I diritti umani in Tibet

Nell’immaginario occidentale il Tibet è un luogo bellissimo, dove si fa meditazione e si vive a contatto con la natura. Invece non è così. I tibetani sono diventati una minoranza nel loro paese. Non c’è libertà religiosa, linguistica, culturale. I cinesi vogliono far diventare il Tibet una parte della Cina. Se potessero impedirebbero anche la reincarnazione del Dalai Lama, ma per fortuna questo non riusciranno a farlo“. Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa organizzata dal Movimento 5 Stelle in Senato il Lama Thubten Wangchen, presidente e fondatore della casa del Tibet di Barcellona inaugurata nel 1994 e membro del parlamento tibetano in esilio. Con lui Ngodup Dorjee, rappresentante del Dalai Lama per l’Europa centrale e orientale dal 2014 a Ginevra.

Le notizie che arrivano dal Tibet parlano di distruzione dell’ambiente naturale, di soppressione della lingua e della cultura tibetana, di discriminazione ed arresti arbitrari, di torture e condanne a morte senza processi. I diritti umani sono negati. Ogni giorno uomini e donne lottano per conservare la propria identità e la propria dignità contro la repressione e la violenza senza fine del regime coloniale cinese.

In questi giorni un ragazzo di quasi 16 anni, Dorjee Tsering, e un monaco buddista, Kalsang Wangdu, si sono dati fuoco per protestare contro l’occupazione cinese del Tibet e chiedere il ritorno a casa del Dalai Lama. La morte del religioso porta a 144 il numero delle vittime che si sono imolate dal 2009 per protesta contro la politica cinese nella regione. Coloro che si battono in altri modi vengono portati via dal governo cinese. Secondo un rapporto stilato dall’Ufficio di rappresentanza del Dalai Lama, che ci ha illustrato il signor Ngodup Dorjee, ci sono almeno duemila casi di prigionieri politici tibetani che si trovano nelle carceri cinesi sin dal 1992, lo certifica uno studio del Tibetan center of Human Rights and Democracy (TCHRD). Molti prigionieri muoiono a causa delle torture subite in carcere, circa 30 negli ultimi sette anni, e quelli che sopravvivono sono costretti a confessare reati per cui restano in carcere per molti anni ancora.

Le prime proteste della regione sono iniziate nel 1957 e questo periodo dell’anno è segnato dalle commemorazioni delle numerose insurrezioni anti-cinesi represse nel sangue dall’esercito di Pechino. Ancora oggi, dopo quasi 60 anni, la situazione in Tibet rimane gravissima e per censurare manifestazioni in piazza il governo cinese ha chiuso la regione al mondo esterno sino alla fine del mese. Il 10 marzo, infatti, ricorre l’anniversario dell’Insurrezione Nazionale di Lhasa, e i tibetani chiedono al mondo attenzione, conoscenza e solidarietà con una serie di eventi anche in Italia, a Milano.

La delegazione tibetana giunta in Senato, composta anche dal professore Nyima Dondhup e dal presidente dell’associazione Italia-Tibet Claudio Cardelli, ha proposto ai portavoce del Movimento di far parte della comunità internazionale che sostiene la causa tibetana attraverso la firma del manifesto con la dichiarazione di Parigi: “I stand with Tibet“.

Come ricordato dai portavoce Daniela Donno, Stefano Lucidi, Ornella Bertorotta e Nicola Morra, il Movimento 5 stelle ha sostenuto sin dal suo ingresso in Parlamento la causa tibetana: la Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani il 5 marzo di due anni fa ha approvato in Senato una importante risoluzione sul rispetto dei diritti fondamentali in Tibet. Un testo che giace in un cassetto.

Ricordiamo quindi al governo italiano l’impegno a chiedere alle autorità cinesi l’immediata cessazione della repressione e delle violenze in Tibet; a sostenere la ripresa del dialogo fra il governo cinese e gli inviati del Dalai Lama; a chiedere alle autorità cinesi di rispettare la libertà linguistica, culturale e religiosa del popolo tibetano, garantendo l’insegnamento del tibetano nelle scuole. Chiediamo anche di rafforzare il dialogo UE-Cina in materia di diritti umani; liberare dall’isolamento mediatico e istituzionale il Tibet; sollecitare, attraverso l’ONU, un’azione di monitoraggio sul rispetto dei diritti umani in Tibet; insistere presso le autorità cinesi affinché consentano le visite degli organismi ONU, in modo da poter contribuire ad accertare quanto avvenuto in quella regione.

I diritti umani non sono negoziabili né procrastinabili. I tibetani non possono più aspettare.” M5S Senato