Cattolica di Milano
Da Maastricht in poi siamo di fatto sotto un sistema di regole che si è sempre più arricchito e sempre più indurito dal punto di vista degli obblighi di bilancio e di governo dell’economia e della finanza degli stati e quindi dello stato italiano, che non hanno affatto fatto del bene all’economia, ma non solo a quella italiana, all’economia di tutti gli stati europei. Dal patto di stabilità al prossimo ingresso del fiscal compact, ciò che è stato definito stabilità e crescita e i misuratori di stabilità e crescita, devono assolutamente essere rivisti. Prendo uno spunto per capirci meglio da una concessione che ci è stata recentemente fatta dagli organi europei, dagli organismi europei dicendo che forse è il caso di avviare un’Europa a due velocità. E allora pongo un quesito: perché due velocità e non cinque e sei? E soprattutto per andare dove?
E il tema è proprio questo: gli stati non hanno le stesse caratteristiche, di bilancio e anche che derivano dalle condizioni delle loro economie. Entrate e spese sono radicalmente diverse da stato a stato e quindi se si vuole costruire un sistema di indicatori che aiuti a capire se ogni stato è in condizioni di stabilità, di equilibrio, e può permettersi ad esempio di vivere fasi di squilibrio finalizzate alla crescita e all’espansione che consenta di rientrare in certi tempi nelle medesime condizioni di equilibrio di partenza e forse anche migliori, questo lo si può fare solo con due strategie di fondo: la prima è raggruppare stati per caratteristiche omogenee, e allora le velocità non sono due, ma forse sono quattro o cinque; il bilancio dello stato dei paesi scandinavi per la natura delle loro entrate e delle loro spese, per le loro stesse dimensioni sociali non sono gli stessi bilanci e le stesse strutture di governo economico e finanziario che può avere l’Italia, la Spagna o la Grecia.
E quindi costruire innanzitutto gruppi di pari, cioè stati omogenei, e a quel punto stabilire non solo la velocità a cui andare verso le mete dei parametri di equilibrio internazionali, europei, ma quali sono le mete da raggiungere, che non possono necessariamente essere il 3% di rapporto deficit/Pil e il 60% del rapporto debito/Pil, perché ogni stato ha caratteristiche, come le imprese, diverse, e le performance che può ottenere possono ed è comprensibile che siano diverse, e non per questo non sia ognuno di questi paesi, o di gruppi di questi paesi, in condizioni di equilibrio. Che significa fondamentalmente fare in modo che, ad esempio, i tassi di interesse sui loro debiti non producano spread eccessivi e percezioni di rischio squilibrate tra un paese e l’altro. Ragione per la quale è assolutamente corretto che in una unione europea, quando ci si è, si miri a governare il proprio stato, facendo percepire al resto della comunità che il governo è un governo sano, nei numeri e nei bilanci, ed è in condizioni di equilibrio.
Ma le condizioni e i parametri di equilibrio dell’Italia non potranno mai essere gli stessi dei paesi scandinavi, della Germania e di paesi che hanno strutture radicalmente diverse, delle loro economie e anche della loro finanza. Quindi per arrivare ad una reale situazione di condivisione e anche di armonia nella definizione dei sacrifici, ma soprattutto delle strategie di crescita di ogni paese, è necessario, userei questo termine per capirci meglio, personalizzare i parametri di riferimento, come si fa in economia; nell’economia delle imprese industriali, delle imprese private, nessuno mira ai medesimi parametri di performance: un’impresa che fa minuterie metalliche non è la stessa impresa che fa automobili, e non potrà avere gli stessi parametri. Fuor di metafora, ogni stato dovrà essere misurato sulle sue reali condizioni di performance possibili, e mirare a quelle, quindi target diversi e velocità diverse, per diversi gruppi di paesi. Credo che trovare l’armonia e la condivisione su questo, faccia fare un enorme salto di qualità anche al clima di collaborazione europeo. Questo è ciò a cui dobbiamo mirare.