#ProgrammaTelecomunicazioni: La banda ultra larga

Il tema della diffusione della banda larga è un tema chiave per il nostro Paese, perché il digital divide è uno dei principali problemi dell’Italia. È un problema per lo sviluppo economico, ma anche per quello culturale e sociale. Il tema che affrontiamo è quello dello sviluppo della connessione da banda larga e ultra-larga in tutte le aree del Paese.

di Maurizio Gotta, esperto ICT e co-fondatore Anti-Digital-Divide

Innanzi tutto è importante chiarire cosa sono la banda larga e la banda ultra larga. La banda larga è una connessione internet fissa o mobile con una velocità superiore ai 2 Mbit al secondo, e fino a qualche decina di Mbit al secondo, per esempio l’ADSL e la connessione mobile 3G. La banda ultralarga invece è una connessione con velocità tipicamente dai 30-40 Mbit in su, e viene trasportata sulle reti di nuova generazione: fibra ottica per il fisso e 4G e 5G e loro evoluzioni per la rete mobile. Uno degli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea è quello di assicurare la diffusione capillare e l’accesso a internet ad altissima velocità per i cittadini, offrendo entro il 2020 l’accesso a Internet a velocità pari o superiore a 30 Mbit al secondo per tutti. Un altro obiettivo ambizioso è lavorare perché entro la stessa data almeno il 50% delle famiglie sia su internet con connessione ad almeno 100 megabit al secondo. Nel Regno Unito, per raggiungere un obiettivo analogo, la rete di proprietà di British Telecom – ex operatore nazionale – è stata scorporata dall’operatore storico ed è una società pubblica chiamata Open Reach, che opera anche nelle zone a fallimento di mercato, ovvero dove il puro ritorno economico non giustificherebbe gli investimenti privati.

La situazione italiana e che cosa ha fatto il governo: il 3 marzo 2015 il governo italiano ha approvato la strategia italiana per la banda ultralarga, con la quale si intende coprire entro il 2020 l’85% della popolazione con infrastrutture di rete in grado di veicolare servizi a velocità pari e superiori a 100 Mbit al secondo, garantendo al contempo al 100% dei cittadini l’accesso alla rete internet ad almeno 30 Mbit al secondo. Allo scopo di raggiungere tali obiettivi, il piano nazionale per la banda ultralarga poggia su un mix di investimenti pubblici e privati. In particolare si prevede l’investimento di circa 7 miliardi di euro di risorse pubbliche entro il 2020, che dovrebbe comportare l’impegno di un importo simile da parte degli operatori privati. In Italia, da quando Telecom Italia è stata privatizzata, quasi tutta la rete è di soggetti privati, quindi di proprietà dei vari operatori. Diciamo “quasi” perché non è possibile conoscere con precisione il dato relativo alle varie proprietà, non si sa con esattezza quanta fibra oramai presente in Italia sia di proprietà privata e quanta di proprietà pubblica, neanche addirittura quanta infrastruttura spenta ma già posata ci sia. Anche per questa ragione abbiamo presentato un emendamento per realizzare un catasto delle infrastrutture di telecomunicazione, progetto che il governo sta realizzando proprio in questi mesi.

In questi mesi il governo italiano, per rispondere ai dettami dell’Europa, ha lanciato un piano per la banda ultralarga dividendo l’Italia in zone. Di particolare interesse è la zona cosiddetta “a fallimento di mercato”, una somma di aree per le quali solo l’intervento pubblico può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività a più di 30 Mbit. Parliamo di circa 19 milioni di persone e 5500 comuni, per un investimento pari a oltre 4 miliardi di euro. Per raggiungere questo scopo a dicembre è stata creata una nuova azienda: Enel e Cassa Depositi hanno acquistato Metroweb ed è nata Open Fiber, in cui sono soci al 50% appunto la Cdp che è un’entità pubblica, ed Enel nel cui capitale è presente al 22% lo Stato. Open Fiber in pratica sta partecipando e parteciperà ai bandi per portare la fibra in queste aree a fallimento di mercato, ma sarà un operatore all’ingrosso, per capirci in pratica offrirà l’accesso solo agli operatori di mercato interessati: Tiscali, Vodafone, Wind e quanti altri saranno coloro che rivenderanno il servizio al cliente finale. Proprio in questo contesto si pone la nostra domanda iniziale: visto che stiamo investendo quasi 5 miliardi di euro di denaro pubblico per costruire la rete, rendiamo Open Fiber un’azienda completamente pubblica, e ove ci fossero le condizioni creiamo una società che si occupi di tutta l’infrastruttura.

Questa direzione ha senso economicamente e giuridicamente solo in queste aree a fallimento di mercato, che comprendono dunque 19 milioni di cittadini italiani. Le altre aree sono già servite con una buona scelta di tecnologie diverse dagli operatori privati, e al momento la cifra necessaria per riscattare diverse infrastrutture e portarle sotto controllo pubblico è sicuramente fuori dalla portata delle finanze del nostro Paese.