Pagare 359 miliardi per uscire dall’Euro? Una bufala di Mario Draghi

di Thomas Fazi, su EUnews.it

Sta facendo molto discutere la dichiarazione di Mario Draghi secondo cui, nel caso in cui un paese lasciasse l’euro, la sua banca centrale dovrebbe prima saldare tutti i debiti da essa accumulati nei confronti della Banca centrale europea (BCE) attraverso il sistema di pagamenti interbancario del TARGET2 (Trans-European Automated Real-Time Gross Settlement Express Transfer System), che regola i pagamenti transfrontalieri tra le banche commerciali dell’UE. Nel caso dell’Italia, tale debito è attualmente pari a circa 350 miliardi di euro.

Ma è veramente così? Innanzitutto dobbiamo chiarire cos’è il TARGET2, anche perché le interpretazioni di questo meccanismo sono alquanto divergenti. Per prima cosa bisogna capire come funzionano i pagamenti tra banche commerciali, tanto all’interno dello stesso paese quanto tra diversi paesi dell’eurozona. Partiamo dal caso di un pagamento interbancario nello stesso paese. Quando il cliente della banca italiana A effettua un trasferimento di fondi alla banca italiana B, il trasferimento non avviene in maniera diretta ma con l’intermediazione della banca centrale nazionale, la Banca d’Italia, che ridurrà le riserve (la moneta legale utilizzata dalle banche commerciali) detenute dalla banca A sul proprio “conto di riserva e regolamento” presso la banca centrale stessa e contestualmente aumenterà dello stesso importo le riserve detenute dalla banca B sul proprio conto di riserva e regolamento. In tempi “normali”, se una banca non possiede riserve a sufficienza sul proprio conto di riserva/regolamento, se li fa prestare da un’altra banca sul cosiddetto mercato interbancario. In tempi di instabilità finanziaria – come il periodo immediatamente successivo alla crisi del 2007-8 -, però, le banche non si fidano più a prestare le proprie riserve alle altre banche, perché queste potrebbero fare crack da un giorno all’altro, causando una perdita alla banca creditrice.

In questi casi – lo abbiamo visto in tutti i paesi occidentali all’indomani dello scoppio della crisi dei subprime – interviene la banca centrale, che – forte della sua abilità di “stampare” riserve in misura illimitata – si fa carico di fornire al sistema bancario tutte le riserve di cui quest’ultimo ha bisogno, agendo di fatto da prestatrice di ultima istanza. Se così non facesse, il sistema bancario si “congelerebbe” nel giro di pochi giorni, con conseguenze facili da immaginare. Dal breve quadro che abbiamo tratteggiato, si desume facilmente come le riserve rappresentino un credito per la banca centrale che le “presta” e un debito per la banca commerciale che le detiene.

Questo per quanto riguarda un singolo paese. Nel caso di un’unione monetaria sovranazionale quale è l’eurozona, però, le cose non sono molto dissimili. La differenza principale sta nel fatto che nell’eurozona le banche commerciali non detengono i propri conti di riserva/regolamento direttamente presso la BCE ma – in virtù della anomala architettura “semi-sovranazionale” dell’unione monetaria – presso la banca centrale del proprio paese. Questo è il motivo per cui, nel momento in cui la banca del paese A trasferisce dei fondi verso la banca del paese B, la prima non registra una riduzione delle proprie riserve presso la BCE ma presso la propria banca centrale nazionale, la quale a sua volta riporterà in bilancio un passivo verso la BCE che agisce come controparte centrale; per la banca che riceve i fondi si determina invece un incremento delle proprio riserve presso la banca centrale del proprio paese, la quale a sua volta registrerà un attivo nei confronti della BCE. Ora, come per i pagamenti interbancari che hanno luogo all’interno di un singolo paese, in tempi “normali” gli attivi/passivi delle banche centrali nazionali nei confronti della BCE vengono rapidamente compensati dall’approvvigionamento di nuove riserve (sul mercato interbancario) da parte della banca del paese A.

Fino allo scoppio della crisi dell’euro, nel 2010, queste riserve venivano fornite in buona parte dalle banche tedesche, in virtù dell’eccesso di riserve circolanti nel sistema bancario tedesco, derivante dall’enorme avanzo commerciale della Germania. Nel 2011, però, il mercato interbancario europeo si è definitivamente inceppato. Le banche del centro (Germania in primis) hanno cominciato a chiedere indietro i loro soldi alle banche della periferia ma queste non erano più in grado di approvvigionarsi di riserve sul mercato interbancario. A quel punto – esattamente come avrebbe fatto qualunque banca centrale nazionale – è intervenuta la BCE, garantendo alle banche commerciali dei paesi periferici tutta la liquidità (le riserve) di cui avevano bisogno. Per la succitata architettura dell’Eurosistema, però, la BCE non ha fornito le riserve direttamente alle banche commerciali che ne avevano bisogno ma lo ha fatto per mezzo delle banche centrali nazionali. Di conseguenza, le banche centrali dei paesi periferici hanno registrato un aumento dei loro passivi nei confronti della BCE – un po’ come se la BCE avesse “prestato” le riserve alle singole banche centrali nazionali affinché queste le “riprestassero” poi alle loro banche -, mentre la Germania e gli altri paesi del centro hanno registrato un aumento dei loro attivi nei confronti della BCE.

Negli anni scorsi, questo meccanismo – che a dispetto della sua apparente complessità non rappresenta altro che un normalissimo strumento di politica monetaria, necessario per il corretto funzionamento del mercato interbancario intra-euro – ha dato adito a fantasiose interpretazioni. In particolare, i “falchi” tedeschi, capitanati da Hans-Werner Sinn, hanno sostenuto – spesso trovandosi in sintonia con diversi economisti di sinistra – che il TARGET2 fungerebbe come un diabolico sistema di “salvataggio occulto” dei paesi della periferia, finanziato – ça va sans dire – dai contribuenti tedeschi, che permetterebbe a questi paesi standard di vita che altrimenti non potrebbero permettersi. Inutile dire che le cose non stanno esattamente così.

Primo, non è la Bundesbank a “prestare” le riserve ai paesi che registrano un saldo T2 passivo ma semmai è la BCE. Come spiega questo Bollettino della Banca d’Italia, «l’ampliamento dei saldi T2… non rappresenta l’erogazione di un finanziamento diretto tra due paesi» né tantomeno rappresenta «un’obbligazione bilaterale tra due paesi». Semmai la Germania può essere considerata “prestatrice” solo in quanto azionista della BCE.

Secondo, la BCE di fatto non “presta” le riserve alle banche centrali nazionali ma alle banche commerciali attraverso le banche centrali nazionali, che di fatto agiscono solamente da cinghie di trasmissione nazionali e possono essere considerate a tutti gli effetti delle “filiali” della BCE stessa.

Terzo, considerare le riserve un “debito” dello Stato nel quale si trovano le banche commerciali che ricevono le suddette riserve dalla BCE è una forzatura enorme della realtà, perché il “credito” di una banca centrale è un credito di una natura molto particolare, che di fatto non comporta “perdite” nel caso di mancato rimborso (fallimento di una banca e conseguente “scomparsa” delle riserve da essa detenute). Se così non fosse, a rigor di logica, qualunque paese dovrebbe aggiungere le riserve detenute dal proprio sistema bancario al computo del proprio debito nazionale.

Quarto, se proprio vogliamo dare una lettura “morale” del meccanismo TARGET2, come amano fare i tedeschi, allora dovremmo dire che esso, lungi dall’aver rappresentato un salvataggio per i paesi della periferia, ha invece rappresentato un vero e proprio bailout del valore di oltre 500 miliardi di euro a favore dei paesi del centro, e in particolare della Germania:

In questo processo, il settore privato tedesco si è disfatto di molti crediti dubbi… Ma la maggior parte del credito concesso dalle banche tedesche alla periferia dell’eurozona è stato in pratica semplicemente passato alla Bundesbank come saldo di TARGET2. E dei saldi di TARGET2 rispondono in solido gli azionisti della BCE, e quindi anche la Germania, ma solo per il 27 per cento. Ecco quindi come il sistema bancario tedesco è stato di fatto salvato mutualizzando i suoi crediti dubbi verso la periferia a spese di tutti i paesi dell’eurozona.

C’è poi un altro punto da sottolineare: l’incremento del passivo TARGET2 di diversi paesi della periferia – in particolare dell’Italia – negli ultimi due anni non riflette, come nel 2011-12, l’incapacità delle banche di questi paesi di rifinanziarsi sul mercato interbancario. Esso è piuttosto il risultato delle politiche di quantitative easing (QE) della BCE, che passa sempre per le banche nazionali: in parole povere, buona parte della liquidità creata dalla Banca d’Italia (in quanto “filiale” della BCE) non è rimasta all’interno del nostro sistema finanziario, ma è defluita verso l’esterno – per investimenti esteri e per l’acquisto di titoli di Stato italiani detenuti da banche estere, soprattutto tedesche – dando impulso alla dinamica del saldo TARGET2, che si conferma un semplice “effetto collaterale” delle decisioni di politica monetaria – normali o non convenzionali che siano – della banca centrale e della artificiosa frammentazione del bilancio della stessa.

E che dire della minaccia di Draghi secondo cui un paese che volesse uscire dall’euro dovrebbe prima saldare il proprio debito TARGET2? Che si tratti di una minaccia priva di alcun fondamento lo rivela la stessa Bundesbank, che riconosce che l’ipotesi di un’uscita di un paese dal sistema TARGET2 «non è prevista nei termini del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea» e dunque sarebbe necessariamente soggetta a negoziato, in cui – tra l’altro – il paese uscente si troverebbe in una situazione di notevole vantaggio contrattuale.

Alla luce di quanto detto sopra, l’unica misura in cui la Germania può considerarsi “esposta” nei confronti dell’Italia è in quanto partecipe del capitale della BCE, giacché, se veramente un paese dovesse uscire dall’euro e rifiutarsi di saldare il conto T2 (come è probabile, almeno nella sua interezza), si aprirebbe un buco di bilancio nella BCE. A quel punto – come spiega sempre Bankitalia – «eventuali perdite di bilancio relative alle operazioni di rifinanziamento principali vengono ripartite tra tutte le banche centrali nazionali sulla base della quota di partecipazione al capitale della BCE, indipendentemente da quale banca centrale nazionale abbia erogato il finanziamento e dalla distribuzione dei saldi TARGET2 all’interno dell’Eurosistema». E questo perché – ripetiamolo – «i saldi su TARGET2 non rappresentano un’obbligazione bilaterale tra due paesi».

E comunque, anche nel caso in cui la BCE dovesse veramente subire un buco di bilancio, questo non avrebbe alcun impatto dal punto di vista operativo, né rappresenterebbe una “perdita” per la Germania, a meno che la BCE non chiedesse veramente alle tesorerie nazionali di rimpolpare il capitale della BCE (e la Germania acconsentisse), cosa estremamente improbabile. Le favole tedesche sul funzionamento delle banche centrali valgono per gli altri, mica per sé. Come ha riconosciuto di recente la stessa BCE, infatti, le banche centrali possono tranquillamente operare con capitale negativo.

In conclusione, possiamo affermare che è priva di fondamento tanto l’idea secondo cui la Germania «avrebbe aperto una linea di credito» a paesi come l’Italia (e dunque subirebbe «perdite enormi» in caso di uscita di un paese con saldo T2 passivo dall’euro), quanto l’affermazione di Draghi secondo cui per uscire dall’euro bisogna prima chiudere i saldi T2. Poco più di una “fake news” insomma, che però conferma una cosa: che il debito – di qualunque natura sia – continua ad essere un potente strumento disciplinare nelle mani delle classi dominanti, anche quando questo è poco più di uno spauracchio.