#ProgrammaGiustizia: Magistratura e Politica, separazione delle carriere

La separazione dei poteri è alla base di ogni democrazia moderna. Per questo è fondamentale che il confine che separa la politica e la magistratura sia netto e perfettamente delineato. Un magistrato è certamente libero di dedicarsi alla politica e di essere eletto all’interno delle istituzioni ma, dopo la parentesi politica, può tornare in magistratura giudicante o requirente? Il quesito che vi sottoporremo vi farà scegliere tra due opzioni: quel magistrato non può tornare oppure può tornare dopo un congruo termine di almeno 5 anni.

di Umberto Monti, Sostituto Procuratore della Repubblica

I rapporti politica magistratura sono estremamente delicati e sono disegnati anche a livello costituzionale come una autonomia e indipendenza della magistratura dalla politica.

Quindi le regole che consentono il passaggio di un magistrato alla politica e viceversa, devono essere particolarmente trasparenti e chiare, per garantire sia la politica da un’immagine di possibile strumentalizzazione del magistrato, e sia la magistratura da qualsiasi dubbio sulla sua imparzialità e indipendenza. Perché altrimenti ci possono essere delle opacità e delle criticità che sono arrivate abbastanza in evidenza.

Il tema riguarda tre aspetti fondamentali. L’accesso, quindi l’accettazione di una candidatura da parte del magistrato. L’accettazione di una designazione, che è cosa diversa perché una candidatura comunque passa attraverso un elettorato, un voto, invece la designazione a ministro, assessore regionale, provinciale, comunale è una designazione politica. Quindi l’accettazione di questa destinazione. Cosa succede durante l’espletamento del mandato. E poi il tema molto delicato del rientro dall’esperienza politica, perché si deve evitare che il rientro possa comportare un appannamento dell’imparzialità del magistrato, possa sembrare un premio, possa portare a strumentalizzazioni e a erodere in qualche modo la credibilità sia della magistratura sia della politica.

Quindi è molto importante farle queste regole, e in effetti c’è un vuoto normativo a riguardo, che va sicuramente riempito, e che la magistratura ha chiesto che venisse riempito.

Come buon senso, e come peraltro previsto dalla Costituzione, non si può pensare di vietare a un magistrato di avere un incarico politico o di creargli ostacoli eccessivi che comportino una sorta di divieto. Perché il magistrato può portare alla politica un contributo di trasparenza, un’attenzione, una sensibilità alla legalità, una sensibilità tecnicamente qualificata per come vanno fatte le leggi, guardando ex-post come le leggi vengono applicate e quali criticità ci sono.

Quindi impedirlo sarebbe il contrario al buon senso, perché lo si impedisce semmai a persone che hanno precedenti penali o che portano degli interessi non trasparenti, non alla categoria dei magistrati. D’altra parte c’è la Costituzione che prevede l’accesso alla politica per ogni cittadino, anche quindi i magistrati, e prevede anche la conservazione del posto.

Detto questo l’attuale situazione è normativamente carente e c’è una legge in Parlamento che è in discussione. Questa legge, secondo tutta la magistratura associata, risolve le criticità che riguardano l’accesso alla politica da parte del magistrato cioè l’accettazione delle candidature e l’accettazione di incarichi politici e cosa succede durante il mandato.

Attualmente, tranne alcune regole che il Csm si è dato per mettere delle regole dal punto di vista temporale e territoriale per queste fasi, la legge prevede solo delle regole chiare e nette per le candidature al Parlamento, quindi Camera e Senato. In questo caso c’è l’obbligo di essere in aspettativa quando si accetta la candidatura, e non ci si può candidare nella stessa circoscrizione dove si è esercitato, per un certo periodo di tempo, l’attività giudiziaria. E durante il mandato c’è l’obbligo per il magistrato che viene eletto di mettersi in aspettativa, cioè di andare fuori ruolo e non esercitare più funzioni. Questo è risolto già dall’attuale legge.

Dove la legge invece non risolve il problema è la fase di rientro che si pone in quattro diversi aspetti:

– il rientro del magistrato che si è candidato e non è stato eletto;
– il rientro per il magistrato eletto;
– il rientro per il magistrato designato per un incarico politico o amministrativo;
– il rientro per il magistrato che è stato designato per un incarico di stretta collaborazione con il potere politico o amministrativo o nelle cosiddette autorità di indipendenza.

L’attuale normativa è carente perché consente comunque il ritorno, seppur con ostacoli e con dei limiti di tipo temporale e di tipo locale o territoriale, il rientro all’esercizio di funzioni giudiziarie.

La magistratura associata, nella sua maggioranza, ha ritenuto in un documento anche recentemente approvato, che se si ha un’esperienza politica, (quindi non il candidato non eletto) il candidato eletto o il magistrato designato all’incarico politico di ministro, assessore, non possa più esercitare funzioni giudiziarie.

Una separazione netta che non è un ostacolo ma è un mettere un accento sulla necessità di garantire trasparenza, alla politica e alla magistratura.

Residualmente si può anche pensare a un periodo di tempo congruo, entro il quale il magistrato non possa esercitare funzioni giudiziarie. Questo secondo aspetto potrebbe essere valutato, per esempio, in relazione al candidato non eletto. Per il candidato non eletto si potrebbe pensare ad un periodo limitato e congruo di non esercizio di funzioni giudiziarie, per poi tornare a fare funzioni giudiziarie, evidentemente non nella circoscrizione nella quale si è candidato. Questo potrebbe risolvere seppure in maniera netta, le criticità e le possibili opacità che ci sono.

L’attuale legge che è in discussione in Parlamento non le risolve, perché prevede un rientro alle funzioni giudiziarie che potrebbe essere portatore di criticità varie.

Ultimissima cosa riguarda invece i magistrati che sono destinati ad incarichi di alta collaborazione, che sono le autorità indipendenti, o stretta collaborazione del ministro, o del Parlamento, del Senato, delle commissioni di inchiesta.

In questi casi attualmente non c’è alcuna regola per il rientro. Eppure si tratta di persone che vengono scelte della politica e poi tornano a fare i magistrati.

La legge in discussione prevede che per un anno questi magistrati possano rientrare nelle funzioni giudiziarie ma non possano essere nominati ad incarichi direttivi e semidirettivi, per non dare l’impressione che ci sia un premio.

Io credo che si potrebbe pensare a una soluzione, che mi sembra congrua, (attualmente non ce n’è, ma c’è solo il Csm che detta le regole) di estendere questo periodo, per questa tipologia di incarichi, forse a uno, due, tre anni per i quali non è possibile avere un incarico direttivo o semidirettivo.