#ProgrammaAgricoltura: Promozione di prezzi equi per i prodotti primari

Oggi discutiamo il primo quesito del programma Agricoltura del MoVimento 5 Stelle. La votazione si terrà la prossima settimana. L’agricoltura rappresenta il 2,1% del Pil ed è l’unico settore che garantisce lavoro. Ciononostante sta conoscendo, come dai dati dall’ultimo documento di Economia e Finanza (DEF) una contrazione. Una delle cause risiede nelle distorsioni di filiera che vedono uno sbilanciamento del potere negoziale verso la grande distribuzione organizzata (GDO) a discapito del comparto produttivo che vede un andamento dei prezzi al ribasso che si traducono nella difficoltà che hanno le imprese agricole nella copertura dei costi. Basti pensare che nel passaggio dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%. Il sistema esige la rivisitazione delle regole per riportare la bilancia in favore del comparto agricolo e della tutela dei consumatori.

di Franco Poggianti, Direttore di Agricolae

Il cittadino, il consumatore, ha un diritto inalienabile: poter acquistare generi alimentari che siano assolutamente sani dal punto di vista della sicurezza alimentare, che siano di buona qualità, e che costino poco. Questo diritto è particolarmente sentito in un periodo di crisi come quello che noi viviamo, nel quale persino i consumi alimentari si vanno contraendo.

Che cosa fare per garantire questo prezzo equo? Bisogna innanzitutto metterci d’accordo su una cosa: garantire un prezzo equo per gli alimenti non può essere una questione di cui si fanno carico i produttori, cioè gli agricoltori, è un problema di welfare del quale si deve far carico lo Stato nel suo complesso. D’altro canto bisognerà trovare pure un modo per mantenere un prezzo accessibile per i generi di prima necessità.
Una delle strade, per esempio, è l’aggregazione tra soggetti. Significa che se noi abbiamo un agricoltore che va a comprare le sementi, perché ha un ettaro di terreno, le paga una certa cifra. Se ci va con altri 10 agricoltori le paga molto meno. E lo stesso dicasi per il trattore che può essere condiviso, lo stesso dicasi per l’accesso all’acqua, lo stesso dicasi per l’accesso a tutta una serie di cose che riescono a contenere i costi di produzione all’origine.

Un altro degli elementi di fondo è quello di una filiera equa e trasparente. Cosa vuol dire? La filiera è quel percorso che il prodotto agricolo fa dal campo, dove il contadino lo raccoglie, fino alla tavola dove il consumatore lo mangia. Anche qui bisogna essere estremamente chiari: alcuni di questi passaggi sono ovviamente indispensabili, altri sono superflui e sono fatti apposta per far lievitare i prezzi. Tutto questo a discapito dei due anelli più deboli della catena, che sono da una parte il produttore, il quale non determina il prezzo, il prezzo lo determina chi acquista, e cioè l’industria alimentare, e la grande distribuzione che va sul campo e dice prendere o lasciare; e dall’altra il consumatore. Ricordiamoci che il prodotto agricolo è deperibile: non è come il tondino di ferro che se a un certo punto mi vengono ad offrire un prezzo troppo basso io non glielo do. La scelta è tra vendere o svendere oppure lasciare marcire sul campo o nei magazzini il prodotto.

Come fare per rendere la filiera meno iniqua è un problema grave, perché naturalmente ci scontriamo con vari egoismi che si combinano l’uno con l’altro. E’ evidente che tutti cercano di comprare al prezzo più basso e vendere con il maggior utile possibile, e questo comporta naturalmente degli squilibri. Non solo: la filiera è in realtà il luogo dove si forma il valore aggiunto. Se questo valore viene distribuito equamente, si ottiene una soddisfazione di tutti i soggetti e quindi alla fin fine anche una soddisfazione delle esigenze economiche dell’agricoltura e del consumatore. Questo è un dato indispensabile sul quale bisogna vigilare.

L’altra questione è quella di accorciare, laddove è possibile, la filiera. Ora su questo è bene intenderci, perché accorciare la filiera non significa necessariamente accedere all’idea del km 0 o del km utile, che non sempre è possibile. Nelle grandi aree metropolitane, per esempio, ci sono pochi agricoltori che possono portare le merci, e molte bocche invece che sfamare, e quindi un ragionevole calcolo economico ci dice che km 0 può soddisfare un 10, massimo un 15% del fabbisogno degli acquirenti. In una società moderna e complessa come la nostra non è pensabile, almeno a breve termine, di fare a meno della grande distribuzione, quindi bisogna regolarla attraverso una filiera più agile, più snella e sostanzialmente più equa e più trasparente.

Sulla limitazione dell’ importazione selvaggia bisogna anche rendersi conto di una cosa, che va detta con grande certezza e onestà. L’agricoltura italiana è una bella agricoltura, esporta 36 miliardi di euro l’anno. Noi ce ne vantiamo molto, ma in realtà noi esportiamo poco, perché la stessa cifra la esporta il piccolissimo Belgio che ha poche produzioni autoctone e poco sole.

Per cui bisognerà fare uno sforzo per aumentare il tasso di esportazione e soprattutto anche un grande sforzo per avere una sorta di autosufficienza, compensando con le importazioni le esportazioni. Perché è vero che noi esportiamo 36 miliardi di euro, ma è anche vero che importiamo prodotti agroalimentari per 10 miliardi circa in più. Il che significa che non siamo autosufficienti dal punto di vista alimentare, e quando si va a comprare all’estero si paga naturalmente quello che l’estero vuole essere pagato.