Le città come comunità: con l’ascolto e con la tecnologia

il discorso di Virginia Raggi a Madrid al Foro Mundial sobre las violencias urbanas

Tradotto in italiano
Cosa possiamo fare per la pace? E’ una domanda difficile alla quale dobbiamo però rispondere. Abbiamo una grande forza: possiamo agire come una comunità. Ma per farlo dobbiamo creare un forte senso di condivisione e partecipazione. Le nostre città devono essere il luogo nel quale le persone possono sentirsi parte di un progetto e possono collaborare per la crescita comune. Ma in particolare devono essere il luogo nel quale nessuno deve sentirsi escluso. Il disagio, le ingiustizie, l’indifferenza sono la causa di ogni tipo di violenza. Avere pace significa non solo non fare la guerra, ma soprattutto avere una società nella quale prepotenze e abusi non esistono. E’ un obiettivo molto ambizioso che richiederà sicuramente tempo.
A Roma abbiamo preso un impegno con i cittadini. Abbiamo detto loro che nessuno deve rimanere indietro. Significa che tutti i cittadini devono poter accedere a tutti i servizi e avere tutti uguali opportunità. Significa che tutti hanno il diritto di dire la propria e di essere ascoltati. Significa avere uguali basi di partenza.
E’ una sfida soprattutto culturale che implica rispetto per la vita, per la libertà, giustizia, tolleranza, uguaglianza tra uomo e donna.
Dobbiamo abbattere le barriere, non solo fisiche, che all’interno delle nostre città ci dividono. Barriere che fanno intendere che ci siano posti migliori di altri; persone che hanno più diritto rispetto agli altri.
Lo ripeto: dobbiamo tornare ad immaginare le città come comunità. Se non ci impegniamo tutti a realizzarlo, i posti in cui viviamo rischiano di trasformarsi lentamente in luoghi di violenza. Chi mai avrebbe immaginato anni fa che il terrorismo avrebbe portato bombe e morte nelle nostre strade? Eppure questa è una delle nostre sfide. Non possiamo far finta di non vedere cosa accade. La sicurezza è un diritto fondamentale. E’ questa una ulteriore sfida alla quale siamo chiamati.
Come possiamo fare? Nessuno ha una risposta già pronta e nessuno può presentare un esempio già realizzato. Passo dopo passo, però, tutti stiamo lavorando nella stessa direzione. Serve l’ascolto di tutti, soprattutto di chi finora non ha avuto voce. Le nuove tecnologie ci mettono a disposizione strumenti incredibili che fino a pochi anni fa erano inimmaginabili. I cittadini possono mettersi direttamente in contatto con le amministrazioni attraverso un pc, possono far sentire la loro voce.
A Roma, così come avviene qui a Madrid, stiamo chiedendo la collaborazione dei cittadini per fare scelte di governo attraverso consultazioni online. Stiamo modificando lo Statuto cittadino, una sorta di Costituzione della città, inserendo i referendum propositivi e consultivi; il bilancio partecipativo: le petizioni popolari elettroniche e consultazioni online. Lo abbiamo chiamato ‘diritto alla partecipazione democratica elettronica’.
Ma non vogliamo lasciare indietro chi non ha un computer. Allora stiamo facendo corsi per anziani e per chiunque lo desideri per insegnare l’uso del pc, per superare il digital divide. Così come stiamo andando sul territorio per incontrare i nostri cittadini con una iniziativa che si chiama RomaAscoltaRoma. Le Istituzioni con i suoi rappresentanti vanno nei mercati, nelle strade, nelle biblioteche ad ascoltare. Non per parlare o dire cosa fare alle persone ma soltanto per ascoltare, per raccogliere proposte, idee, consigli.
L’obiettivo è ricreare il senso di unione.
E’ per questo che a Roma, a settembre, ospiteremo in collaborazione con il Vaticano la prima edizione di una maratona interreligiosa che lungo il suo tragitto attraverserà tutti i principali luoghi di culto della città e terminerà in piazza San Pietro. L’abbiamo chiamata “Via Pacis”: parteciperanno atleti di tutto il mondo e di tutte le religioni. Vogliamo far capire che la convivenza è possibile. Anzi può essere un momento di festa.
Va stabilito un nuovo patto con le persone: ascolto ma, nessuno fraintenda, anche rispetto delle regole.
Vivere insieme in un rapporto di giustizia e di solidarietà è un impegno senza sosta. La pace si fonda sul rispetto di tutti. Escludere qualcuno significa porre le basi per una ingiustizia. E l’ingiustizia e le diseguaglianze sono alla base della violenza. E su questo punto vorrei fare un’altra riflessione: l’impossibilità di accedere ugualmente all’acqua e al cibo o di poter aspirare ad avere una casa non è una ingiustizia? Le diseguaglianze tra donne è uomini non sono una ingiustizia? Queste cause possiamo e dobbiamo rimuoverle per educare alla pace.
“Le città devono trasformarsi in laboratori di cultura e di pace“, affermava un intellettuale italiano di nome Ernesto Balducci sottolineando che “esse devono sorpassare la corazza delle sovranità statali per restaurare la solidarietà in una dimensione planetaria. Esse sono chiamate a questa grande, pacifica rivoluzione”.
Davvero dobbiamo riportare le nostre città a dialogare tra loro. Oggi, qui a Madrid – tra l’altro ringrazio le sindache Manuela Carmena e Anne Hidalgo per aver organizzato questo evento – ci sono tantissimi sindaci e rappresentanti delle principali istituzioni globali che si occupano di pace. E proprio i sindaci possono superare quelle barriere che a volte si creano tra uno Stato e l’altro. Proprio perché siamo più a stretto contatto con le persone.
Creare una rete di città può favorire i processi di pace.
Il desiderio di pace, d’altronde, è innato nell’uomo. E’ insito nella nostra natura. Ma questo, evidentemente, non può bastare. Dobbiamo impegnarci per cambiare. Il fatto che oggi siamo qui proprio per discutere di questi temi fa intendere che abbiamo tutti lo stesso obiettivo e siamo già una piccola comunità. Insisto su questo concetto perché senza comunità non esisterebbero le nostre città. O almeno è questo il motivo per il quale sono nate migliaia di anni fa: stare insieme. Le nostre città devono basarsi sul rispetto della dignità umana, sul senso di accoglienza nei confronti degli altri e sul rispetto delle regole di convivenza.
Non sarà un percorso breve ma abbiamo l’opportunità di intraprenderlo. Insieme, come comunità, potremo realizzarlo più velocemente. Grazie a tutti.

L’originale in spagnolo
¿Qué podemos hacer por la paz? Es una pregunta difícil a la que, sin embargo, debemos responder. No obstante, hay algo a nuestro favor: podemos actuar como comunidad. Para hacerlo, se hace ineludiblemente necesario compartir y participar. Nuestras ciudades tienen que ser el lugar en el que las personas puedan sentirse parte integrante de un proyecto y en el que poder colaborar para el crecimiento común. Especialmente, han de ser el sitio en el que nadie se sienta excluido. El malestar, las injusticias, la distancia, son causa de todo tipo de violencia. Tener paz, significa no sólo no hacer la guerra sino, sobre todo, tener una sociedad en la que no exista prepotencia ni abuso. Objetivo muy ambicioso que necesitará, a buen seguro, tiempo.
En Roma hemos asumido un compromiso con los ciudadanos. Les hemos hecho saber que nadie debe quedarse atrás. Significa que todos tienen acceso a todos los servicios e igualdad de oportunidades. Quiere esto decir, que todos tienen derecho a tener el mismo punto de partida.
Es un desafío fundamentalmente cultural que implica el respeto por la vida, por la libertad, la justicia, la tolerancia, la igualdad de género. En nuestras ciudades, tenemos que abatir las barreras de todo tipo, no sólo las físicas, que nos dividen. Barreras que dan a entender que hay algunos lugares que son mejores que otros.
Lo reitero: hay que volver a pensar en las ciudades como comunidades. Si no nos comprometemos todos para llevarlo a cabo, los lugares en los que vivimos corren el riesgo de convertirse lentamente en lugares de violencia. ¿Quién habría imaginado, hace algunos años, que el terrorismo habría traído bombas y muerte a nuestras calles? Y, sin embargo, hoy día es uno de los desafíos. No podemos fingir que no vemos lo que pasa. La seguridad es un derecho fundamental. Es éste uno de los desafíos a los que debemos dar respuesta.
¿Cómo podemos actuar? Nadie tiene la respuesta y nadie puede presentar un ejemplo que tenga validez general. Paso a paso, sin embargo, estamos trabajando todos en esa dirección. Hay que escuchar a todo el mundo, fundamentalmente a quienes, hasta ahora, no han tenido voz. Las nuevas tecnologías ponen a disposición instrumentos increíbles que, hasta hace poco, eran impensables. Los ciudadanos pueden ponerse directamente en contacto con sus Administraciones a través de un ordenador, pueden hacer oír su voz.
En Roma, como ocurre aquí en Madrid, estamos pidiendo la colaboración de los ciudadanos para actuar/participar en políticas a través de consultas on-line. Estamos modificando el Estatuto del Ciudadano, una especie de Constitución de la ciudad, incluyendo los referéndum propositivos y consultivos, el balance participativo, las peticiones populares electrónicas y las consultas on-line. Lo hemos llamado el “derecho a la participación democrática electrónica”.
Pero no queremos que quede atrás quien no tiene ordenador. Es por ello por lo que estamos llevando a cabo cursos para ancianos y para quien lo desee, de alfabetización informática, para superar la “brecha digital”. De la misma manera, estamos actuando en el territorio, encontrándonos con los ciudadanos, con una iniciativa que se llama RomaAscoltaRoma (Roma escucha a Roma, n.d.t.). Las instituciones, a través de sus representantes, van a los mercados, por las calles, a las bibliotecas, para escuchar. No para hablar ni para decir qué tienen que hacer las personas, sino sólo para escuchar, para recoger propuestas, ideas y consejos. El objetivo es devolver el sentimiento de unidad. Es por esto por lo que, en Roma, en septiembre, acogeremos, en colaboración con el Vaticano, la primera edición de un maratón interreligioso, que atravesará, en su trayecto, los principales lugares de culto de la ciudad, terminando en la Plaza de San Pedro. Lo hemos llamado la “Via Pacis”: participarán atletas de todo el mundo y de todas las religiones. Queremos hacer comprender que la convivencia es posible. Es más, puede ser hasta una fiesta.
Hay que establecer un nuevo pacto con las personas: escuchar sí, pero – que nadie malinterprete – respetando las reglas.
Vivir juntos en una relación de justicia y solidaridad es un compromiso continuo. La paz se basa en el respeto del otro, de todos. Excluir a alguien supone poner los cimientos para una injusticia. Y la injusticia y las desigualdades son los cimientos de la violencia. Llegados a este punto, me gustaría hacer otra reflexión: la imposibilidad de acceder al uso del agua o de obtener comida o de disfrutar de una vivienda digna ¿no son, en sí mismas, injusticias? Las desigualdades entre hombres y mujeres ¿no son injusticias?. Estas injusticias podemos y debemos eliminarlas y educar para la paz.
“Las ciudades deben transformarse en laboratorios de cultura y de paz”, afirmaba un intelectual italiano, Ernesto Balducci, subrayando que “deben sobrepasar la coraza de las soberanías estatales, para restaurar la solidaridad en una dimensión planetaria. Las ciudades están llamadas a esta gran y pacífica revolución”.
Es cierto que tenemos que devolver la capacidad de diálogo a nuestras ciudades. Hoy, aquí en Madrid – aprovecho para agradecer a las alcaldesas Manuela Carmena y Anne Hidalgo la organización de este evento – hay muchísimos alcaldes, alcaldesas y representantes de las principales instituciones globales que se ocupan de la paz. Y son exactamente ellos los que pueden superar las barreras que, a veces, se crean entre diferentes Estados. Y ello porque tenemos una relación más estrecha y directa con las personas.
Crear una red de ciudades puede favorecer los procesos de paz.
El deseo de paz, entre otras cosas, es innato en el ser humano. Forma parte de nuestra naturaleza. Pero evidentemente esto no basta. Tenemos que esforzarnos para cambiar. El hecho de que hoy estemos todos aquí para discutir estos temas, deja claro que tenemos el mismo objetivo y formamos parte ya de una pequeña comunidad. Insisto en este concepto, porque sin comunidades no existirían nuestras ciudades. O, por lo menos, éste es el motivo por el que nacieron hace miles de años: para estar juntos y convivir.
Nuestras ciudades tienen que basarse en el respeto a la dignidad humana, en el sentimiento de acogida para con los demás y en el respeto de las reglas de convivencia.
No será un breve recorrido, pero podemos iniciarlo. Juntos, como comunidad, podremos llevarlo a cabo más rápidamente. Gracias a todos.