Il piano di disfacimento del Sistema Sanitario Nazionale

da Saluteinternazionale, di Gavino Maciocco

Sulla sanità si gioca una partita vasta e complessa che ha poco a che vedere con la salute dei cittadini (anzi no: ha molto a che vedere, visti i possibili esiti infausti). Una partita che si interseca con la riforma del Terzo settore, già approvata alla Camera, e che ha come sfondo i colossali interessi dell’intermediazione finanziaria e assicurativa nazionale e internazionale. Tutto questo deve avvenire nel silenzio generale e lontano da occhi indiscreti (come le trattative TTIP). La temperatura dell’acqua deve crescere, ma lentamente, per ottenere – senza clamori – il disfacimento del servizio sanitario nazionale.

Una rana cade in una pentola d’acqua bollente, e subito schizza via. Un’altra entra in una pentola di acqua fredda. Qualcuno accende un piccolo fuoco sotto la pentola. La rana non si accorge che l’acqua via via si scalda… via via… gradualmente sempre più… finché muore bollita…

La riforma della scuola è paragonabile alla pentola d’acqua bollente. La sua natura “bruciante” è stata immediatamente avvertita e ha suscitato vivaci ed estese reazioni.
Ciò che succede nella sanità rispecchia invece la situazione della rana bollita. Non è stata presentata una legge per “cambiare verso” al servizio sanitario nazionale (SSN), nessuno dichiara di volerlo fare, anzi tutti – dal ministro della sanità all’ultimo del governatori regionali – dichiarano ad ogni occasione di essere paladini dell’attuale SSN, pubblico e universalistico (tutti, tranne il premier, che disquisisce su tutto ma sulla sanità non ha speso mai una parola). Eppure il fuoco sotto la pentola è da tempo acceso e la temperatura dell’acqua è sempre più alta. A causa di ciò il SSN sta progressivamente cambiando la sua natura – meno assistenza, meno equità, meno qualità, meno diritti -, senza che ciò produca alcuna significativa reazione.

VIDEO Paola Taverna: “Ci stanno togliendo il diritto alla salute!”

Il fuoco sotto la pentola è rappresentato da una serie di condizioni che agiscono con una sinergia così efficace nel produrre il cambiamento voluto (la privatizzazione della sanità) da non poter essere considerata casuale. Si tratta di una strategia peraltro ben nota e precisamente descritta da Noam Chomsky: “That’s the standard technique of privatization: defund, make sure things don’t work, people get angry, you hand it over to private capital” (“Questa è la tecnica standard per la privatizzazione: togli i fondi, assicurati che le cose non funzionino, fai arrabbiare la gente, e lo consegnerai al capitale privato“).

1. Togliere i fondi
L’Italia è tra i pochi paesi dell’OCSE – insieme a Grecia, Spagna e Portogallo – a registrare, dal 2010 in poi, una costante riduzione della spesa sanitaria pubblica. Anche per questo si trova nelle posizioni di coda delle classifiche internazionali. Secondo i calcoli della Conferenza delle Regioni il settore sanitario pubblico ha subito negli ultimi anni tagli cumulati per 31,7 miliardi di euro, a cui va aggiunto il taglio di 2,3 miliardi di euro previsto dalla legge di stabilità 2015. Il salasso è destinato a proseguire dato che il DEF 2015 prevede una progressiva contrazione dell’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil: dal 6,9% nel 2014 e 6,5% nel 2019. Leggi il post Assalto all’universalismo (nel DEF 2015).

2. Assicurarsi che le cose non funzionino
Il funzionamento della sanità si basa innanzitutto sul capitale umano. Sulla competenza e sulla capacità di relazione (e quindi anche sul tempo a disposizione) degli operatori sanitari. Blocco del turn-over e pre-pensionamenti sono le misure scelte per mettere al tappeto il servizio sanitario pubblico. In Toscana nel biennio 2015-16 se ne andranno 2.260 operatori (e non saranno sostituiti), che sommati ai 2.500 dipendenti “persi” negli ultimi anni portano a un taglio del personale del servizio sanitario regionale vicino a un – 10% del totale. Aumenteranno le liste di attesa e soffrirà la qualità dei servizi, mentre – a causa del blocco delle assunzioni – crescerà l’esodo di giovani medici e infermieri verso l’estero.

3. Fare arrabbiare la gente
Per provocare il distacco dei cittadini dal servizio sanitario pubblico bisogna anche infliggergli un danno economico, ovvero tenere molto alto il livello dei ticket, fino a raggiungere il prezzo pieno della prestazione. Negli ultimi anni il ticket ha cambiato la sua natura: da strumento di dissuasione nei confronti dei consumi impropri (soprattutto farmaceutici), con l’imposizione di pochi euro a ricetta, a vera e propria tassa sulla malattia: tanto più malata è una persona, tanto più paga. Una tassa esosa e iniqua che non dovrebbe esistere in un sistema universalistico già finanziato, quindi pre-pagato, dalla fiscalità generale.

4. Consegnare il servizio sanitario al capitale privato
Il Project Financing – meglio conosciuto come Private Financing Initiative (PFI) – degli ospedali fu introdotto nel Regno Unito negli anni novanta dal governo Thatcher ed è stato il precursore delle privatizzazioni avvenute in sanità negli anni seguenti. Una recente analisi della situazione dei 101 ospedali britannici costruiti col PFI mostra che tali contratti non sono vantaggiosi per il servizio sanitario nazionale e mettono in pericolo l’assistenza dei pazienti. Come minimo andrebbero rinegoziati.
Da quel poco che si è potuto vedere in Italia (ed è già bastante) il PFI si è dimostrato – come nel Regno Unito – un affare assai asimmetrico: molto favorevole per il concessionario privato e molto problematico per l’ospedale pubblico (vedi il post Privatizzare gli ospedali? La via del project financing).

Ma in Italia la spinta verso la privatizzazione non passa attraverso complessi meccanismi finanziari. E non c’è bisogno di grandi esperti per inventare la ricetta giusta. Il banale mix di lunghi tempi di attesa e di ticket particolarmente costosi è in grado di produrre migrazioni di massa verso il settore privato, soprattutto se questo mette sul mercato prestazioni low cost. La figura sottostante mostra la crescente percentuale di persone che hanno fatto ricorso al settore privato per esami del sangue e accertamenti specialistici, in un confronto 2005-2012, per ripartizione geografica.

Figura 1. Ultima analisi del sangue e ultimo accertamento specialistico a pagamento intero per ripartizione geografica

Il “banale mix” che porta alla privatizzazione ha naturalmente costi sociali elevati, rappresentati dalle persone che rinunciano a prestazioni sanitarie o all’acquisto di farmaci a causa di motivi economici o carenze di strutture di offerta. I dati sono contenuti nel recentissimo Rapporto Istat 2015 e mostrano come nel Sud tra coloro che si trovano in condizioni economiche disagiate la percentuale delle rinunce arriva al 20%. Vedi Figura.

Figura 2. Persone che negli ultimi 12 mesi hanno rinunciato a prestazioni sanitarie o all’acquisto di farmaci a causa di motivi economici o carenze delle strutture di offerta per risorse economiche della famiglia e ripartizione geografica.

Bibliografia
Noam Chomsky: Thats the standard technique of privatization
Pollock AM et al. Private Financing Initiatives during NHS austerity. BMJ 2011, 242:d324.
Istat. La salute e il ricorso ai servizi sanitari attraverso la crisi. Anno 2012, 24 dicembre 2013.
Istat: Rapporto annuale 2015 – La situazione del Paese