Lo scandalo derivati

di Elio Lannuti

Mentre il rapporto di Reporters Sans Frontieres appena pubblicato, addebita a Beppe Grillo ed al M5S la causa del problema della libertà di stampa in Italia, incurante della lottizzazione Rai, la censura sistematica dei quotidiani spesso utilizzati come manganelli mediatici, le intimidazioni di Bankitalia, Consob ed altri potentati verso i rarissimi giornalisti ed associazioni di consumatori che hanno denunciato anni prima l’omessa vigilanza ed i crac bancari che hanno azzerato oltre 1 milione di famiglie per 108 miliardi di euro, si occultano notizie scomode per i governi ed il potere, in merito alle politiche di austerità del primo governo non eletto di Mario Monti, costate 300 miliardi di euro di Pil, ed i derivati tossici, il cui impatto disastroso sul bilancio pubblico ha avuto un costo di 8,3 miliardi di euro solo nel 2016, ben 24 miliardi di euro in 4 anni, tra il 2013 ed il 2016.

Secondo le ultime statistiche di Eurostat, i derivati (scommesse rischiose, in grado di generare guadagni elevati e perdite consistenti per assicurare strumenti finanziari, come ad esempio un titolo di debito a un prezzo prefissato, flussi di cassa, un tasso di interesse fisso con uno variabile, o un importo in una valuta con una diversa), hanno avuto sul bilancio pubblico italiano un impatto negativo di oltre 8,3 miliardi nel 2016.

Gli esborsi pari a 4,250 miliardi, aggiunti agli aggiustamenti contabili che incidono sul debito pubblico, hanno raggiunto 8,324 miliardi, che cumulati tra il 2013 ed 2016 sono costati ben 24 miliardi (13,7 i soli esborsi), in media 6 miliardi di euro l’anno, mentre negli altri Stati europei, gli stessi strumenti derivati hanno un impatto negativo inferiore in Germania, di 4,5 miliardi tra 2013 e 2016, in Francia di 293 milioni, mentre hanno ridotto l’indebitamento di 11,8 miliardi in Olanda.

Il ministero dell’Economia, che ha sostenuto di aver utilizzato i derivati come assicurazione contro il rischio di aumento dei tassi, ha contratti derivati per 161 miliardi di euro, il cui ‘market to market’ negativo a fine 2016 era di 37,8 miliardi (-36,7 miliardi di fine 2015), ha pagato oneri per circa 1 miliardo di euro l’anno scorso, per l’esercizio di una clausola di estinzione anticipata da parte di una banca controparte in derivati, che si aggiunge a 3,1 miliardi di euro versati all’inizio del 2012 dal governo Monti a Morgan Stanley, che fece appello a un codicillo che le consentiva di chiudere in anticipo il contratto Isda Master Agreement sottoscritto nel 1994 con il Tesoro (di cui all’epoca era direttore generale Mario Draghi) facendosi restituire l’intero importo.

Le stesse politiche di austerità e di macelleria sociale del governo tecnico di Mario Monti, insediatosi a fine novembre 2011, invece di salvare l’Italia con la riforma delle pensioni, il dramma degli esodati ed altre misure salva banche, non hanno fatto ripartire l’economia, ma ammazzato la crescita economica, aggravando la crisi con un costo di circa 300 miliardi di euro sul Pil, come annotato dal ministero dell’Economia, in una paginetta a pagina 17 del Piano nazionale di riforma (Pnr), del Def approvato dal governo il 12 aprile, dal titolo (link allegato): “Una valutazione del ‘Salva Italia’ con la nuova variante del modello Igem con frizioni finanziarie”.

La stima degli economisti del Tesoro, pubblicata a pag 17 (pag.407 del Def, come è stato riportato oggi da un raro articolo del Fatto Quotidiano firmato Carlo Di Foggia e Marco Palombi), ha deteriorato le condizione di offerta di credito, causando un aumento medio del rapporto tra le sofferenze (i crediti inesigibili) e il capitale bancario pari al 6,2% tra 2011 e 2015″, aggravando col decreto “Salva Italia” gli effetti recessivi del consolidamento fiscale sia sul Pil sia sulle principali componenti della domanda (consumi e investimenti). L’austerità imposta dal Fiscal Compact ai Paesi Ue e realizzata in Italia dal governo Monti, ha ridotto di quasi il 10% gli investimenti e del 3,6% i consumi tra il 2012 e il 2015, riducendo gli effetti sulla ricchezza prodotta in Italia (il Pil) del 4,7% in media, cioè circa 75 miliardi l’anno per quattro anni, vale a dire circa 300 miliardi di euro. La stretta fiscale ammontava a 26 miliardi nel 2012, per poi salire a 31 nel 2013 e a 33 miliardi nel 2014, divisi nel triennio tra 65 miliardi di “maggiori entrate” (Imu, Tares, aumento dell’ addizionale Irpef regionale, 25 miliardi di “minori spese” (cioè tagli). Invece di ridurre il deficit pubblico e far calare il rapporto debito/Pil rassicurando i mercati, provocò un aumento dello spread, in precedenza attestato sotto i 400 punti, fino a 515 punti del 23 dicembre 2011 quando il testo fu approvato dal Parlamento”.
Il Mef ha confermato che le politiche di austerità imposte dal fiduciario scelto dalla Troika, di tagli, tasse e stretta sulle pensioni, invece di salvare l’Italia dalla bancarotta nel dicembre 2011, con il piano di lacrime e sangue, (lacrime gratis della ministra Elsa Fornero, sangue a pagamento di esodati, pensionati,famiglie saccheggiate ed impoverite), hanno ammazzato la crescita, aumentato disuguaglianze e povertà, compresso i consumi, finito di distruggere l’economia con una minor crescita per circa 300 miliardi di euro dal 2012 al 2015, aggravando una crisi economica, politica e sociale, che è ancora tutta da risolvere.