Il discorso sull’Università che tutti vorremmo sentire

di Marco Rondina*

Signor Ministro, Autorità, Magnifico Rettore, Gentili ospiti,

Ci tengo a rivolgere il più caloroso saluto degli studenti a voi e a tutta la nostra comunità accademica: studenti, ricercatori, docenti, tecnici amministrativi e il personale tutto.
Quando mi è stato comunicato il tema della cerimonia, la quarta rivoluzione industriale, non ho potuto fare altro che pensare all’esaltante tempismo con cui è stato avviato quello che mi piace considerare un vero e proprio Rinascimento del sistema universitario italiano:

Il numero di studenti che proseguono gli studi è in costante aumento: l’abolizione del numero chiuso e l’importante programma di reclutamento hanno portato enormi benefici all’intero sistema. Il merito va certamente anche alla gratuità dell’istruzione universitaria e agli importantissimi programmi di welfare per quanto riguarda cultura, trasporto pubblico e residenzialità. Credere nell’Università ha funzionato ed è il paese intero a guadagnarci: la disoccupazione, specialmente quella giovanile, è prossima allo zero e l’ultima riforma del mercato del lavoro ha ridato alla nostra generazione la stabilità necessaria per immaginarsi un futuro.

Questo è il discorso che tutti vorremmo ascoltare.

Come ben sapete, però, la situazione che stiamo vivendo è decisamente diversa. Nonostante i dati mostrino un ateneo in crescita e in controtendenza rispetto alle medie nazionali, il Politecnico di Torino è parte integrante del sistema educativo del Paese e specialmente oggi non possiamo rinunciare a riflettere sullo stato di tale sistema.

Nonostante l’Università soffra di una gravissima carenza di risorse, sia per la didattica che per la ricerca, dobbiamo avere il coraggio di denunciare che, nessuno dei governi che si sono susseguiti negli ultimi anni ha realmente voluto invertire la rotta: esistono ancora dei vincoli di turn-over, gli stessi che hanno causato un drastico calo della docenza e che hanno reso il precariato una realtà sempre più stabile. Meno professori significa minor capacità ricettiva e una peggiore qualità di didattica e ricerca.
Il punto forse più grave, però, è che sempre meno studenti hanno fiducia nel proprio futuro: oltre a rimanere l’ultimo paese europeo per percentuale di laureati, le immatricolazioni sono in costante calo da anni. Davanti ad una simile situazione, invece di favorire la transizione dalla scuola superiore all’Università, vediamo spuntare in tutta Italia sempre più restrizioni all’accesso che hanno l’unico effetto di distruggere i sogni di una intera generazione.

Tra le cause dell’abbandono scolastico c’è anche la situazione economica delle nostre famiglie. Occorre rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono una concreta libertà di accesso ai saperi: non possiamo continuare ad essere tra i primi paesi europei per tassazione universitaria pubblica. Anziché risolvere il problema sono stati implementati grotteschi meccanismi che mettono gli atenei nella perversa condizione di ottenere più fondi statali aumentando le tasse degli studenti. Il tutto accompagnato da un sistema di Diritto allo Studio zoppicante e capace di creare la figura tutta nostrana dell’idoneo non beneficiario.

Queste sono solo alcune delle miopi politiche intraprese negli ultimi anni che guardavano all’immediato risparmio ignorando totalmente il domani. Dobbiamo cambiare rotta nel più breve tempo possibile perché, in questo preciso momento storico più di ogni altro, l’Università deve essere un elemento fondamentale per la nostra crescita come società. Non parlo di una crescita economica, qui è in gioco la nostra coscienza collettiva, la nostra cultura, la nostra capacità di stare al passo con i tempi e la possibilità della nostra e delle future generazioni, di trovare liberamente il proprio posto nel mondo. Emancipazione collettiva e realizzazione personale. Dobbiamo fare estrema attenzione a questo aspetto, perché impacchettare il precariato come “flessibilità” non eviterà le sempre più crescenti tensioni sociali dovute all’instabilità.

Abbiamo la fortuna di avere un capitale umano di altissimo valore, uno dei migliori, ma per il funzionamento del sistema occorrono importanti investimenti e, come nel nostro caso specifico, spazi adeguati alle necessità. Occorre inoltre scrollarsi di dosso tutte quelle meccaniche escludenti in nome di una meritocrazia che, troppo spesso, viene utilizzata come maschera di un progressivo e costante definanziamento: non dobbiamo mai dimenticarci che la qualità di un sistema universitario non dipende dal numero di premi Nobel o dalle sue ricerche di punta, ma dal livello medio dei suoi studenti, ricercatori, docenti e personale. La valorizzazione delle eccellenze non può e non deve venire a discapito di una diffusione sempre più ampia di conoscenza, requisito fondamentale per una società più democratica e più consapevole.

Senza tutto questo, non possiamo pensare di essere in grado di affrontare con coscienza le sfide che il futuro ci offrirà, a partire proprio dalla quarta rivoluzione industriale che cambierà inevitabilmente il nostro modo di vivere e lavorare. Davanti a noi troveremo due strade: quella positiva in termini di migliorato benessere individuale e collettivo, e quella negativa di chi viene sopraffatto dal non-progresso. Parliamoci chiaro: milioni di posti di lavoro si perderanno nei prossimi anni a causa delle nuove tecnologie. Solo un rilancio culturale dell’intera collettività, con l’Università nel ruolo chiave di locomotiva del paese e del progresso, potrà permetterci di affrontare il futuro con la serenità di chi ha il coraggio di innovarsi.

A questo punto dobbiamo farci la più semplice delle domande, tutti noi: Quale strada vogliamo prendere? Vogliamo una società sempre più divisa e senza giustizia sociale o vogliamo darci la possibilità di crescere attraverso la cultura?
In una giornata così importante per il nostro ateneo, vorrei lasciarvi con la speranza di una suggestione:
caro Ministro, mi rivolgo a lei in quanto rappresentante del nostro Governo, perché non cogliamo l’occasione che l’evoluzione industriale ci sta offrendo, per lanciare un vero e proprio Rinascimento dell’intera Università e quindi della società italiana?
Quasi cento anni fa, nel primo dei suoi “tre compiti”, un giovane Antonio Gramsci scriveva: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza”.
Grazie e Buon Anno Accademico a tutti!

*Rappresentante degli studenti nel Consiglio d’Amministrazione e nel Collegio di Ingegneria Informatica al Politecnico di Torino.