La Banca europea per gli investimenti finanzia i paradisi fiscali

di Fabio Massimo Castaldo, EFDD – M5S Europa

La Banca europea per gli investimenti (BEI) è il braccio finanziario di Bruxelles. Il suo giro di denaro è pari al bilancio di un piccolo stato: 77 miliardi e mezzo di euro finanziati nel 2015 destinati a infrastrutture, finanziamenti alle imprese e progetti al fine di produrre posti di lavoro, crescita e innovazione. Tutto questo è ben pubblicizzato sul sito della BEI. C’è però un lato oscuro, al quale non viene dato lo stesso risalto, fatto di investimenti non trasparenti in paradisi fiscali. Di giurisdizioni sospette, casi di conflitti di interesse e «revolving doors» che coinvolgono gestori dei fondi i quali hanno precedentemente lavorato per la Bei o altre istituzioni finanziarie internazionali.

Questi aspetti controversi sono ben documentati nel Rapporto della ONG Counter Balance “The dark side of EIB funds: How the EU’s bank supports non-transparent investment funds based in tax havens“, pubblicato lo scorso settembre. Il rapporto svela che, nelle proprie attività, la Banca europea per gli investimenti fa uso di una serie di intermediari per i suoi prestiti, sia all’interno che all’esterno della UE. La BEI, quindi, non presta direttamente i soldi ai progetti finali ma piuttosto fa uso di intermediari finanziari per un terzo delle sue operazioni. Nei progetti extra UE si parla addirittura del 40% delle operazioni totali. In Africa, in Medio-Oriente e nella regione pacifica la BEI lavorerebbe principalmente attraverso private equity funds. Nel rapporto della Counter Balance si parla di 50 progetti di questo tipo, per un valore totale di circa 5 miliardi. Nella regione cosiddetta ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) la BEI nel 2015 ha investito 154 milioni in 9 private equity funds.

Il dato più preoccupante, tuttavia, è un altro. Dal 2011 al 2015 sono stati investiti 470 milioni di euro in fondi di investimento situati in giurisdizioni segrete. Solo nel 2015 il 67% del volume delle operazioni è andato a clienti che si trovano in cima alla classifica delle 30 giurisdizioni più oscure dal punto di vista fiscale. Il paese in cui la maggior parte di tali fondi di investimento sono domiciliati è l’isola di Mauritius, dove i non residenti vedono tassati localmente solo i redditi prodotti in loco e il reddito delle persone fisiche ha un’aliquota fissa del 15%. Questi dati, se confermati, implicherebbero automaticamente che una grande parte delle attività di prestito della BEI non risponde a quegli standard genuini di trasparenza che sono tanto importanti per la UE e, in particolare, per il Parlamento europeo.

Qualche giorno fa Andrew McDowell, il VicePresidente della BEI, è venuto in Commissione Affari Esteri per uno scambio di vedute con gli eurodeputati. Non ho potuto non cogliere l’occasione per rivolgergli qualche domanda. In particolare gli ho chiesto:

– Cosa sta facendo la BEI per risolvere questo tipo di problematica, anche considerando il chiaro impegno della UE nella lotta ai paradisi fiscali e a favore della trasparenza finanziaria?

– Dato che la BEI si deve attenere, per gli investimenti nei paesi terzi, alla visione politica dell’Unione Europea (vincoli ambientali, sociali e di sviluppo), quali sono gli indicatori di performance dei fondi assegnati e come vengono gestiti? Quali strumenti di valutazione vengono utilizzati per valutare il successo (non soltanto economico ma anche in termini di sviluppo) dei progetti finanziati?

Alle mie domande, McDowell e gli altri rappresentanti della BEI hanno risposto dicendo che alla base dell’utilizzo di intermediari finanziari ci sarebbe la necessità di semplificare la gestione dei prestiti a migliaia di piccole imprese e progetti locali, che difficilmente potrebbero interfacciarsi direttamente con la BEI. Hanno inoltre assicurato che tutte le loro operazioni vengono pubblicate sul sito della Banca e che sono quindi soggette alla massima trasparenza. Sui paradisi fiscali, invece, scena muta. Hanno glissato completamente sulla domanda. Peccato per loro che a partire da questa legislatura il MoVimento 5 Stelle faccia parte dell’Europarlamento e che non permetteremo che si sottraggano all’interfacciarsi con noi e con le nostre domande scomode. Vi terrò aggiornati sugli sviluppi. Nel frattempo leggete il rapporto “The dark side of EIB funds” e fatevi un’idea di quello di cui vi ho appena parlato: scarica qui il file originale.