#ProgrammaEsteri: Un’Europa senza austerità

Oggi parliamo del secondo dei dieci punti del Programma Esteri del MoVimento 5 Stelle. Una volta terminata l’esposizione dei punti, si procederà a una votazione online su Rousseau con la quale gli iscritti decideranno le priorità del programma. Informatevi e partecipate!

di Prof. Gennaro Zezza – Università degli Studi di Cassino

Già nel ’92 Winne Godley scriveva a proposito del progetto dell’euro: “La creazione di una moneta unica porterà alla fine delle sovranità nazionali, e della capacità di agire in modo indipendente su questioni di rilievo. La capacità di stampare moneta e, per il governo, di finanziarsi presso la propria banca centrale, è l’aspetto più importante dell’indipendenza nazionale. Se vi si rinuncia, ci si trasforma in un’autorità locale o una colonia e quando arriva una crisi, se il Paese ha perso la capacità di svalutare e non può beneficiare di trasferimenti fiscali a compensazione, non c’è nulla che possa fermarne il declino fino all’emigrazione come unica alternativa alla povertà.” 

Abbiamo voluto l’euro, abbiamo avuto il declino, e ora la migrazione e anche l’aumento della povertà. E’ necessario fermare questo processo e invertirlo. In realtà i motivi per cui tutto questo è avvenuto erano già noti: quando si discuteva nel Parlamento italiano dei Trattati Europei, si sapeva che l’adesione alla moneta unica richiedeva una compressione dei salari e che si sarebbe messo il Paese a rischio nel caso in cui fosse arrivata una crisi che non poteva essere compensata da un intervento fiscale espansivo. 

A tutto questo si è aggiunto il problema che la Germania, nei primi anni dell’euro, ha scelto di adottare riforme strutturali del suo mercato del lavoro, riforme che hanno compresso i salari dei lavoratori tedeschi e hanno contribuito a fare dell’euro una moneta sottovalutata per i tedeschi e una moneta sopravvalutata per i paesi come l’Italia, che hanno invece cercato di contenere il costo per i lavoratori sui salari. Quando è arrivata la crisi nel 2007 tutti i nodi sono venuti al pettine, e ancora peggio quando nel 2010 la crisi del governo greco ha mostrato che le istituzioni europee non volevano delle soluzioni cooperative per risolvere i problemi di un singolo Paese, ma preferivano che tutto l’aggiustamento ricadesse sulle spalle del Paese in crisi richiedendo riforme strutturali, cioè tagli alle pensioni, tagli ai salari, riforme fiscali e tagli alla spesa pubblica. 

Tutto questo, come abbiamo visto, comporta un crollo del reddito nazionale e un impoverimento del Paese.
E’ indispensabile uscire da questa situazione, ma come fare? La modifica che potremmo chiamare “il piano A”, creare una nuova Europa per i popoli, è assolutamente impensabile data la situazione politica attuale. Ma l’uscita unilaterale dall’euro comporta una rottura di trattati, comporta una manovra di tipo aggressivo nei confronti dei nostri partner. Discutere se sia tecnicamente possibile oppure no non è neanche opportuno in questa sede, sicuramente è possibile, ma sicuramente i costi politici da sostenere sono alti. 

Ci sono delle alternative: una di queste è la reintroduzione in Italia di quella che possiamo chiamare una “moneta fiscale”, una moneta che non è moneta legale e quindi non va a violare i nostri trattati, ma che possa restituire al governo la capacità di effettuare un piano di investimenti e per sostenere il reddito dei cittadini, insomma un piano di rilancio. Un governo che metta in campo questa soluzione e si coordini con i Paesi nostri vicini perché mettano in campo soluzioni analoghe, può portare una fase di transizione in cui non si vanno ad aggredire gli interessi dei Paesi i nostri creditori, che sono stati salvaguardati dal comportamento della Banca Centrale Europea e della Commissione Europea. L’introduzione di monete fiscali in tutti i Paesi della zona euro, e soprattutto nei paesi della periferia sud, consentirebbe inoltre un cambio radicale di rotta, e cioè la fine della preoccupazione per l’austerità e per i vincoli fiscali sulle manovre del governo, e invece la capacità rinnovata di avere un piano di rilancio e di stabilizzazione di tutta l’area del Mediterraneo.