#ProgrammaAmbiente – Trivellazioni e sottosuolo

Le attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi mettono a repentaglio l’integrità di aree di particolare pregio paesaggistico e naturalistico e le numerose attività economiche legate al turismo e alla pesca. Le operazioni di stoccaggio di gas, spesso concentrate in zone ad alta densità abitativa, costituiscono un serio pericolo per l’inquinamento delle falde acquifere.
Nel quesito vi chiederemo di esprimervi sul ruolo dello Stato, visto che nella situazione attuale, e nella migliore delle ipotesi, si limita a controllare che le richieste di sfruttamento del sottosuolo, in terra e in mare, da parte delle aziende rispettino le norme e la burocrazia. Ne valuta l’impatto ambientale evitando di esprimersi sulla questione della pianificazione o l’opportunità per il Paese, sul rischio di stimolare la filiera fossile e l’aumento delle emissioni climalteranti.

di Franco Ortani, Professore ordinario di Geologia (Università di Napoli)

Parliamo di trivellazioni, o meglio delle perforazioni che l’uomo esegue nel sottosuolo attraverso potenti sonde. sono buchi verticali che solitamente non causano problemi, fatti con dovizia, il fatto più serio è che cosa si vuole fare dopo queste perforazioni, cioè quali attività si possono attivare con i buchi che l’uomo ha fatto nel sottosuolo.

Ad esempio si può fare un impianto di stoccaggio di metano, cioè praticamente riempire un giacimento esaurito di metano di nuovo con il gas importato: durante l’estate serve poco metano, si pomperebbe questo gas nel sottosuolo per riempire il vecchio giacimento, per poi estrarre lo stesso metano nel periodo invernale. quale può essere il problema? che è un intervento di tipo sperimentale, cioè la natura non ha mai sopportato che nello stesso giacimento avvenga il riempimento e poi lo svuotamento a distanza di 6 mesi. faccio un esempio: perché si formasse un giacimento di metano sono occorsi centinaia e centinaia di migliaia di anni, perché il metano ha dovuto formarsi e poi dopo fluire in quella che è diventata una trappola, cioè il giacimento. in varie decine di anni questo giacimento è stato esaurito mediante pompaggio, punto.

Invece adesso con il pompaggio e l’estrazione del metano, per due volte l’anno si costringerebbe i sottosuolo a gonfiarsi un poco e poi ad abbassarsi. questo il sottosuolo non l’ha mai sperimentato, se questa sperimentazione avviene in zona desertica non succede niente, nessuno si fa male, quando invece si vanno a realizzare impianti di stoccaggio sotto ai centri abitati, senza una regolamentazione di quello che può accadere dopo un eventuale incidente, ecco, è un rischio che si può evitare, anzi si deve evitare.

Un altro problema è ad esempio le perforazioni per attivare centrali geotermoelettriche come quelle che si vogliono realizzare nei Campi Flegrei, oppure ad Ischia. sono centrali che prevedono l’estrazione di fluidi caldi e poi il ripompaggio nello stesso giacimento di questi fluidi caldi a pressione. dobbiamo fare una premessa: che la conoscenza del sottosuolo che è interessato da queste attività non è mai così perfetta che ci possa dire esattamente quello che può accadere. c’è poi il problema molto serio che noi stiamo vivendo anche nei campi flegrei e a ischia, che ci vuole una struttura al di sopra delle parti che trasparentemente sia in grado di informare quali sono i rischi che si possono indurre, specie una struttura che abbia il massimo di fiducia da parte dei cittadini.

Quando noi vediamo che nei progetti di realizzazione di centrale compare l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia nella figura del suo direttore dell’Osservatorio Vesuviano, può sorgere un problema: ma se INGV partecipa al progetto, come possiamo essere certi e sicuri che trasparentemente veniamo informati di tutto quello che succede? se si possono evitare questi conflitti è molto meglio, anzi si devono evitare.

Un problema che riguarda anche le concessioni già in uso, ci sono concessioni che sono state elargite tempo fa. un esempio tipico, anche per l’attualità di quello che è accaduto all’inizio del 2017 in Val d’Agri, con lo sversamento di petrolio dal centro oli cova di Viggiano che è un impianto soggetto alla direttiva Seveso, quindi dovrebbe essere un impianto più che sicuro, in zona sismica massima dove nel 1857 si registrò proprio in quella zona il decimo/undicesimo grado. quindi non è un impianto delicato messo in un deserto, è un impianto delicato messo 2 km a monte di un bacino artificiale, il Pertusillo, che accumula 155 milioni di metri cubi di acqua, quindi dovremmo avere tutte le garanzie della sicurezza di questo impianto. quali problemi ci sono, a parte gli incidenti accaduti? che dalla lavorazione dal Centro Oli del petrolio che affluisce dai pozzi, la parte di acqua di strato diciamo così, che non è petrolio ma è sporca di petrolio, può essere smaltita in depuratore oppure la legge consente -a determinate condizioni- di pomparla in un pozzo e rimetterla nel sottosuolo a 4000 metri di profondità nel caso della Val d’Agri. questo contagio provoca sismicità, è stata accertata, verificata e così via.

Col raddoppio previsto delle installazioni in Val d’Agri, della concessione Val d’Agri, Eni ha chiesto l’autorizzazione per usare un altro pozzo abbandonato, per usarlo come reiniettore, però sempre attraverso le faglie che hanno provocato il terremoto nel 1857. allora teniamo una struttura che ha faglie attive che hanno causato un terremoto di magnitudo 7, oltre 10.000 vittime, con un pozzo di reineizione che già inietta nel sottosuolo vicino a queste faglie, un altro pozzo di reiniezione che dovrebbe essere usato sempre attraverso queste faglie, ecco ma vogliamo andare a cercare i guai?

Cioè se lì ci sono le faglie attive, usiamo pozzi di reiniezione distanti da queste faglie. La concessione c’è, non significa bloccare l’attività nella concessione ma portarla avanti nella sicurezza di tutti i cittadini, dell’ambiente. questo non significa andare contro i lavoratori delle oil and gas, che lavorano nel settore, ma di chiamare una maggiore attenzione al rispetto delle leggi per evitare che si creano incidenti, e poi magari si determinano problemi.

Questi sono tra i principali problemi, se poi vogliamo toccare qualcosa circa quello che succede in mare, abbiamo ad esempio il Golfo di Taranto che è quasi saturo di istanze di ricerca per attività petrolifere. sappiamo che tutte le coste del golfo di Taranto, da quelle della Puglia e della Basilicata e della Calabria, sono sede di attività turistiche dove l’aspetto socio-economico da anni è consolidato sulla valorizzazione della costa, del mare. la conformazione a ferro di cavallo del Golfo di Taranto, e i venti che spirano in prevalenza, evidenziano che qualsiasi dispersione di fluidi sul mare, verrebbero trasportate dai venti inesorabilmente o verso la Puglia o la Basilicata oppure la Calabria. Ecco, vale la pena mettere a rischio un’attività consolidata basata sul mare, che è destinata ad aumentare e migliorare, per una estrazione di 10, 15, 20 anni solamente? queste valutazioni devono essere attentamente fatte.

Ci sono problemi lungo la costa adriatica, dove già da decine di anni avvengono estrazioni di gas, dove è noto che questi fenomeni determinano una lieve subsidenza, la quale si va a sommare alla subsidenza causata dall’ estrazione dell’acqua per usi vari. si dice, se ormai ci sono i problemi, se ne estraiamo un altro poco non fa niente. un momento: bastano anche 5-10 cm in più, con i problemi anche del livello marino che si sta leggermente sollevando, per determinare anche qui un impatto fortissimo. abbiamo visto la mareggiata di un anno fa nella zona romagnola, ad esempio, dove il mare con il moto ondoso è arrivato in mezzo al centro abitato.

C’è un aspetto importantissimo che si sta verificando per la prima volta nel settore delle ricerche di attività petrolifere, che queste attività petrolifere si vogliono estendere sui bacini idrogeologici che ci alimentano di acqua potabile. questo si sta verificando ad esempio tra la Campania e la Basilicata, dove sono state chieste istanze per attività petrolifere su bacini idrogeologici carsici che alimentano il territorio lucano e campano con oltre 16mila litri al secondo di acqua potabile.

È un errore da parte dello Stato a mio avviso lasciare iniziativa alle compagnie petrolifere, di chiedere dove vogliono una istanza. cioè lo Stato deve avere prioritariamente, specie in questa fase di cambiamento climatico dove ogni goccia di acqua diventa sempre più strategica, dire “le attività petrolifere si possono chiedere qua e qua, ma non al di sopra dei bacini idrogeologici che ci alimentano di acqua potabile”. questo deve essere un provvedimento che si deve sicuramente portare avanti.