#ProgrammaAgricoltura: Sostegno ai settori agricoli più in difficoltà

di MoVimento 5 Stelle

Apistico, brassicolo, fungicolo e ippico sono settori considerati inopportunamente secondari ma che offrono da un lato opportunità di sviluppo sostenibile e di lavoro, dall’altro però non godono di tutele e sono spesso soggetti a speculazioni o scarse politiche di sostegno.
Il risultato è che pur essendo importanti per il mantenimento della biodiversità e per un miglioramento della qualità produttiva anche degli affini, l’assenza di salvaguardia espone questi mercati produttivi all’orda dell’importazione senza garanzie di qualità (apistico), alla perdita di quote di mercato e redditività per le famiglie (ippico e brassicolo) e l’apertura del mercato nero (fungicolo).

di Franco Poggianti, Direttore responsabile di Agricolae

Alcune considerazioni su quattro settori che impropriamente vengono definiti minori e che versano in difficoltà, per cui è necessario un intervento o vari interventi del settore pubblico. Questi sono i comparti della birra, dei tartufi e dei funghi, delle api e del cavallo. Non sono filiere minori, diciamolo subito, a meno che non si guardi esclusivamente al fatturato che produce ciascuno di essi. Perché l’agricoltura italiana, anzi le agricolture italiane, non sono un monolite ma sono un mosaico, nel quale ciascun settore piccolo o grande che sia rappresenta una tessera. Queste tessere si devono combinare tra loro per formare il quadro generale di questa nostra agricoltura che, lo possiamo dire senza tema di smentita, è una delle migliori agricolture del mondo.

Comincerei col settore delle api, perché il settore delle api è strategico: le api operaie producono miele e cera, ma le api non sono soltanto operaie, sono anche sentinelle dell’ambiente e soprattutto sono impollinatrici. Se valutiamo la semplice produzione delle api, relativamente al miele, noi sappiamo che questo settore pesa grossolanamente per 35 milioni di euro, una goccia nel mare. Ma se noi dovessimo retribuire alle api o all’apicoltura la funzione che svolge come sentinella dell’ambiente e come impollinatrice, ci renderemo conto che il ha fatturato delle api operaie e circa un miliardo e mezzo / 2 miliardi.

Ecco perché è necessario intervenire in un settore che è in particolare difficoltà per ragioni ambientali, manche per l’esiguità dei finanziamenti. Ricordiamo che lo Stato se la cava con un contributo di 6 milioni l’anno per il settore apistico, in regime di cofinanziamento con l’Europa che mette gli altri 6 milioni. Le regioni non danno una lira. C’è una legge quadro, una buona legge per quanto riguarda il settore apistico, che è stata votata e approvata nel 2004 ed è stata recepita a tutt’oggi da solo 3 regioni su 20. E questo è un problema.
Di che cosa c’è bisogno? C’è bisogno di meno burocrazia, di formazione per gli apicoltori, di maggiori tutele nel senso che le api vanno protette dai parassiti, vanno protette dai pesticidi e vanno aiutate a svolgere la loro funzione.

La filiera del cavallo, e io la chiamerei proprio così, piuttosto che filiera ippica, perché i cavalli sono da ippica ed equitazione. Ricordiamo che gli allevamenti di cavalli in Italia sono pochi, contano su 600 mila ettari e producono pochi cavalli, sia da sella, sia da corsa.

Cosa c’è da fare? Tanto per cominciare c’è bisogno non solo di rilanciare l’ippica attraverso uno strumento che sostituisca la vecchia Unire, possibilmente con criteri molto diversi da quelli che hanno governato l’Unire nel passato, e poi è necessario investire in informazione e in formazione. Per esempio c’è la necessità di istituire un albo dei maniscalchi che oggi langue, molti sono improvvisati. Un tempo si qualsiasi faceva il ferro di cavallo su misura, ora invece si cerca di adeguare una ferro standard a qualsiasi cavallo, con problemi anche molto seri. Poi c’è un altro problema, quello della tutela delle biodiversità. In Italia abbiamo una biodiversità del cavallo piuttosto pronunciata.

E’ inoltre indispensabile un rilancio del turismo equestre, anzi direi un lancio del turismo equestre. Perché in Italia le passeggiate sono di poche ore e all’estero le passeggiate durano giorni e giorni e diventano anche economicamente remunerative? Perché per esempio all’estero c’è una maggiore sviluppo di ippovie e soprattutto di luoghi di sosta. È inutile fare le ippovie se il cavallo viaggia per giorni e non trova un luogo dove può essere ricoverato, dove può mangiare e dove può essere accudito. Queste sono le questioni fondamentali sul tappeto.

Passiamo ora ad un altro aspetto: funghi e tartufi. I mutamenti ambientali hanno fatto la loro parte nella riduzione della produzione di funghi e tartufi che sta naturalmente languendo. Bisogna anche qui intervenire per esempio per disciplinare la ricerca e la raccolta dei funghi, bisogna mettere un occhio attento alle importazioni selvagge di funghi e tartufi che vengono dall’estero e non danno la minima garanzia di sicurezza. E poi anche intervenire, da un punto di vista normativo, per distinguere, per esempio, tra i ricercatori occasionali e amatoriali e le aziende strutturate. Molto spesso nei funghi trasformati si aggiungono aromi di sintesi, bisognerà anche su questo intervenire affinché almeno in etichetta sia avvertito il consumatore che non sta mangiando del tartufo tour court ma un tartufo “potenziato” con un aroma artificiale che non avrebbe di suo perché magari non è all’altezza della situazione.

Birra. Il comparto birrario è un comparto interessante. Tanto per cominciare ha 130000 addetti che sono una bella cifra (si parla naturalmente nell’indotto allargato). Il consumo della birra e di 29 litri pro-capite in Italia, la Sardegna ci aiuta ad aumentare la media perché ha un consumo che è il doppio della media. È un consumo relativamente al resto dell’Europa molto contenuto. La parte del leone la fanno due grandi major che producono il 50/60 percento della birra che si consuma in Italia. e poi C’è però una novità piuttosto interessante che è quella dei birrifici artigianali. Sono circa 600 in Italia ed hanno dato finora buona prova. Lì per esempio c’è bisogno di intervenire per aiutare i titolari dei birrifici che sono, sottolineiamolo, in gran parte giovani, per accedere a finanziamenti per poter implementare le loro aziende che sono di solito aziende piccole e che sono ormai sature perché il comparto ha avuto un successo inaspettato. I soldi ci sono e provengono direttamente la birra, perché il comparto birrario versa all’erario imposte per 4 miliardi l’anno. Se una parte di questi introiti fosse utilizzata per la formazione degli operatori si potrebbe fare qualcosa di veramente serio. E poi bisognerebbe veramente intervenire per quanto riguarda le accise che sono mediamente il doppio di quelle che si pagano in Francia in Germania e in Spagna. Il settore ha bisogno di una mano, bisognerà cercare di dargliela.