#ProgrammaUniversità: la governance dell’Università

Il sistema di governo di cui si dota un ateneo non definisce soltanto la sua gerarchia e l’organigramma, ma determina anche il come e quali scelte e politiche che quell’ateneo adotterà. Per questo è fondamentale comprendere e decidere quale sia il sistema di governance ottimale per il nostro Paese. Se sia preferibile un sistema verticistico e fortemente piramidale come quello attuale, uno più partecipato e “orizzontale”, oppure se tra questi due modelli sia più funzionale una soluzione intermedia.

di Marco Rondina

La Legge 240 del 2010, la cosiddetta riforma Gelmini – dal nome dell’allora ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca – ha modificato molti aspetti funzionali ed organizzativi dei nostri atenei. Uno degli passaggi principali di tale cambiamento ha riguardato la governance delle università statali: composizione durata, funzionamento e modalità di disegnazione dei membri dei principali organi di governo. Vale a dire il rettore, il direttore generale, il consiglio di amministrazione e il senato accademico. A seguito delle modifiche apportate dalla Legge 240, il rettore viene sostanzialmente eletto tra soli i professori ordinari per un mandato di sei anni non rinnovabile ed è diventato il vero organo propulsore delle attività didattico scientifiche e dello sviluppo strategico dell’ateneo. Il rettore, infatti, oggi ha anche la funzione di proposta nella scelta del Direttore Generale ed ha potere di intervento rispetto al bilancio e alla programmazione triennale. Oggi dunque il rettore quindi ha un potere elevato e spesso privo di efficaci controlli e bilanciamenti.

Analizzando lo stato di salute del nostro sistema universitario a distanza di sette anni dall’entrata in vigore della legge Gelini, non si può dire che sia delle migliori. Il numero di studenti è ancora il più basso d’Europa, quello di docenti in forte contrazione, anche a causa del blocco del turnover che impedisce un adeguato ricambio generazionale, la didattica stenta ad innovarsi, il rapporto studenti-docenti continua a peggiorare. Queste criticità sono evidenti soprattutto nelle università del Meridione, quelle più penalizzate dal sistema di distribuzione delle scarse risorse a disposizione. In questi ultimi anni abbiamo infatti assistito a un pesante definanziamento del sistema universitario italiano: i fondi per il diritto allo studio non sono sufficienti e, mentre lo Stato procedeva alla riduzione delle risorse, la spending review ha contribuito a liberalizzare la tassazione studentesca
L’accentramento di poteri al vertice degli atenei, oltre ad aver tutt’altro che contribuito al miglioramento del sistema, ha determinato una condotta sempre più autoritaria all’interno delle università mentre altrove ci sono realtà che si sono orientate verso sistemi più aperti e partecipati.

Sarebbe quindi auspicabile una nuova e più moderna concezione dell’università, che assicuri una maggiore partecipazione ai processi decisionali da parte di tutte le componenti dell’ateneo. Un modello nel quale il rettore non sia più espressione soltanto della comunità scientifica, ma dell’intera comunità universitaria, e che, dunque, venga eletto anche dal personale tecnico-amministrativo e dagli studenti. Il rettore in caso un mandato più breve, ma rinnovabile, per una sola volta. Il senato accademico e i l consiglio di amministrazione saranno organi pienamente elettivi e la loro composizione sarà rappresentativa dell’intera comunità universitaria. Infine, sarebbe prevista la presenza di un organo rappresentativo permanente della popolazione studentesca.

A questi due modelli se ne aggiunge un terzo: quello vigente prima del 2010. Questo prevedeva un minor accentramento dei poteri in capo al rettore e i principali organi di rappresentanza delle università avevano una composizione maggiormente rappresentativa rispetto alla Riforma Gelmini. Non veniva però contemplato alcun limite di mandato, né per il rettore né per le altre cariche. Inoltre, la distribuzione delle competenze all’interno del senato accademico erano diverse, ma meno definite, rispetto a quanto previsto dalla Legge 240.