Vitalizi ai privilegiati, precariato per i giovani

di Luigi Di Maio

Un governo serio investe nel futuro, liberando risorse preziose dagli sprechi e dai privilegi del passato. L’esatto opposto di quanto hanno fatto i governi a maggioranza Pd, da Letta a Gentiloni, passando per i tre lunghi anni di Renzi.

Basti un esempio su tutti: mentre i giovani vengono lasciati al loro destino, in un vortice di precarietà e disoccupazione, il bilancio pubblico continua ad erogare vitalizi faraonici agli ex parlamentari. Come denunciato a più riprese dal MoVimento 5 Stelle, i vitalizi vengono percepiti ancora oggi da 2.600 ex parlamentari, costano alle casse pubbliche 215 milioni di euro l’anno e ci sono circa 200 ex politici che prendono anche due o tre vitalizi. È il simbolo di un lungo elenco di ingiustizie che nessun governo, tantomeno quello del presunto “rottamatore”, ha mai voluto risolvere.

La profonda crisi dei giovani italiani non è più l’opinione di una singola forza politica, ma una verità consolidata da studi e indagini statistiche di istituzioni politiche di certo non vicine al MoVimento 5 Stelle. L’ultimo caso è l’indagine sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde), pubblicata due giorni fa dalla Commissione Europea.

Il dato più impressionante è quello che riguarda i cosiddetti “neet”, cioè i giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano, non lavorano, non cercano un lavoro e non si formano. L’Italia è prima per distacco in questa tragica classifica, con il 19,9% di giovani in queste condizioni (1 su 5) e supera anche Grecia, Spagna e Bulgaria. A completare il quadro è il dato più classico sulla disoccupazione giovanile, con un 37,8% di giovani disoccupati che ci pone in terza posizione, dietro a Grecia e Spagna.

Ma non soffrono solo i giovani senza lavoro. Il vero macigno sul nostro futuro è la precarietà dilagante che condanna i giovani lavoratori ad un’esistenza di insicurezza e infelicità. Sentiamo spesso Tito Boeri lamentare le enormi difficoltà delle casse dell’Inps e gli esponenti del Partito Democratico sostenere che in Italia non si fanno più figli e quindi abbiamo bisogno come il pane di migranti che ci paghino le pensioni del futuro. È un ragionamento criminale, che finge di non vedere quale sia il problema di fondo. I giovani italiani non fanno più figli perché o sono disoccupati o hanno un lavoro e un salario che li costringono a vivere alla giornata. Con che ipocrisia si possono importare centinaia di migliaia di disperati mentre milioni di italiani, per lo più giovani, non hanno di che vivere? È una situazione insostenibile sia per gli italiani che per i migranti, illusi di trovare un benessere che non esiste più.

La ricerca della Commissione europea conferma le impressioni di chi vive nel Paese reale. Il 15% dei giovani che riescono a trovare un lavoro vengono assunti con contratti atipici. Ma il dato non dice tutto. Il Jobs Act di Renzi ha trasformato il vecchio contratto a tempo indeterminato in un contratto a tutele crescenti che nei primi 3 anni consente agli imprenditori di usare e gettare i lavoratori, ai quali è stato tolto ancora da Renzi il paracadute dell’articolo 18. Di fatto, quasi la totalità dei nuovi occupati giovani, anche laureati, è nelle stesse condizioni di semi-schiavitù.
Sul punto va sottolineato un altro dato rilevante: in media i giovani italiani under 30 guadagnano il 60% in meno di chi ha più di 60 anni. Non a caso le madri italiane che decidono comunque di avere figli, sono quelle con l’età media più alta in Europa alla nascita del loro primogenito (31-32 anni).

È un circolo vizioso che si può spezzare solo tornando a investire nei settori strategici e innovativi, tra i quali figura anche la scuola pubblica e la ricerca. Serve poi un sostegno al reddito, non assistenziale, ma attivo, che accompagni giovani e meno giovani nel reinserimento lavorativo. In poche parole, investimenti, reddito di cittadinanza, stabilità del posto di lavoro, con l’abrogazione del Jobs Act e di tutte le riforme del lavoro precedenti all’insegna della precarietà.

Questa è la ricetta di una politica che pensa al futuro, altro che vitalizi.