La stabilità del lavoro del rigor mortis

Il Governo sta mettendo in atto da mesi una gravissima campagna di disinformazione sulle condizioni del mondo del lavoro. A ogni occasione utile, quando escono i dati Istat o Inps, si impegna a capovolgere la realtà. Oggi vanta i 259 mila contratti “stabili” in più del primo semestre 2015, certificati dall’Inps. Peccato che di stabile i nuovi contratti non abbiano nulla. Dopo l’approvazione del contratto a tutele crescenti (7 marzo 2015), i datori di lavoro hanno portato avanti una massiccia conversione di contratti a tempo determinato in contratti a tutele crescenti, proprio perché rassicurati dalla estrema facilità di licenziamento che garantisce la riforma del mondo del lavoro. Nei primi 3 anni, infatti, i datori di lavoro potranno disfarsi dei lavoratori adducendo motivazioni economiche ed erogando loro l’equivalente monetario di 2 mensilità per ogni anno di servizio, anche se il licenziamento è dichiarato illegittimo dal giudice. Si legalizza in pratica il licenziamento arbitrario, in cambio di un tozzo di pane. Solo dopo 3 anni di servizio i contratti a tutele crescenti devono essere stabilizzati per davvero, ma nulla vieta ai datori di lavoro di scaricare poco prima i lavoratori a tutele crescenti e assumerne di nuovi. Si profila così una gigantesca operazione “usa e getta” che vedrà coinvolti nei prossimi anni i nuovi assunti. Va detto, peraltro, che l’Istat ha già messo una pietra tombale sulla propaganda governativa: a giugno la disoccupazione è tornata al 12,7% e gli occupati sono in calo anche rispetto al giugno dell’anno scorso. Un disastro totale, che il Governo cerca di coprire manipolando i dati Inps, i quali calcolano non i nuovi posti di lavoro, ma i nuovi contratti di lavoro. Incrociando i dati Istat e Inps viene fuori la cruda realtà: il Governo non ha creato un solo posto di lavoro, e ha coperto il suo fallimento con la conversione dei contratti a tempo determinato in contratti ancora meno stabili, vendendoli per quello che non sono.