Le fake news sono quelle dei media tradizionali

traduzione a cura di M5S Europa – fonte originale: Consortiumnews.com

Nel suo editoriale di domenica, il New York Times condanna ciò che definisce come “Il virus digitale chiamato bufala” e invoca una censura su Internet per ovviare al presunto problema, rivolgendosi in particolare al fondatore di Facebook Mark Zuckerberg che avrebbe permesso a “bugiardi e geni della truffa di impossessarsi della sua piattaforma”. Poiché questa campagna mainstream contro le bufale ha destato un forte scalpore durante la scorsa settimana, due sono le notizie false citate ripetutamente: un endorsment di Papa Francesco per Donald Trump e una dichiarazione secondo cui Trump era in vantaggio su Hillary Clinton nel voto popolare. Potrei aggiungere un’altra notizia falsa in materia di elezioni, una bufala diffusa dai supporter di Trump secondo cui il documentarista liberal Michael Moore sosteneva Trump mentre in realtà egli era a favore di Hilary Clinton.

Ma so che anche i supporter di Hilary Clinton hanno lanciato privatamente accuse volgari e non dimostrate sulla vita sessuale di Trump, e la Clinton stessa ha accusato personalmente Trump di essere sotto il controllo del presidente russo Vladimir Putin, sebbene non vi fosse alcuna prova a supporto di tale accusa maccartista. La pura e semplice realtà è che numerose accuse dubbie vengono lanciate nel fervore di una campagna elettorale, non è una novità, e per i giornalisti professionisti è sempre una sfida smontarle. La novità risiede nel fatto che il Times immagini una qualche struttura (o algoritmo) per eliminare quelle che chiama bufale. Ma, con un’incredibile mancanza di auto-consapevolezza, il Times non tiene conto delle numerose volte in cui ha pubblicato notizie false come quando ha riferito, nel 2002, che l’acquisto di tubi di alluminio da parte dell’Iraq significava che il Paese stava ricostituendo il proprio programma di armi nucleari; o della sua falsa analisi che tracciava il luogo di attivazione di un razzo siriano al sarin, nel 2013, in una base militare siriana che poi si è rivelata quattro volte al di fuori della portata del razzo; oppure la sua pubblicazione di foto che apparentemente mostravano soldati russi in Russia e poi in Ucraina nel 2014, per le quali è stato dimostrato che le foto “scattate in Russia” erano state scattate in Ucraina, distruggendo la base della storia.

Sono solo tre esempi di numerose notizie false pubblicate dal Times, e tutti e tre sono comparsi in prima pagina prima di essere ritrattati a malincuore o solo parzialmente, solitamente in posizioni ben lontane dalla prima pagina e con titoli opachi, perché la maggior parte dei lettori non li notasse. L’eco di molte delle bufale del Times continua a riverberare a supporto della propaganda del governo statunitense anche dopo parziali ritrattazioni.

A CHI SPETTA GIUDICARE?
Zuckerberg dovrebbe impedire agli utenti di Facebook di condividere le storie del New York Times? Ovviamente il Times non approverebbe una simile soluzione al problema delle bufale. Invece, il Times si aspetta di essere uno degli arbitri chiamati a decidere quali canali di Internet debbano essere bannati e quali debbano ricevere il sigillo d’oro dell’approvazione. L’editoriale del Times, che segue un articolo pubblicato in prima pagina sullo stesso argomento venerdì scorso, lascia pochi dubbi sulla visione del giornale, secondo cui le maggiori piattaforme Internet e i principali motori di ricerca, quali Facebook e Google, devono chiudere l’accesso a siti accusati di disseminare bufale.

Secondo l’editoriale, “una parte importante della responsabilità per questo flagello è imputabile ad aziende quali Facebook e Google, che hanno consentito la condivisione di notizie false in modo praticamente istantaneo con milioni di utenti e che sono state molto lente nel bloccarle sui loro siti.

“Facebook dichiara di avere in programma misure per sradicare tali montature. Lunedì scorso ha affermato che non posizionerà più le proprie inserzioni su siti Web che pubblicano notizie false, un passo che potrebbe costare a Facebook e a quei siti di bufale un’importante fonte di introiti. Precedentemente, lo stesso giorno, Google aveva affermato che non avrebbe più permesso a quei siti di utilizzare la propria rete di posizionamento delle inserzioni. Questi passaggi aiuterebbero, ma Facebook in particolare deve molto di più ai suoi utenti e alla democrazia stessa. “Facebook ha dimostrato di essere in grado di bloccare in modo efficace contenuti quali articoli click-bait e spam dalla propria piattaforma, modificandone gli algoritmi che determinano quali link, quali foto e quali inserzioni gli utenti vedranno nei loro news feed. … I manager di Facebook modificano e rifiniscono costantemente gli algoritmi, il che significa il sistema è malleabile e soggetto al giudizio umano.” L’editoriale del Times continua: “La scorsa estate, Facebook ha deciso di mostrare più post degli amici e dei parenti nei news feed degli utenti e di ridurre le storie pubblicate dalle testate giornalistiche, perché questo è quello che gli utenti desideravano. Se è in grado di fare ciò, sicuramente i suoi programmatori potranno addestrare il software a rilevare bufale e battere in astuzia chi produce questa spazzatura. “Zuckerberg stesso si è espresso in modo dettagliato su come i Social Media possano contribuire a migliorare la società. … Niente tutto questo potrà succedere se continuerà a permettere a bugiardi e geni della truffa di impossessarsi della sua piattaforma.”

AREE GRIGIE
Ma il problema è che mentre alcune falsità sono ovvie e nitide, molte informazioni si collocano in un’area grigia in cui due diverse fazioni possono avere posizioni discordanti su quale sia la realtà dei fatti. Il governo statunitense non sempre dice la verità sebbene sia difficile trovare recenti esempi del Times che riconosce tale realtà. Specialmente negli ultimi decenni, il Times ha quasi sempre abbracciato la versione ufficiale di un evento discusso, mettendo al bando un serio scetticismo.

Così il Times ha trattato le smentite del governo iracheno e di esperti indipendenti che hanno messo in dubbio la storia del “tubo di alluminio” nel 2002 e così ha eliminato i pareri discordanti rispetto alla narrazione del governo statunitense degli eventi in Siria, Ucraina e Russia. Il Times si è trasformato sempre più in un organo di propaganda per le verità ufficiali di Washington piuttosto che in un’entità giornalistica professionale. Ma il Times e altre testate mainstream, insieme ad alcuni siti Internet favoriti, siedono oggi all’interno di un’entità finanziata da Google, chiamata First Draft Coalition, che si presenta come una sorta di Ministero della Verità che deciderà quali siano le storie vere e quali quelle false. Se le raccomandazioni dell’editoriale del Times saranno seguite, le storie oggetto di disapprovazione e i siti che le pubblicano non saranno più accessibili da motori di ricerca e piattaforme popolari, attraverso un blocco dell’accesso da parte del pubblico. [Vedi Consortiumnews.com “What to Do About ‘Fake News‘”]. Il Times afferma che una simile censura andrebbe a vantaggio della democrazia, ed è vero che le bufale e le teorie complottiste infondate non aiutano la democrazia, ma una regolamentazione dell’informazione nel modo suggerito da Times ricorda più una folata di totalitarismo orwelliano.

E la proposta è ancora più sconcertante in quanto proviene da Times, con i suoi precedenti in fatto di diffusione di pericolosa disinformazione. Il reporter investigativo Robert Parry ha smascherato numerose storie anti-Iran per Associated Press e Newsweek negli anni ’80. Il suo ultimo libro, America’s Stolen Narrative, è acquistabile in versione cartacea qui o in versione e-book (su Amazon e barnesandnoble.com).