La modernità di un antimoderno – di Massimo Fini

di Massimo Fini

Dalla rivoluzione industriale in poi si è creato un modello di sviluppo che all’inizio ha suscitato grandi speranze. Ma gli esiti poi se li guardiamo oggi a due secoli di distanza, perché diciamo la rivoluzione industriale parte a metà del 18° secolo, vediamo che produce una serie di fenomeni negativi. Nevrosi, depressione sono malattie della modernità, non esistevano prima. I suicidi, parliamo dell’Europa del 1650, cioè prima della rivoluzione industriale erano 2,6 per centomila abitanti, e nel 1850 quindi un secolo dopo la rivoluzione sono 6,9, oggi sono 20 per centomila abitanti. Il suicidio è la punta di un iceberg di un malessere.

Questo è un sistema che produce un malessere generalizzato nelle persone facendogli credere che questo invece è il benessere. Prendiamo valori prepolitici, preideologici, prereligiosi, cioè dignità, onestà, coraggio e solidarietà: in questo sistema che ha accentrato tutto sull’economia e la tecnologia che sono due ancelle del sistema, questi valori, i valori della comunità, pian piano si sgretolano e questo lo vediamo dappertutto. Il guaio è che noi andiamo ad imporre a culture totalmente “altre”, che questi valori magari li hanno conservati, il nostro modello, questo che io ho chiamato il vizio oscuro dell’Occidente.

Questa è una nuova forma del razzismo, siccome il razzismo classico non può più essere agito perché c’è stato Hitler, e allora c’è la formula della “cultura superiore” che ha valori, principi, istituzioni migliori delle altre culture. E invece ogni cultura è un fatto a sé, ogni cultura ha le sue compensazioni, misure, contromisure, e quindi non ci sono più culture superiori, ci sono culture semplicemente diverse. Il mio approccio rimane illuminista in questo senso: che uno di portati più fecondi dell’illuminismo è l’esercizio nel dubbio sistematico, e il dubbio sistematico si esercita anzitutto su se stessi. E quindi non avere la pretesa di avere comunque ragione. Quello che è venuto meno proprio nella società occidentale è proprio l’esercizio del dubbio. Questa pensa in modo assoluto di essere il bene e il meglio, e non ha dubbi, non si fa più domande.

Questo è curioso perché in realtà prima della rivoluzione industriale, penso a Montaigne che quando ci sono i primi rapporti con queste culture “altre”, le grandi esplorazioni, c’è un bellissimo capitolo intitolato “Il cannibale” in cui lui dice “sì ai nostri occhi loro sono cannibali, ma ai loro occhi i cannibali siamo noi”. Questo dibattito su come rapportarsi alle altre culture è durato fino all’Illuminismo, dopodiché l’idea ragione, la ragione deificata, il nuovo Dio, diventa un Dio assoluto non diverso anzi peggiore degli dei unici che conosciamo. E’ un’armonia, un equilibrio che abbiamo perso, anche perché questo sistema ti costringe, raggiunto un obiettivo, a inseguirne un altro e un altro ancora, in una filiera che non ha mai fine ma proprio su questo si sostiene. Il concetto di tempo dal quieto presente passa al dinamico futuro. Ed è proprio il dinamico futuro che ci mette in questa situazione personalmente di stress. Ma al di là di questo, oltre questo, c’è il fatto che un sistema come questo che si basa sulle crescite esponenziali che sì, sono in matematica ma non in natura, prima o poi va a scontrarsi col fatto che non può più crescere, e noi siamo come una lucente splendida macchina che è partita a metà del XVIII secolo a velocità strepitosa, adesso ha raggiunto un muro che non può superare ma continua a dare di gas e prima o poi fonde.

Ma questo è un discorso che riguarda i posteri, perché il collasso del sistema non avverrà domani, nel frattempo come viviamo? Nel frattempo vedo questo disagio di cui parlavo prima, della depressione, nevrosi, alcolismo di massa, in America negli Stati Uniti 550 americani su mille fanno uso di psicofarmaci, non dico di droghe, psicofarmaci: il che vuol dire che anche nel Paese più ricco, più potente, più eccetera, un abitante su 2 non sta bene nella sua pelle. Quello che voglio dire è che noi cercando il migliore dei mondi possibili, legittimamente ripeto perché c’è la rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale, c’erano grandi speranze che ci tirasse fuori da situazioni difficili e faticose come ho detto, resta il fatto che cercando il migliore dei mondi possibili in realtà siamo riusciti a crearci un mondo peggiore di quello a cui avevamo voluto sfuggire. Questo è un mondo strano perché riesce a far star male anche chi sta bene.

Per Marx il lavoro è l’essenza del valore, per i liberal-liberisti è esattamente quel fattore che combinandosi col capitale dà il famoso plusvalore. Ma il vero valore della vita non è il lavoro, una volta che tu hai le condizioni di base essenziali cioè abitare, vestire, mangiare, in alcuni popoli non era neanche necessario vestirsi pensa all’Africa nera, è il tempo. Il tempo è il vero valore della vita, il tempo è il vero padrone della nostra vita. Come utilizzare il tempo per se stessi, e non per qualcos’altro, è fondamentale