#ProgrammaSalute: Formazione lavoro e medici specialisti

L’assistenza sanitaria di base e specialistica per i cittadini rischia di non essere assicurata perché il progressivo ed elevato pensionamento dei medici non è compensato da un numero adeguato di medici specialisti in formazione. I provvedimenti del governo sul blocco del turnover per esigenze di contenimento della spesa pubblica hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Anche il numero di medici laureati che non hanno la possibilità di accedere alla formazione post-laurea e, conseguentemente, al mondo del lavoro è in costante aumento. Discutiamo come ridurre il problema della carenza dei medici attraverso le misure proposte.

di Enrico Reginato, Presidente della Federazione Europea dei Medici Dipendenti (FEMS)

La situazione europea per i medici è questa: noi abbiamo la libera circolazione di persone e merci ma l’autonomia nell’organizzazione dei servizi sanitari nazionali è totale, per cui abbiamo delle grosse disparità, lavorative e di funzionamento dei servizi sanitari e, se la mettiamo assieme alla carenza del 13% di medici e infermieri prevista per il 2020 (però non è che comincerà nel 2020, stiamo arrivando a quel punto lì), questo porta di fatto a una consistente migrazione di medici e di personale infermieristico da Paesi dove le condizioni di lavoro sono peggiori verso Paesi dove le condizioni di lavoro sono migliori.
In Italia noi abbiamo questa situazione: il 70% dei medici ospedalieri attualmente in servizio è nato tra il 1950 e il 1960.

Sono 70000 medici che in dieci anni usciranno. Per entrare a lavorare in un ospedale è necessario essere già specialisti in Italia, non solo in Italia, ma in Italia è molto stretta questa regola, ma la specializzazione si prende esclusivamente nelle scuole universitarie cioè, a differenza di quel che succedeva in passato, il laureato in medicina deve fare un concorso per entrare in una scuola di specializzazione universitaria con un problema: che il numero previsto di laureati necessari per l’Italia è attualmente attorno ai 10000, anche se si sta discutendo di ridurne il numero, a fronte comunque del 13% di carenza europea non so quanto sia centrato il problema, è un problema da studiare, però c’è un collo di bottiglia che ammette non più di 6000 medici laureati alle scuole di specializzazione.

Quindi si crea un duplice problema: ogni anno 4000 laureati in medicina non possono specializzarsi, quindi non hanno prospettive di lavoro in Italia perché se non sei specialista non puoi, neanche nel privato. E questo in più comporta che questo numero di medici che avanza ogni anno va crescendo di 4000 ogni anno e il numero di specialisti che noi avremo a disposizione per gli ospedali è, nei prossimi 10 anni, marcatamente inferiore al numero di specialisti che, per motivi di età, andrà fuori dal sistema. Quindi è un problema che è da risolvere.

Potremmo arrivare al paradosso che per poter riempire le piante organiche italiane dovremo ricorrere a specialisti stranieri, mentre un grosso numero di medici italiani, laureati, non sono specialisti e, se vogliono fare il medico, dovranno andarsi a specializzare all’estero e magari, in molti casi, come già succede ora, rimanerci. Quindi noi perdiamo i nostri studenti che sono costati all’Italia per la formazione e vanno a lavorare in Paesi esteri che non hanno speso nulla per la loro formazione, si trovano dei laureati belli e fatti e anche di buona qualità, devo dire. Questo per quanto riguarda il numero. Il problema riguarda anche la qualità perché quando hanno deciso di portare il numero degli specializzati, circa negli ultimi due o tre anni, da 5000 a 6000 l’anno, non è che hanno potenziato la ricettività delle scuole, hanno semplicemente aumentato il numero di medici che stanno lì in queste piccole scuole. Ora, l’Università grossomodo copre il 5% dei letti nazionali. I medici specializzandi, anno per anno, sono complessivamente 25000, che sono pari a un quarto di tutta la rete medici in tutta la rete ospedaliera, quindi è un grossissimo numero. Pensare che chiusi nelle Università questi medici possano avere la possibilità di imparare veramente il mestiere è un’illusione.

Del resto, mentre in tutti i Paesi europei per lo specialista che esce garantiscono un’autonomia professionale, i nostri specialisti, questa autonomia professionale non ce l’hanno, specialmente nelle specialità dove c’è da usare le mani, quindi le chirurgie, l’anestesia, la cardiologia interventista, la radiologia interventista. Quindi abbiamo un problema, non solo di numero ma anche di qualità di specialisti che vengono immessi nel sistema.

In sintesi i problemi sono tre: il dove, il come e la verifica e il controllo. Il dove, l’ho detto, tutti quanti gli ospedali italiani devono far parte di una rete di ospedali di insegnamento. L’ospedale più piccolo con meno casistica farà la sua parte per la casistica che ha. Va organizzato in modo che lo specializzando possa ruotare per alcuni periodi in diverse strutture ospedaliere, la qual cosa peraltro è di forte utilità anche per chi li riceve questi specializzandi, perché non sono degli incapaci, è gente con la laurea in Medicina che nel giro di pochi mesi è già in grado di essere produttiva quindi, con la carenza di personale, sarebbe anche incentivata a lavorare.

Il come farlo: tutti quanti dovrebbero essere considerati in una rete di ospedali di insegnamento, poi se l’Università vuol prendersi carico della messa in rete organica di tutte le strutture che ci sono sul territorio regionale, perché noi abbiamo la sanità divisa per regioni, e quindi facciano questi programmi per assegnare gli specializzandi nelle strutture e, la cosa che alla fine diventa la più importante perché, quando noi abbiamo davanti un sistema complesso, uno dei punti, e quello della Sanità è sicuramente un sistema molto complesso, uno dei punti è l’analisi dei bisogni, quindi noi dobbiamo essere in grado realmente di capire quale sarà il bisogno prospettico a sette, otto, dieci anni di specialisti di determinate specialità e, più in generale, di quanti laureati ci sarà bisogno, quindi bisogna prima prevedere e studiare il numero dei laureati che usciranno dalle Università.

Tutti questi laureati devono essere messi in condizione di entrare in una specialità, possibilmente di loro scelta, perché non si può pensare di prendere uno che ha passione per fare il chirurgo e gli si dice “vabbè è rimasto solo un posto da dermatologo” o viceversa uno che vuol fare il pediatra, gli si dice “no, c’è solo il posto da neurochirurgo” perché ci sono anche delle tendenze personali. Quindi la previsione delle necessità è un altro degli aspetti che vanno considerati.