Il megafono della casta

di MoVimento 5 Stelle

Finalmente abbiamo smascherato la Casta e il suo megafono. Un giornalista e un operatore video hanno cortesemente posto due domande al direttore del Tg1. Non lo hanno spintonato, non lo hanno sgomitato, non lo hanno neppure sfiorato. Al suo diniego di rispondere alle domande, poste con cortesia, ne hanno semplicemente preso atto. Dov’è lo scandalo? Orfeo non è un cronista che scava e lavora per scoprire le magagne dei politici o gli affari loschi della mafia, è un uomo potente che decide l’informazione che ogni giorno viene propinato a milioni di italiani sulla TV pubblica. Domandargli come svolge questo lavoro, da parte di un giornalista ma anche da un comune cittadino, è più che lecito. Soprattutto se risulta, e risulta, che il Tg di cui è responsabile tratta certe notizie in un modo, altre in un altro, ne censura altre ancora e, molto più grave, rilancia notizie false e non le smentisce. Lo scandalo è che nessuno finora aveva osato porgli queste domande. Il perché si è capito. L’operatore e il giornalista che hanno osato sono state ieri vittime di un linciaggio mediatico senza precedenti, attaccati e denigrati da tutti i giornali, da tutte le TV e da tutti i partiti. Il megafono della Casta non può essere messo in discussione.

Nonostante questo sia stato fatto con un livello di cortesia sconosciuto a gran parte dei giornalisti italiani, che usano metodi non rispettosi nè della privacy nè dei principi base dell’educazione. Come i giornalisti presenti in sala a Ivrea per SUM #01 che hanno disturbato lo svolgimento dell’evento piazzandosi di fronte alle persone sedute o di fronte al palco e che addirittura sono saliti in piedi sulle sedie riservate al pubblico, sporcandole e danneggiandole. O ancora i giornalisti travestiti da finti medici, con tanto di camice bianco, che si sono intrufolati all’ospedale Gemelli nella speranza di cogliere qualche scatto di Luigi Di Maio durante una visita clinica. O quelli, loro sì stalker, che in massa hanno campeggiato per giorni sotto casa di Virginia Raggi i giorni successivi alla sua elezione.
Porre domande, in maniera educata ma ferma, ai potenti di questo Paese non è intimidazione. È giornalismo. Qualcuno doveva pur farlo.